A house made of splinters di Simon Lereng Wilmont (The distant barking of dogs) è un documentario del 2022, vincitore del Premio alla Regia del Sundance Film Festival e nominato agli Academy Awards 2023. Il film è prodotto da Monica Hellström (Flee) e Final Cut for Real.
A house made of splinters prosegue l’indagine di Simon Lereng Wilmont sulla complessa situazione politica e sociale dell’Ucraina, lacerata dai conflitti di confine. Si affermano con sempre più vigore il suo sguardo sensibile e la sua regia solidissima. Simon Lereng Wilmont ci restituisce un’opera condensata di emozioni e di distaccata e critica osservazione, dove, da dietro l’obiettivo, in realtà il suo affetto e la sua attenzione sono rivolti ai bambini.

A house made of splinters, la trama
Ucraina, Donbass, prima dell’invasione russa del 2022. La situazione sociale a Lysychansk è già instabile: famiglie distrutte, bambini lasciati a se stessi, carenza di affetto, di stima, di dignità. C’è il minimo comune denominatore dell’alcool che fa perdere agli adulti la rotta.
Il regista segue le vite di un gruppo di bambini ospiti di un alloggio temporaneo, e degli assistenti sociali che vi lavorano. La loro permanenza qui è breve perché in attesa che i genitori riprendano il ruolo che gli spetta, oppure che il tribunale decida della loro sorte.
Sono storie dell’orrore raccontate con la leggerezza tipica dei bambini, che parlano di omicidi poco prima di fare la nanna, sotto una coperta illuminata da una lampada notturna.
When one child leaves, another one arrives.
In particolare, sono tre le storie su cui il regista danese si concentra, mostrando come i piccoli siano le vittime maggiori di una collettività già inesorabilmente danneggiata e sofferente per un conflitto lungo, ad oggi inasprito in una guerra su scala maggiore.
Un avviso tranquillizza il pubblico, se così si può pensare: gli abitanti del centro di accoglienza sono stati evacuati prima dell’invasione russa.

Il pedinamento e la fiducia
Il lavoro di documentazione che Lereng Wilmont ci presenta, deve avergli portato via tantissimo tempo, dato il totale annullamento della sua presenza da parte dei protagonisti. La macchina da presa davvero non esiste, mentre questi ragazzi si accendono sigarette o rubano al vicinato.
A house made of splinters è sorprendente anche per la curata potenza visiva che offrono le inquadrature di collegamento o i campi lunghi di una realtà popolare, fatiscente, demolita dalla guerra. Nel mezzo di storie già densamente significative si inseriscono alcuni shot ben pensati e fondamentali per raccontare un contesto che altrimenti rimarrebbe astratto. A ricordarci che malgrado la spietatezza di cui si è fatta esperienza, c’è bellezza là fuori, e anche speranza, sempre.
Storie, sofferenza e umanità
A house made of splinters inizia con storie più gentili, e poi si inasprisce su soggetti più complessi, che rifiutano l’alloggio e sfidano la società come atto di ribellione. Dallo scriversi sul braccio all’imbrattare i muri. È quella la struggente storia di Koyla. Il ragazzino è grande a sufficienza per capire che la madre non se li vuole più riprendere, lui e i suoi due fratellini.
– Your mother didn’t show up
– All she does is drinking. She doesn’t want me.
Il ciclo si ripete; i bambini diventano adulti e ripetono gli errori con i propri figli, copiano i modelli deviati che hanno avuto. E le assistenti sociali sono lì, a fare esperienza di una generazione dopo l’altra.
Eppure, in tutto questo, non si smette di ribadire che i bambini sono resilienti e sono capaci di crescere come adulti quando la vita li costringe. Anche se a questi bambini la vita non ha risparmiato proprio nulla, esponendoli al peggio della razza umana. Ma se esiste un’ultima speranza, è quell’amore nuovo che si può trovare, altrove, anche fuori dai legami di sangue. In una famiglia allargata, nell’umanità in cui proprio quelle schegge di cui il titolo del film parla, si riallineano in solide fondamenta.