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Conversation

‘Profeti’ conversazione con Alessio Cremonini

Profeti racconta il viaggio nell'anima di due donne  divise dalle rispettive prigioni. Ad Alessio Cremonini abbiamo chiesto di parlarci del suo nuovo film

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Dopo Border e Sulla mia pelle Alessio Cremonini continua a raccontare di prigioni fisiche e psicologiche, facendo dello spazio il riflesso dell’anima delle sue protagoniste.

Adesso nelle sale, grazie a Lucky Red, Profeti è il terzo film di Alessio Cremonini. Dopo Border, passato in sordina (qui per leggere la conversazione), e il successo arrivato con Sulla mia pelleAlessio Cremonini torna sul grande schermo con Profeti.

L’inizio di Profeti di Alessio Cremonini

La prima sequenza, quella in cui scopriamo a chi appartiene il pianto proveniente dall’interno del bagno, è fondante per lo sguardo del film che è insieme complice e distaccato, interiore ed esteriore, soggettivo e oggettivo. Quello di Sara, la giornalista interpretata da Jasmine Trinca, è infatti molteplice perché dapprima lei si rivolge alla mdp, poi al fuori campo, ovvero alla storia che sta per essere raccontata. Peraltro questo passaggio avviene non prima che Jasmine abbia rovesciato la testa da un lato come per volerla girare al contrario. Un gesto che sembra alludere a una vicenda capace di “rivoluzionare” per sempre la sua vita. 

Hai così ragione che non saprei cosa aggiungere. A quella scena ci tenevo perché fa capire tante cose. E poi mi piaceva aprire il film con un inserto in cui non c’erano rumori, ma solo lei e il suo pianto. Pensa che l’ultima canzone è di Bach figlio ed è un lamento, mentre le altre appartengono a Benjamin Britten, compositore britannico, autore tra le altre cose delle musiche di Fanny Alexander che, come ricorderai, raccontava un rapimento. Certo, è diverso da quello del mio film, ma c’è comunque un nesso. Cercando musiche adatte al mio lavoro mi sono rivisto casualmente il film di Bergman ed è scattata la scintilla. In Profeti c’è questo strano rapporto tra due donne, cosa che quel genio assoluto di Bergman ha spesso raccontato, anche se in situazione diverse.

Un’altra cosa interessante di quella scena è la sua collocazione temporale. Si potrebbe pensare che sia posta alla fine e che da lì inizi il flashback, mentre, invece, si trova all’interno della storia. Questo fa sì che la narrazione a seguire sia il frutto di un ripensamento in cui la realtà viene rimodulata dal punto di vista emotivo oltreché materiale. Il buio che avvolge i corpi delle protagoniste è tanto reale quanto interiore e psicologico. 

Mi fa piacere tu dica queste cose che, devo dire, non tutti colgono. Come hai visto il personaggio di Jasmine non lo faccio parlare fino a quando non è costretta a farlo per rispondere alle domande del suo rapitore. Prima lei rimane in ascolto come fanno i bravi giornalisti che cercano di riportare le informazioni. Non è un caso che per tutto il film lei non smetta un attimo di vedere. Lei ha quella funzione che poi io metto in risalto attraverso la presenza del buco nella parete, tramite il quale riesce a scorgere cosa succede all’esterno della casa prigione. Quella feritoia rimanda a Hitchcock, ma anche al fatto che lei continua a svolgere il suo mestiere, guardando, osservando, mettendosi in ascolto. Non ero interessato a girare un classico film di personaggi per cui volevo che il suo nascesse a partire dal rapimento. È vero che loro sembrano uscire fuori dal buio. Se ci pensi quello che avvolge Jasmine più che fisico è legato alla conoscenza e, in particolare, all’oscurità che ha lo spettatore rispetto al suo personaggio. Sara potrebbe essere chiunque e lo spettatore non saprà mai veramente chi è. Di lei sai la stessa cosa che sanno i rapitori.

Il personaggio di Sara

Se Profeti è un viaggio nell’anima di Sara e della sua carceriera, la casa, fatta di spazi da non oltrepassare, sembra la risultante estetica alla distanza emotiva, psicologica, ma anche culturale, che le divide. Quei confini sono anche la rappresentazione dei limiti di Sara rispetto alla conoscenza del mondo in cui si trova.

Assolutamente, tant’è vero che lei all’inizio viene chiusa nel bagno, poi, un poco alla volta, con la progressiva conoscenza delle cose, non succede più. Anche il vetro della porta del bagno, con l’effetto delle luci notturne, assume la forma di una tomba e dunque al contesto che Sara sta vivendo in quel momento. Ho raccontato quello che tendenzialmente sarebbe potuto accadere basandosi sulle esperienze di tanti rapimenti diversi, soprattutto femminili, ma anche maschili, ricollocati in una storia completamente inventata. Però ti assicuro che anche la maniera in apparenza folle di utilizzare il letto matrimoniale da parte di Nur, ovvero di dividerlo con la sua prigioniera, si basa su un fatto realmente accaduto.

Un legame tra Profeti e gli altri film di Alessio Cremonini

Profeti è un film profondamente connesso a quelli precedenti. Come Border, anche questo è un film costruito su confini fisici ed emotivi, su spazi reali e immaginati. Profeti continua a sviluppare il discorso intrapreso nel tuo primo film e, in parte, anche nella sceneggiatura di Private a cui hai collaborato, aggiungendo un elemento esterno alla dialettica di Border, tutta interna al modo arabo. Qui Sara rappresenta non solo se stessa, ma anche il mondo occidentale chiamato a confrontarsi con quello arabo.

Sì, hai assolutamente ragione. A questa poetica ricorrente aggiungo il racconto della prigionia presente anche in Sulla mia pelle. Che poi altro non è che la conseguenza dei limiti di cui parlavi tu perché le prigionie sono tante: non sempre sembrano tali, ma è così che le viviamo. Basta pensare alla condizione del malato, per farsene un’idea. Nel film lo sono le ripercussioni del discorso religioso. Non parlo della conversione perché quella è un fatto privato, inconoscibile e ingiudicabile se visto da un occhio esterno. Se Sulla mia pelle raccontava una prigionia con evidenti effetti sul piano fisico qui le conseguenze si hanno sul piano psicologico. Il film è pieno di tensione, di silenzi e di oppressione, di passi che non sai più da dove vengono. Sara non ha escoriazioni, però è una donna destinata a occupare l’ultimo gradino della società. Da quello deriva il lamento iniziale. In questo senso, con la cosceneggiatrice, Monica Zapelli, e la consulente del film, Susan Dabbous, abbiamo cercato di ricordarci la lezione di quel genio di Ettore ScolaUna Giornata Particolare, per parlare della dittatura, sceglie di prendere gli ultimi e i più emarginati, ovvero una donna e un omosessuale. In questo caso ho scelto due donne: una foreign fighter immersa nell’aberrazione dell’Isis e un’altra, posizionata dalla parte opposta. Attraverso gli esili dialoghi di queste due protagoniste ho cercato di capire perché ci sono donne che credono in quella cosa.

Anticipare la conversione

La porta del bagno ripresa di notte, con il vetro a disegnare una sorta di fessura, è destinata a tornare più volte nel corso della storia, diventando simbolica nel ricordare la famosa porta stretta di cui parla Dante Alighieri nella Divina Commedia. Nel caso di Profeti questa prefigura il tortuoso cammino che anticipa la conversione?

Hai ragione, non ci avevo pensato, ma quella va insieme alla torsione della mdp. Entrambe preannunciano un ribaltamento propedeutico a una trasformazione, qualsiasi essa sia, e qualsiasi sia il suo sviluppo. Trattandosi di una conversione ho cercato di rimanere il più puro possibile, dando allo spettatore il punto di vista di Sara e non il mio. Quella torsione mi serviva per fare quello che dici tu, cioè per farla entrare nel bagno e avviare il cambiamento.

L’ho trovata una scelta rigorosa ed efficace perché c’è dentro il mistero e il silenzio che deve accompagnare un evento del genere. Tra gli elementi che concorrono a raccontare questa conversione c’è ne uno già presente in Border. Lì il buco sulla rete metallica segnava il passaggio dal confine di un paese ad un altro. In Profeti il buco sul muro svolge la stessa funzione, anche se qui si tratta del mutamento interiore da cui scaturirà la conversione.

È verissimo. Tu sei uno dei pochi che ha visto Border, perché poi non è mai uscito. Il buco mi interessa perché presuppone l’atto di guardarvi attraverso come succede per noi registi con la mdp. Ma è anche la nostra soggettività che cerca di capire gli altri superando gli inevitabili pregiudizi. È la nostra soggettività che cerca di comprendere il mondo esterno con i nostri piccoli occhi.

Lo spettatore di fronte a Profeti di Alessio Cremonini

In termini di scrittura il dialogo tra le due protagoniste risulta essenziale nel suo essere incentrato sul continuo cambiamento di prospettive e punti di vista con cui Sara e Nur si rimpallano le rispettive ragioni. Questo permette allo spettatore di farsi la propria idea sullo stato delle cose, anche per la mancanza di una verità esterna alla storia.

Sì, perché la parola verità è difficilissima da concepire in termini assoluti. Credo che nessuno di noi la possegga. Esistono invece forti dosi di verità e di torti. Una fortissima dose di ragione ce l’ha il personaggio di Jasmine, di torto quello di Nur. Io non sono un manicheo, credo sempre che gli altri vadano compresi, anche nelle peggiori aberrazioni. Il fatto di non farlo porta spesso noi occidentali a favorire involontariamente situazioni ancora peggiori.

Inizialmente le immagini raccontano la contrapposizione tra le due protagoniste attraverso inquadrature che le collocano su versanti opposti del medesimo spazio. In seguito due carrellate che uniscono Sara al resto della compagnia femminile e soprattutto la ripresa dall’alto, sul lavaggio delle mani a cui si dedicano contemporaneamente Sara e Nur, diventano la rappresentazione di una vicinanza che si va via via definendo. 

Il lavarsi le mani è l’inizio delle abluzioni musulmane e nel mio film il segnale fisico della conversione. Quando Jasmine inizia a fare le abluzioni significa che si vuole convertire e quelle inquadrature dall’alto, come dici tu, ne riprendono l’ossessione.

Riprendere dall’alto

Le riprese dall’alto sono una novità nel tuo cinema. In questo caso rappresentano il terzo occhio, ma anche una realtà esterna alla storia delle due ragazze. 

Quello sicuramente! In particolare con quelle volevo citare un film per me eccezionale e che mi ha sempre guidato nelle mie scelte: parlo di Hunger, il lungometraggio di Steve McQueen sulla prigionia di Bobby Sands. Il film inizia con il picchiatore che si lava le mani sporche del sangue del detenuto appena percosso. Le immagini sono sempre dall’alto e mostrano le nocche delle mani da cui cola il sangue. È un’inquadratura che mi è sempre piaciuta ed effettivamente, come dicevi tu, mi sembrava un momento importante per segnalare una differenza. Nelle riprese sono tendenzialmente molto frontale. In Profeti i campi diversi dal normale avevano il compito di raccontare un passaggio importante. Per farlo ho deciso di piazzare la mdp da altre parti rispetto alla posizione centrale.

Questo succede per la prima volta nel film quando fai vedere l’interrogatorio e poi l’uccisione della spia curda da parte del capo dell’Isis. Anche lì si parte dall’alto, e anche lì c’è la mdp che osserva la scena attraverso un buco. A un certo punto distogli lo sguardo dal momento più crudo di quel racconto, proponendo un’immagine dal basso verso l’alto che ribalta la prospettiva iniziale. Anche in questo caso, come in quello della sequenza del piano di Jasmine, siamo di fronte a una “rivoluzione”. 

Sì, è vero, racconto quel passaggio prima dall’alto e poi dal basso. La presenza del buco può essere una reminiscenza di quando ero bambino e mi piaceva molto spiare dal buco delle serrature. In generale, trovo che l’immaginazione derivata dal non riuscire a vedere bene una determinata cosa sia più forte del suo contrario. Il buco iniziale mi serviva per contestualizzare meglio quello attraverso il quale Sara assiste alle altre torture. Comunque hai ragione, quello sguardo serve per portarci via da quella morte.

E, come hai detto, per segnalare un momento importante. 

Sì, a me servono ogni tanto anche emotivamente, quando ho bisogno di scappare da quell’orrore e con me voglio portare via lo spettatore. Più in generale per quello che dicevi tu.

Gli spazi

Memore dell’esperienza di Private, in cui hai collaborato alla sceneggiatura, tutti i tuoi film sono caratterizzati dalla medesima concentrazione spaziale. Oltre a essere un elemento narrativo e formale, il fatto di girare in ambienti limitati e circoscritti ti permette di ridurre i costi e quindi di girare i film con totale libertà artistica. È così?

Non c’è dubbio che il contenimento dei costi mi permetta una maggiore libertà, ma anche Profeti è frutto dell’insegnamento di Scola che forse i suoi film più belli li ha ambientati in un unico ambiente. Penso a La terrazza o a La famiglia, anche se poi ha realizzato C’eravamo tanto amati che è stato filmato in trecento posti ed è un capolavoro assoluto. Anche l’esperienza come co sceneggiatore del film di Saverio Costanzo mi è tornata utile. Dal punto di vista produttivo qui c’era il fatto di girare in inglese e arabo, cosa assai rara in Italia, e di raccontare qualcosa di cui si parla poco o nulla dalle nostre parti. Venire da un film molto visto e premiato come Sulla mia pelle non ci ha avvantaggiato molto perché comunque da noi fare film anomali è molto complicato. Poi non so quanta volontà ci sia stata da parte mia di puntare su una storia che non aveva bisogno di una grande quantità di denaro. Certo, mi sarei potuto togliere qualche sfizio, ma non per fare una regia muscolosa che a me non interessa. La differenza l’ha fatta la scelta dei miei collaboratori a cominciare dal bravissimo Ramiro Civita, già direttore della fotografia di un film eccezionale come Garage Olimpo di Marco Bechis, un autore che cerca, quando ha la possibilità, di parlare non solo delle questioni italiane, ma di guardare fuori, in un paese che osserva troppo se stesso. In definitiva però hai ragione, i posti chiusi mi aiutano a produrre dei film come voglio io.

A farli come vuoi tu.

No, come voglio io no perché mi sarebbe piaciuto avere più tempo con gli attori. Ti assicuro che a volte siamo stati costretti a fare i primi piani in cinque minuti perché purtroppo il tempo è denaro. Non ne avevamo così tanto, quindi abbiamo fatto quello che si poteva fare, all’interno di una cornice di grandissima severità di forma.

La lingua e le interpretazioni in Profeti di Alessio Cremonini

Il film è stato girato in inglese e in lingua araba. Il suo impatto sullo spettatore non sarebbe stato lo stesso se avessi scelto di farlo doppiare in italiano. Anche in termini di recitazione la coerenza della lingua parlata dalle protagoniste concorre a calare ancora di più le attrici nei rispettivi personaggi.

La premessa è che la maggior parte delle copie è in italiano altrimenti penso sarebbe stato difficile uscire nei cinema. Ciò detto ho imposto che il film fosse in lingua inglese fino a quando Sara entra nella casa di Nur. Ho lasciato in arabo quelli tra quest’ultima e i terroristi islamisti mentre ho doppiato i dialoghi tra Jasmine e Isabella.

Com’era successo ad Alessandro Borghi anche qui hai regalato a Jasmine la possibilità di proporsi in una delle sue performance più riuscite. Lo dico considerando anche la maniera in cui gestisce il fatto di esprimersi in una lingua diversa dalla sua. Il linguaggio del corpo e il suono della voce sono determinanti nel restituire il doloroso viaggio del suo personaggio. 

Sì, è così. Ti ringrazio, spero che anche Jasmine e il pubblico la pensino alla stessa maniera. Non avrei mai iniziato a girare senza di lei perché oltre a essere un’attrice strepitosa, con lei condividiamo non solo la visione del cinema, ma anche di molte cose della vita. Con Jasmine ci siamo conosciuti solo per qualche giorno sul set di Sulla mia pelle, ma è bastato per capirci e stimarci. Il suo modo di approcciare il film è stato lo stesso che avrei voluto da lei. Prendi il modo in cui sta sotto la coperta che gli danno i terroristi. Se hai visto, a un certo punto trova un buchino della coperta e guarda come farebbe una giornalista. Questo per significare che al di là di tutte le censure noi abbiamo sempre la possibilità di trovare un buco nella coperta, così come credo che ogni uomo abbia sempre la possibilità di arrivare alla verità. Tornando a quella scena, il primo giorno che abbiamo girato Jasmine è stata un giorno intero sotto la coperta con il fango e la polvere. È stato così che è entrata nel ruolo, abituandosi a non esserci.

Il lavoro di Jasmine Trinca

Lei riesce a prendere su di sé il dolore del suo personaggio. I primi piani ce lo restituiscono in tutta la sua drammaticità. Il suo sguardo è capace di catturare l’occhio della telecamera.

Hai ragione, trovo sia magnetica perché nonostante sia una donna bellissima lei te lo fa dimenticare. In Jasmine prevale la ricerca della verità attraverso un processo molto lungo in cui arriva a ciò che sta all’opposto del cinema, in cui tutto risulta una conseguenza naturale.

Come siete arrivati a quel punto di immedesimazione?

Questo è un film dove c’è quasi coprotagonismo perché Isabella e Jasmine sono spessissimo insieme. Per evitare che entrassero in confidenza più di quello che era consentito ai loro personaggi ho fatto in modo di tenerle separate. Il covid e il fatto che Isabella viveva a Londra ci hanno favorito. Per quanto riguarda Jasmine, lei è una che davanti alla macchina da presa si trasforma. Con lei abbiamo parlato molto, non solo a parole, ma anche con lo sguardo e con una carezza. Ho avuto la fortuna di vedere quello che faceva Ettore Scola sul set de La cena. Essendo il suo assistente mi è capitato di vederlo mentre stava al tavolo con Stefania Sandrelli: si intratteneva anche mezz’oretta, le spiegava le cose, si fumava una sigaretta e mentre parlavano ogni tanto lui le faceva una carezza sulla mano e la rassicurava. Lui era un genio per cui senza volermici paragonare cerco di mettere in atto i suoi insegnamenti. Nel mio piccolo ho fatto la stessa con Jasmine. Il nostro metodo è stato all’insegna della comprensione e di una grandissima semplicità.

Isabella Nefar

Il personaggio di Isabella Nefar era altrettanto difficile. Innanzitutto perché si doveva confrontare con quello interpretato da un’attrice brava e carismatica come Jasmine, e poi perché era alle prese con una donna che poteva risultare antipatica e incostante. Isabella riesce a stare dentro il film senza mai giudicarlo né banalizzarlo con facili schematizzazioni. La sua Nur rimane fino alla fine un personaggio insondabile.

Isabella è per metà italiana. Durante il Covid abbiamo potuto comunicare solo via web, quindi abbiamo ricevuto i provini da tutte le parti d’Europa, dal Marocco, dal Cairo, da Berlino e da Londra. Quello di Isabella era perfetto così ho deciso di incontrarla. In quel periodo stava a Trastevere per cui il suo italiano era perfetto per il doppiaggio, con la pronuncia di chi, come il suo personaggio, ha vissuto per molto tempo in un altro paese. Isabella è una persona di una serietà eccezionale: essendo nata in Iran ha chiaramente delle esperienze che l’hanno aiutata a capire e a entrare nel personaggio. Mi ricordo che quando è entrata nella casa di Nur ha detto che le sembrava quella di sua nonna in Iran. Ha dovuto imparare un po’ l’arabo per le parti recitate in quella lingua. Avendo vissuto vent’anni in Gran Bretagna il suo inglese era diverso da quello di Jasmine, ma abbiamo voluto che questa differenza si sentisse all’interno del film. Di Isabella, fin da subito, mi è piaciuta la sua capacità di non essere retorica. Come dicevi, lei in alcuni momenti sa essere anche fragile, in alcuni integerrima e mai compromissoria.

A Nur Isabella è riuscita a dare il fatto che quando dice certe cose senti nel profondo l’aberrazione di quel tipo di ideologia. Lei non fa sconti al suo personaggio per cui ci sono momenti in cui la puoi anche odiare. In compenso Nur ha dei primi piani stupendi, grazie al viso di Isabella che cambia a seconda di come la riprendi. Per me come attrice è una scoperta, spero si guadagni il successo che merita. In generale con gli attori cerco di essere un compagno, una persona che li accudisce nel senso che cerca di aiutarli a esprimere. Quella cosa difficilissima che è recitare davanti una macchina da presa con tutta la troupe intorno.

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Profeti di Alessio Cremonini

  • Anno: 2023
  • Durata: 109'
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Alessio Cremonini
  • Data di uscita: 26-January-2023