Presentato in anteprima nella scorsa edizione della Settimana della Critica a Venezia, Mother Lode racconta il mistero che muove bisogno e desiderio con una messinscena fatta di antipodi e continui sconfinamenti, Di seguito la conversazione con Matteo Tortone.
Mother Lode di Matteo Tortone è una produzione Francia, Svizzera e Italia con la Wendigo Film, Malfè Film e C-Side Productions.e
L’inizio di Mother Lode di Matteo Tortone
Nel cinema d’autore come nella letteratura classica le prime mosse sono importanti perché in qualche maniera anticipano il tenore del racconto. Nella sequenza iniziale di Mother Lode l’universalità della storia è confermata dalla natura archetipica del contesto.
Si è trattato di una coincidenza, nel senso che la passione di Jorge e dei suoi amici per il combattimento dei galli si sposava alla perfezione con la mia volontà di mescolare la realtà, la metafora, il simbolico e l’archetipo. In qualche modo la battaglia fra i galli mi sembrava riassumere molto bene l’esistenza in cui i personaggi, ma anche tutti noi, siamo calati: una realtà in cui predomina la competizione per ottenere il denaro necessario a vivere.
Il combattimento dei galli mi sembra riassumere il significato della vita intesa come eterna lotta per la sopravvivenza. Il seguito del film conferma che nessuno è escluso dalla contesa.
Esattamente. Vorrei sottolineare che nella sequenza iniziale i galli non sono liberi, ma in mano ai proprietari che in qualche modo li aizzano l’uno contro l’altro. Così succede per le dinamiche socioeconomiche che fanno convergere l’esistenza nello spazio in cui ci si muove tra le mani del padrone e il becco del nemico.
I temi
Mother Lode è anche il racconto dell’assuefazione al male come accettazione delle condizioni di cui hai appena detto. I personaggi del film diventano in qualche modo metafora della nostra esistenza nella quale da puri e liberi ci ritroviamo ad accettare le regole di un giogo che ci schiaccia. Nel farsi di questa parabola Mother Lode dimostra come l’uomo diventi lupo dell’uomo.
Sì, e devo dirti che in questo il film è debitore dell’analisi che ne fece Mark Fisher su Realismo Capitalista. Per Fisher nel giovane adulto il sogno della giovinezza convive con la consapevolezza dell’impossibilità che esso si realizzi. Volevo raccontare una storia che in qualche modo fosse simbolica del discorso di Fisher quando ci dice che la sofferenza psichica è dovuta al fatto che non esiste una rappresentazione onnicomprensiva di queste dinamiche.
Nella sequenza d’apertura la metafora della vita come arena in cui gli uomini sono costretti a combattere è ripresa poi in uno dei passaggi finali dove Jorge, ubriaco e prostrato, parla con la moglie ricordandogli di come nella sua esistenza abbia sempre dovuto cavarsela da solo rispondendo con altrettanta violenza agli attacchi altrui.
In quella scena Jorge dichiara che indipendentemente dal compromesso, il patto con il diavolo e con il denaro bisogna prima o poi pagarlo. Si tratta di un accomodamento molto pratico, dalla cui accettazione dipende se a soccombere sei tu o il tuo prossimo.
Alcuni parallelismi
Esattamente, siamo messi in una condizione che ci costringe ad agire uno contro l’altro. Parliamo di un destino in cui uomini e animali sono equiparati in una maniera che ricorda lo Steinbeck di Uomini e topi. A dircelo, oltre alla scena iniziale, è la circolarità narrativa che mette in corrispondenza la sepoltura del gallo con quella del fantoccio del minatore. Pur in un contesto differente, ma in un’orizzonte di eguale disumanità, i sassi necessari a seppellire il bambolotto appaiono di foggia simile a quelli usati per coprire il cadavere dell’animale. Ripensando a quelle immagini esisteva in te la volontà di restituire tale paragone?
Sì, certamente. In qualche modo volevo che la sequenza iniziale fosse metafora dell’intero film e in particolare del viaggio del nostro protagonista. Mi interessava che l’inizio ne racchiudesse un po’ il destino. La circolarità di cui parli è data dal fatto che il pietrisco presente sulle pendici delle colline di Lima – necessario alla sistemazione di nuovi terrazzamenti – è quello di riporto proveniente dall’escavazione dei tunnel della miniera in cui lavora il protagonista.
Gli elementi di Mother Lode di Matteo Tortone
Mother Lode è attraversato dalla convivenza di elementi drammaturgici e narrativi di segno opposto. Penso all’importanza del reale e al peso drammaturgico della componente onirica, ma anche alla montagna, alta fino al cielo e nel contempo immersa negli abissi scavati al suo interno dalla miniera.
Con il direttore della fotografia Patrick Tresch abbiamo cercato di mantenere sempre presente questo ossimoro, soprattutto nelle riprese dentro la miniera in cui il buio si alterna alla luce delle lampade dei minatori. A un certo punto mi sono accorto che il film stava diventando una sorta di contraltare de La montagna sacra. Nella letteratura le ascensioni sono spesso sinonimo dell’incontro con una divinità benefica: nel caso de La Montagna sacra c’è anche quello con la conoscenza. Al contrario noi stavamo facendo un’ascensione agli inferi. Era come se l’inferno si fosse capovolto per cui, invece della conoscenza e della verità, ai nostri personaggi stava per toccare la visita con questo essere demoniaco.
L’ambientazione di Mother Lode di Matteo Tortone
Le inquadrature testimoniano l’avvicinarsi del protagonista alla miniera attraverso immagini di un paesaggio sempre più rarefatto e spettrale, con la nebbia che annuncia una sorta di buio dell’anima. In questo senso Mother Lode sembra una nuova Divina Commedia.
La scelta dell’ambiente è stato determinante per avere la resa di cui parli. L’estetica del paesaggio fa sì che il viaggio di Jorge diventi una specie di conquista di uno spazio extraterrestre.
La tua ultima affermazione trova conferma nel modo in cui filmi il protagonista all’interno del moto taxi. All’inizio la semi soggettiva di Jorge è filmata con un fish eye che deforma l’abitacolo facendolo sembrare simile a una navicella spaziale. In seguito la sensazione di stare in uno spazio extraterrestre ci è data dalle immagini del mondo esterno la cui rarefazione fa sì che in Mother Lode passato e futuro siano intercambiabili. In qualche modo Mother Lode potrebbe essere ambientato in un mondo distopico.
Sì, è vero. A un certo punto uno può quasi chiedersi se si tratta di un film di fantascienza. A proposito del paragone tra la navicella e il moto taxi quest’ultima è qualcosa di più di un semplice mezzo di locomozione: per persone come Jorge è un sostentamento, ma anche il modo di manifestare la propria personalità attraverso il culto della velocità e la presenza di piccoli addobbi dentro e fuori la scocca del motoveicolo. A volte Jorge e i suoi amici organizzano delle gare che per motivi tecnici ho deciso di non filmare, ma che avrebbero ben evidenziato la tensione verso la velocità, caratteristica questa, riconducibile al futurismo di cui si parlava.
Le immagini
Nelle riprese in città inquadri Jorge alla guida del mezzo standogli davanti ed escludendo la visione della strada. Al contrario durante il viaggio sul bus che lo porta alla miniera utilizzi la situazione opposta. Non solo Jorge non è più alla guida, ma sovente ne riproduci il punto di vista mostrando allo spettatore particolari dell’itinerario e del paesaggio circostante. Il cambio di strategia ti permette di sottolineare non solo il mancato controllo della realtà da parte del personaggio, ma anche le incognite che lo accompagnano nell’attraversamento di un territorio sconosciuto. Si tratta di immagini evocative delle incognite legate al cambiamento esistenziale del protagonista.
È così. Prima di girare ho riflettuto molto sul da farsi. Con Patrick abbiamo parlato a lungo della natura dello sguardo: ho cercato di iniziare il film con un punto di vista più oggettivo per poi soggettivarlo con il procedere degli eventi. Così a un certo punto vediamo il protagonista accerchiato dalle minacce suscitate dal suo racconto, con lo spettatore pronto a riconoscerle nelle strade e nei villaggi attraversati dal ragazzo. Senza mai dichiararlo mi sono reso conto che l’occhio della camera e il pedinamento del protagonista potrebbero essere in qualche modo lo sguardo e la volontà del presunto predatore.
La doppia narrazione di Mother Lode di Matteo Tortone
Fin dall’inizio manifesti la presenza di una doppia narrazione: quella legata alla realtà delle immagini e l’altra, conseguenza del flusso interiore del protagonista. L’occhio deformante della mdp e prima ancora la discontinuità tra la musica e le immagini a rallentatore preannunciano l’interiorizzazione di cui parlavi poc’anzi.
Quando ho conosciuto Jorge, dopo cinque minuti di convenevoli mi ha raccontato che a tredici anni, iniziando a lavorare in miniera, aveva scoperto che l’oro apparteneva al diavolo. Siccome è una questione che mi interessava tantissimo, volevo dare la possibilità allo spettatore di immaginarsi questa costruzione del pensiero magico così come avviene nel cervello di un ragazzino. Jorge ha supportato tutto questo attraverso un quaderno dove in forma di diario aveva scritto i racconti e le sensazioni di quel periodo. Quando ha iniziato a scrivere non si rendeva conto di ciò che era la realtà intesa come mondo fisico e di quello che era il pensiero magico. Anche perché siamo comunque in un contesto in cui è naturale parlare di spiriti, di gente che appare e scompare, in un quadro generale amplificato dall’uso smodato di alcool e dall’assurdità della vita in miniera. Attraverso una forma a volte anche fiabesca volevo ricostruire questi concetti: far vedere l’ingenua banalità dalla quale tutto comincia per poi cadere nell’abisso spirituale.
Immagini che parlano
Come succede nel documentario racconti il protagonista senza farci conoscere la sua biografia, ma lasciando che siano le immagini a farcela intuire. Più di una volta ti soffermi sulla mani del protagonista. La prima volta sono macchiate dal grasso del motore, la seconda reggono la fune che gli consente di tenersi in equilibrio sul carro che percorre una strada accidentata. Da una parte c’è la conferma di Jorge come homo faber, abituato a sporcarsi le mani, dall’altra la condizione quasi schiavistica del lavoro in miniera.
Le mani sporche sono presenti in un momento in cui lui si sente impotente per non riuscire a riparare il motore, ritrovandosi costretto a cercare altre fonti di sostentamento capaci di offrire alla figlia un destino migliore del suo. Nella seconda parte c’è questo filo che probabilmente rappresenta la corda della fortuna alla quale ci si aggrappa e che spesso ti porta a perdere tutto. Se i genitori di Jorge credevano in una visione di prosperità collettiva, il ragazzo è del tutto devoto all’idea di fortuna personale e individuale. Dunque per me quella è una corda tesa verso l’abisso.
L’elemento magico in Mother Lode di Matteo Tortone
Parlando del magico e del fiabesco presente all’interno del film, nella prima delle due scene di cui sto per chiederti è come se mostrassi l’attimo in cui il protagonista nel fondo del tunnel riceve il soffio di quel diavolo di cui si parla nelle leggende dei minatori. Subito dopo c’è la sequenza di una sorta di sabba felliniano.
La Rinconada (città mineraria, ndr) è un luogo molto particolare perché cosparso da centinaia di pupazzi che trovano l’apoteosi nella scena finale. Questi rappresentano al tempo stesso gli antenati, ma anche i minatori scomparsi e corrispondono nelle fattezze alla descrizione del diavolo ascoltata nel corso del film. Io e la troupe non sapevamo che a Carnevale venissero sostituite con nuove figure relative alla gente scomparsa o deceduta. Per questa ragione mi sembra che la messinscena dell’allegoria riuscisse in qualche modo a far convergere in un sol punto tutti i discorsi di natura semantica; che l’onirico, la metafora, il simbolo potessero essere rappresentati nel loro insieme. Di fatto quella danza macabra o sabba che dir si voglia rappresenta l’accettazione del sacrificio come unica possibilità di salvezza per la comunità. E come se la gente del luogo fosse consapevole che la produzione di ricchezza necessità dei sacrifici umani a beneficio del cosiddetto PIL della comunità. La presenza delle maschere e della banda mi hanno immediatamente portato nell’immaginario felliniano. E credo che questo richiamo sia più esplicito attraverso la scelta musicale. In principio c’era la volontà di sovrapporre una musica con un chiaro richiamo europeo, per chiudere una linea narrativa quasi subliminale, ma che accompagna Jorge nel suo viaggio: il colonialismo. Così con Ivan Pisino, che ha composto la colonna sonora, abbiamo ragionato su un ritmo di walzer e un’orchestrazione che richiamasse alcuni strumenti utilizzati dalla banda in scena. Pisino ha composto un’orchestrazione per banda sinfonica, molto complessa, cercando una dialettica con il modello compositivo del Nino Rota più conosciuto. L’effetto è a mio avviso impressionante. La composizione è talmente riuscita da sembrare già ampiamente storicizzata, come fosse un grande classico.
Nel film il documentario convive con i codici di finzione. Mother Lode è pieno di sconfinamenti capaci di dar vita a un equilibrio perfetto del linguaggio cinematografico.
Molto è dovuto alla scrittura e all’idea del film sorta nel corso dei sopralluoghi fatti nel 2016. Nel corso del viaggio Jorge attraverso la lettura dei suoi racconti mi faceva entrare nel pensiero magico e dunque in ciò che non potevo vedere del mondo della miniera. Dall’altra parte mi sono reso conto che in ogni villaggio esiste una statua di un minatore senza nome. A quel punto abbiamo capito che volevamo raccontare la storia di Jorge ma soprattutto del minatore ignoto perché di persone senza nome è piena la storia dell’oro, fatta di milioni di morti. Lavoratori per la ricchezza delle nazioni, ma non per la loro. Insieme a Jorge abbiamo creato la storia di un ragazzo che diventa minatore e poi scompare. A livello di messinscena abbiamo cercato di sovrapporre un atteggiamento documentaristico a una forma invece molto rigorosa. Il tutto senza renderla rigida, ma permettendole di andare a incontrare quelle che in un film di finzione sarebbero le comparse e dunque a rendere il mondo interno al lungometraggio molto vivo e verosimile sia che lo si guardi dal punto di vista del documentario, sia che lo si faccia dal quello della finzione.
Riferimenti e richiami
È giusto citare Roberto Minervini come riferimento possibile del tuo cinema?
Sono affezionato a forme di cinema impossibili come lo sono quelle create da Bela Tarr. A Minervini questo film in particolare deve molto nella ricerca dell’idea di violenza anche se poi esteticamente ne rimane molto distante. Al di là della storia mi piace quel cinema capace di metterti al centro di un mondo esteticamente coerente per farti fare un’esperienza immersiva allontanandosi dal “naturalismo”. In questo senso Bela Tarr mi sembra il più rappresentativo.
Scegli un bianco e nero allo stesso tempo archetipico e documentaristico. Una soluzione capace di essere comprensiva tanto degli aspetti onirici che di quelli realisti presenti all’interno dell’immagine.
Hai appena elencato le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere il bianco e nero al di là del piacere in senso estetico che mi provoca. Aggiungo solo che la storia dell’oro ha prodotto molta ricchezza, al prezzo di decine di milioni di morti fra i minatori. Che certo non hanno beneficiato del loro durissimo lavoro. In bianco e nero l’oro non è distinguibile dalle altre pietre e questo mi permetteva di sottendere il senso di inutilità del lavoro di minatore. Un Sisifo costretto all’autodistruzione attraverso la ripetizione identica di un lavoro massacrante. Con minime possibilità di goderne i frutti.
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