Presentato in anteprima mondiale nella sezione Panorama dell’ultimo edizione della Berlinale, Nel mio nome di Nicolò Bassetti racconta la transizione di genere lontano dagli stereotipi di una società impreparata a fronteggiare il coraggio e la libertà di quattro ragazzi in cerca di una vita vera. Produce Eliott Page.
Nel mio nome è il documentario di Nicolò Bassetti, il cui rivenditore estero è Cinephil. La pellicola è al Cinema per un evento speciale , distribuito da I Wonder Pictures.
Nel mio nome di Nicolò Bassetti
Dal punto di vista narrativo Nel mio nome racconta il rito di passaggio di quattro esistenze in via di trasformazione. In senso più ampio il film mette in scena il superamento di limiti che appartengono al corpo fisico dei protagonisti, ma soprattutto a quello sociale, rappresentato dall’incapacità del corpus legislativo di regolare lo status dei cittadini che transitano da un genere all’altro.
Ti ringrazio, la domanda è molto interessante e allo stesso tempo complessa perché la tua affermazione contiene l’intero film. Provando a riassumere, ho cercato di raccontare la dignità di ragazzi che hanno il coraggio di determinare il proprio ruolo nel mondo, di cui la scelta del nome è emblema. Nel mio nome mette in evidenza l’importanza di farlo in un tempo in cui quello che abbiamo ce lo danno gli altri. Ci viene assegnato assieme al ruolo che è diretta conseguenza della binarietà del nome. Se noi immaginiamo un mondo come un grande teatro possiamo dire che ogni giorno performiamo una recita: ci svegliamo la mattina e mettiamo in scena noi stessi, interpretando una ruolo che non abbiamo scelto. Ci è stato detto: “questa è la tua parte, devi giocare con le automobiline, devi vestirti da maschietto e come tale devi comportarti”. È come essere in prigione. Se, invece, decidi di raccontare una storia che prescinde da questo è come navigare senza bussola. Quando Leo parla dello spazio e delle colonne d’Ercole dice che superandole entri in uno spazio vuoto in cui non ci sono più riferimenti.
Questa è stata la sfida del film, uscire dalla determinazione di cos’è la femminilità e la mascolinità per dire che quei codici sono obsoleti. Questi ragazzi hanno il coraggio di vivere la quotidianità utilizzando ironia, dignità e il reciproco aiuto che gli permette di stare fuori da questi codici. Non passano da un punto a a un punto b perché loro sono alla ricerca di se stessi. Se così non fosse ricadrebbero in quella ricodificazione tipica delle leggi e degli stereotipi da cui si vogliono allontanare.
Il percorso dei personaggi
Se il conflitto nasce dalla paura e dalla mancanza di conoscenza, Nel mio nome svolge una funzione catartica nel percorso esistenziale dei protagonisti, finalmente pronti a offrire al mondo la propria esperienza rilanciando il valore educativo del racconto cinematografico.
Sì, certo, mettersi in gioco in questo modo ti fa capire la loro audacia. Nico inizia la storia con una riconoscibilità al femminile e la finisce venendo identificato in modo diverso. Il suo è un processo di straordinaria autodeterminazione, capace di sovvertire tutti i codici. Partecipare al film per loro è stato catartico, ma all’inizio avevano timore. La garanzia che ho potuto dargli era quella di essere padre di una persona transgender e dunque predisposto a filmare la loro storia con l’amore genitoriale. Dopo aver conosciuto Matteo gli altri hanno iniziato a darmi la fiducia necessaria e adesso mio figlio è diventato uno dei loro migliori amici.
La sintonia con i personaggi
Se l’idea di uno dei ragazzi di realizzare un podcast sull’esperienza dei protagonisti ti serviva per inserire le immagini all’interno di una continuità narrativa, è soprattutto attraverso il montaggio che trasmetti la libertà con cui fluiscono i pensieri dei ragazzi. Le singole scene non sono introdotte da alcun preambolo e non rispettano una prestabilita unità spazio temporale. Questo permette allo spettatore di entrare in sintonia con lo stato d’animo dei protagonisti e con la voglia di andare oltre le convenzioni.
Ti ringrazio perché le tue osservazioni riconoscono delle scelte del film che sono tutte quelle che hai detto, quindi te le confermo dalla prima all’ultima. Nel mio nome è stato scritto interamente al montaggio. Prima di questo c’era un struttura articolata su alcuni pilastri: il primo era il proposito di stare fuori dallo stereotipo maschile/femminile, raccontando le persone non per i codici e i ruoli di appartenenza assegnatigli, ma descrivendoli per quello che sono.
L’altro era quello di mettere i ragazzi in una confort zone. Per riuscirci, come hai giustamente rilevato, ho detto ai ragazzi di portare dentro il film uno spazio narrativo proprio con cui potessero sentirsi a proprio agio e che però contenesse una loro ossessione. Ognuno doveva cercare tra quelle proprie. Leo, con la sua laurea sui rapsodi greci, ha scelto di privilegiare la memoria orale, da cui il podcast in cui dice che le persone transgender devono convivere con una memoria infantile non conforme. Questa cosa per lui era importante raccontarla quindi gli ho detto, bene! questo è il tuo spazio e lui l’ha performata in maniera straordinaria. L’ossessione di Raffaele, meccanico ciclista, era quella di farsi una bicicletta da uomo rosa, colore che aveva imparato a odiare e con cui si è riconciliato. Per Andrea invece è stata la sua macchina da scrivere, un oggetto di transizione che gli avevano regalato da piccolo. Da accanito lettore, per lui letteratura e scrittura sono l’appiglio alla vita. Con Nico ci siamo riconosciuti entrambi esploratori nel senso che io ho fatto tutto il giro del Grande Raccordo Anulare da cui poi è nato il film di Rosi Sacro G.R.A, mentre lui lo è dei luoghi in transizione, quelli in cui si trova meglio. Posti che hanno perso la loro identità e che sono ancora in cerca di quella nuova.
Le emozioni nel film di Nicolò Bassetti
Da parte tua è evidente l’intenzione di accompagnare la narrazione fattuale a quella emotivo sentimentale. In questo senso mi pare che l’interiorizzazione della storia sia favorita sia dall’espediente del podcast, e dunque dall’importanza conferita all’ascolto della parola, sia dal rapporto tra lo spazio e le figure umane. Per come li metti in scena è come se le parole e i sentimenti servissero a riempire i vuoti dello spazio.
Le tue affermazioni mi fanno molto piacere perché è bello incontrare una persona che ha prestato così tanta attenzione a quello che ho voluto mettere nel film. Effettivamente questo era un lungometraggio in cui c’erano tante cose da dire. I ragazzi avevano tanto da comunicare. Ho trovato la loro vita strapiena di esperienze da raccontare proprio perché erano cose che venivano dalla normalità della loro esistenza. Nel mio nome è un film pieno di parole che, come dici tu, hanno riempito i vuoti degli spazi. Questo per dire che Nel mio nome è un film da ascoltare oltre che da guardare.
Nel film c’è uno scarto tra la nitidezza delle immagini di oggi e la scarsa fattura di quelle appartenenti alla vita passata. Mi sembra un bel modo di raccontare i diversi stati d’animo che legano i protagonisti ai diversi momenti della loro vita.
L’idea era quella di inserire immagini che raccontassero un’epoca e una performance legate all’identità femminile. Alcune di queste appartengono ai ragazzi, altre no. L’importante era che loro ci si riflettessero dentro. Le abbiamo scelte insieme: il fatto di essere sgranate equivaleva a dire che si riferivano a un passato malinconico in cui i ragazzi si sentivano prigionieri. Leo dice che già a otto anni si rese conto di non avere scampo, incastrato all’interno del ruolo assegnatogli. Era come essere in prigione a causa di una performance che lo obbligava a essere diverso da se stesso. Lì iniziò il disagio e questa cosa l’ho rappresentata con immagini in cui lo spaesamento è riempito dalle parole. Niccolò racconta di quando, avendo deciso di arrendersi, andava con gli amici in discoteca e costringeva a una performance in cui lui non esisteva più. La tentazione di buttarsi dalla finestra, non riconoscendosi nello specchio che ne rifletteva la figura, ci dice come Nel mio nome racconti anche dei momenti drammatici, seppur filtrati dalla dignità e dall’ironia dei ragazzi.
L’incontro di Nicolò Bassetti con Elliot Page
Il film è prodotto da Elliot Page. Parliamo del vostro incontro.
Con Page è stato un incontro straordinario voluto tenacemente dell’esecutivo producer Gaia Morione. Lei ha avuto un grandissimo coraggio perché quando mi ha proposto di contattarlo gli ho risposto che non ci avrebbero neanche considerato. Invece lei ha trovato questo contatto a Los Angeles. Abbiamo scritto a una persona dello staff di Page, Tac, anche lui transgender che l’ha fatto vedere a Page.
La sua risposta me la ricordo a memoria. Mi disse, testuali parole: ho visto Nel mio nome. Mi è piaciuto tantissimo, mi ci sono identificato. Cosa posso fare io per questo film.
Da lì è iniziata la nostra avventura insieme. Mi rendo conto che questa storia è quasi una favola, ma il merito va alla tenacia di Gaia. Questo ti dà l’idea di come Nel mio nome sia stato realizzato attraverso un gioco di squadra in cui ognuno ha creduto fino in fondo. Ci ha creduto Gaia, lo hanno fatto i ragazzi. Io ci ho messo l’anima, mio figlio è stato il mio mentore. Dietro questa storia c’è una grande squadra.
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