In concorso al Festival di Cannes 2021 Red Rocket è la conferma del talento irriverente e iconoclasta di Sean Baker, anche qui cantore di un’America lontana dalle pagine della Storia ufficiale. Con il regista di Tangerine e Un sogno chiamato Florida abbiamo affrontato alcuni temi del film.
Red Rocket è distribuito da Universal Pictures.
L’America di Sean Baker in Red Rocket
Red Rocket racconta un’America a doppia velocità: da un lato ci sono le architetture industriali tipiche della grande produzione capitalistica, dall’altro la periferia e le casupole dove il protagonista organizza i suoi piccoli commerci. Le lunghe carrellate in cui vediamo Mikey Saber andare a lavoro fanno del protagonista una sorta di Cowboy contemporaneo che, al posto dei Canyon, si ritrova a cavalcare in una cornice di ciminiere eternamente fumanti.
Sì, abbiamo volutamente sostituito i panorami e i paesaggi della natura con scorci urbani e industriali perché è così che vedo l’America in questo momento. E sì, sono d’accordo con te, sul legame che le immagini stabiliscono con il modo in cui il west o il Mid America veniva flmato. Tu lo hai praticamente spiegato per cui sono d’accordo con la tua analisi.
La crisi del maschio Alfa è anche quella di un intero sistema, specialmente di quello politico, colto nella sua lontananza dai problemi dei cittadini. Una posizione, la tua, palesata dal fatto di relegare le risultanze della campagna elettorale per l’elezione del Presidente a rumore di sottofondo proveniente da radio e televisioni.
Nonostante sia basato sulla realtà, con Red Rocket volevo capovolgere quello che siamo abituati a vedere per mostrare un contesto alternativo altrettanto reale. Tu hai accennato al fatto che i personaggi non sono collegati ai politici e questo è vero; tuttavia in qualche modo lo diventano attraverso il ricorso a un sentimento culturale pop. Se facciamo riferimento all’elezione del 2016, ci accorgiamo che da quel momento in poi le successive sono state organizzate con lo stesso modello, e cioè come uno show televisivo in cui si offrono pettegolezzi e drammi relativi ai candidati.
Così facendo le persone si sintonizzano sui vari canali non per conoscere la politica dei contendenti bensì per vedere se, per esempio, durante il confronto tra Trump e Clinton si verificano dei momenti imbarazzanti. Purtroppo penso che in questo momento sia questa la connessione tra la popolazione americana e la politica della Nazione.
Alcuni momenti del film
La dissidenza dall’ordine ufficiale è tipica del tuo cinema. Qui è presente in due scene di massimo sberleffo: la prima in cui Mikey si rolla una canna con cartine in cui è raffigurata la bandiera americana. La seconda, ancora più eloquente, in cui il protagonista nudo e inseguito dai suoi persecutori sfila con il sesso pendolante di fronte alla bandiera nazionale e a quella dell’Unione. Si tratta di due sequenze molto divertenti e colme di significato.
Innanzitutto grazie! Preferisco far vedere più che raccontare, dunque le immagini che uniscono i nostri personaggi al patriottismo e ai colori nazionali ho cercato di crearle in altro modo. Invece di avere persone che parlano di politica e dello stato delle cose, le sequenze in questione mi pare siano più che eloquenti a proposito del sentimento dei protagonisti rispetto all’America contemporanea.
Riferimenti e richiami per il Red Rocket di Sean Baker
Come ho scritto nella recensione del film, il fatto che il tuo cinema sia picaresco fa sì che un personaggio come Mikey Saber abbia più di un punto in comune con i tipi umani della commedia all’italiana dei vari Risi e Monicelli. In particolare il carattere da simpatico lestofante del protagonista ricorda quello interpretato da Gassman ne Il sorpasso. È una considerazione giusta?
Oh sì, naturalmente, al cento per cento e mi fa piacere che tu ci abbia pensato perché Dino Risi e i suoi colleghi hanno avuto un’incredibile influenza sulla mia formazione. Con Red Rocket ho cercato di raccontare un personaggio pasticcione e inetto sul tipo di quelli presenti in quelle commedie. La scorsa notte su Mubi sono riuscito a vedere per la prima volta Il maestro di Vigevano di Elio Petri ed è stato molto interessante notare come i film di quel periodo avessero a che fare più con la politica che con il sesso. Era un tipo di commedia italiana meno orientata alla politica sessuale e e più in generale al sesso e più propensa a confrontarsi con la coscienza di classe. Ho studiato molto questo aspetto, anche prima di girare Red Rocket, e credo che la mia passione per quel cinema si noti molto nel corso del film. Per questo sono felice che tu l’abbia capita. In generale per me è interessante seguire come questo tipo di personaggio si sia sviluppato nel cinema italiano degli anni sessanta e di inizio settanta.
Red Rocket è anche un film che racconta i fantasmi del desiderio maschile. In questo senso l’ultima scena è davvero iconica nel rappresentare attraverso l’immagine di Strawberry la speranza di una virilità fin lì notevolmente frustrata. Ritengo quella scena una delle più belle e iconiche tra quelle viste negli ultimi anni per cui vorrei saperne qualcosa in più.
Grazie per i complimenti. Per la verità avevo solo un certo numero di scelte su come avrei potuto concludere il film. Si trattava di finali molto esplicativi e direi quasi didascalici dove avrei spiegato esattamente cosa era successo a Mikey e Strawberry. A me, però, interessava permettere al pubblico di entrare veramente nella mente di Mikey proprio quegli ultimi trenta secondi anche se questo avrebbe lasciato in sospeso lo spettatore sugli esisti della storia. La mia intenzione era quella di fare entrare le persone dentro la testa del protagonista per far scrivere a ciascuno di loro il proprio finale. Questo è stato deciso solo un paio di settimane prima di iniziare a girare. Avevo scritto alcuni finali che però non mi sembravano interessanti: a quel punto con Drew Daniels, il direttore della fotografia, abbiamo iniziato a pensare a come filmare il finale cercando di dare una diversa interpretazione dei fatti. All’epoca ero cosciente del pericolo di affrontare il tema dell’omosessualità maschile: sapevo che parlare dell’omosessualità di Mickey molto probabilmente avrebbe allontanato alcuni spettatori o quantomeno li avrebbe messi in una posizione scomoda, specialmente per come termina il film. Però, per me era importante farlo, mi sembrava l’approccio più onesto e veritiero.
La scelta degli attori e dei personaggi per Sean Baker in Red Rocket e non solo
Mi sembra che, per il tipo di cinema che fai, sia indispensabile scegliere attori che corrispondano all’immagine che ti sei fatto a proposito dei personaggi. Spesso scegli di lavorare con interpreti alle prime armi pur di far corrispondere il film alla sua idea originale. Mi azzardo a dire che solo così riesci a credere nella storia che racconti. Alla fine penso che il perfetto connubio tra attore e personaggio sia la tua principale fonte di ispirazione.
È vero, devo ammetterlo, io devo credere al mio film perché, come registi, ci mettiamo in una situazione strana: amiamo il cinema, siamo cinefili e l’unico motivo per cui vogliamo fare film è perché ci ricordiamo l’effetto che questi hanno avuto su di noi quando eravamo giovani. L’obiettivo costante è quello di ricreare tutto questo, di fare qualcosa che abbia lo stesso effetto su di noi ora che siamo adulti. Allo stesso tempo siamo consapevoli della sua impossibilità perché conosciamo i meccanismi della produzione cinematografica. Quindi sembra quasi che questo sforzo sia vano anche se io faccio del mio meglio per realizzare qualcosa per me stesso pur sapendo che non sarò mai in grado di assaporarlo come succedeva un tempo. Faccio del mio meglio per presentare qualcosa nel quale ho creduto, qualcosa che mi travolge. Lo faccio girando in location reali, cercando di avere meno influenze possibili, di avere meno musica possibile e, come hai detto, usando attori che a volte sono originari dei posti in cui giro o che hanno avuto esperienze di vita simili a quelle dei personaggi. Questo mi permette di perdermi nella storia, specialmente mentre la sto girando. E quindi sì, per me gli attori diventano dei messaggeri indispensabili per raggiungere il realismo più velocemente possibile e nella maniera migliore.
Ho paragonato la poetica del tuo cinema a quella di Paul Thomas Anderson. Entrambi siete cantori dell’altra America, oltre al fatto che luoghi e personaggi raccontati hanno spesso una matrice comune. Quello che però maggiormente vi unisce è la mancanza di compiacimento rispetto alle imperfezioni dei vostri protagonisti, assieme al profondo amore nei confronti della loro umanità.
Credo che Paul Thomas Anderson abbia più o meno la mia età, per cui entrambi siamo stati influenzati dallo stesso cinema che poi è quello degli anni sessanta e settanta, con la Nuova Hollywood e tutte le cose meravigliose che sono accadute in quel periodo. Questo ci ha dato modo di venire a contatto con un nuovo modo di fare film, film nei quali al centro della scena c’erano gli antieroi, soggetti che forse potevano disturbare e mettere a disagio lo spettatore per il fatto di esplorarne il lato più oscuro o la morale non definita. Il cinema di oggi è sempre a favore della giustizia e santifica i personaggi rendendoli di fatto innocui e incapaci di fare alcun male. Noi siamo più interessati a quelli che fluiscono perché vogliamo che i nostri protagonisti siano umani e come tali pieni di imperfezioni. Credo che questo sia quello che ci unisce. Anche se facciamo film molto diversi, quando guardo a PTA vedo un autore di grande successo. La sua carriera come regista per me è motivo di grande ispirazione per come riesce a fare cinema e a portare avanti i suoi progetti. Ecco, questo è quello che mi lega a lui.
Per la traduzione dall’inglese si ringrazia Cristina Vardanega