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In Sala

‘Luigi Proietti detto Gigi’. Storia di un paese intero che ride

Ritratto di un gigante. Arriva in sala il documentario di Edoardo Leo, già presentato alla Festa del Cinema di Roma in ottobre. È un lavoro celere ma attento, commosso; frutto non di devozione ma di gratitudine. Nasce da una domanda: far ridere un paese intero, qual è il segreto? La risposta, alla fine del film, è tanto ovvia quanto irrefutabile.

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Luigi Proietti detto Gigi di Edoardo Leo, prodotto da Italian International Film e Alea Film, con Rai Cinema, Politeama e Lexus, sarà proiettato nelle sale italiane da oggi al 9 marzo con la distribuzione di Nexo Digital – in collaborazione con Il Messaggero, Radio Capital e MYmovies.it. Il regista, che ha scritto il soggetto con Marco Bonini, aveva raccolto due anni d’interviste dell’attore per un documentario sullo spettacolo A me gli occhi, please. Dopo la scomparsa di Proietti, il 2 novembre 2020, il materiale viene rielaborato. L’intento non era ricostruirne la carriera, annuncia in apertura il regista-voce narrante, quanto scoprire, se possibile, il suo «segreto».

Alla fine dei 90 minuti circa, giunge una delle possibili risposte, senz’altro la più evidente; nel frattempo il film ripercorre le tappe fondamentali del suo percorso attoriale, attraverso la combinazione di immagini di repertorio e interviste originali: la sorella Anna Maria, le figlie Carlotta e Susanna e, tra gli altri, Renzo Arbore, Paola Cortellesi, Fiorello, Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Loretta Goggi, Nicola Piovani. Sorprende l’assenza dei suoi allievi, per esempio Enrico Brignano e Flavio Insinna, studenti del Laboratorio di esercitazioni sceniche Brancaccio, frequentato dallo stesso regista. L’equilibrio nel montaggio tra le parti è incerto, ma il ritratto finale è limpido.

Luigi Proietti. Ritratto di un gigante

Gigi Proietti nasce a Roma nel 1940. A tre anni, dopo aver recitato una poesia, riceve i primi applausi da amici e parenti e lui, in risposta, si protende in numerosi inchini. Intorno ai dieci anni si trasferisce con i genitori e la sorella Anna Maria – che racconta le loro origini – in una casa popolare del quartiere Tufello. In questo contesto, verosimilmente, Proietti ragazzo trova ispirazione per la sua indole comica e per la creazione delle prime maschere, osservando l’istintiva ilarità romanesca attorno a sé. A casa «si rideva molto», racconta la sorella, anche durante la guerra. Già dai primi aneddoti familiari s’intuisce come il saper ridere, e il far ridere, siano un fatto di educazione.

Il padre vuole che Gigi diventi avvocato, ma il ragazzo desidera guadagnare i primi soldi; inizia l’università a Roma e nel frattempo suona la chitarra e canta nei night club con un gruppo di amici. Frequenta allora il Centro universitario teatrale e viene notato da un insegnante, Giancarlo Cobelli, il quale gli propone il ruolo in uno spettacolo; il ragazzo rifiuta, vuole fare musica e lavorare, ma infine cede.

Il destino di Proietti

Così ha inizio il destino di Gigi Proietti, incontro dopo incontro, proposta dopo proposta: Il can can degli italiani, il Don Chisciotte dedicato ai ragazzi per la Rai nel 1970, l’adesione al Gruppo 101 di Antonio Calenda, il doppiaggio (Marlon Brando, Dustin Hoffman, Donald Sutherland, Gatto Silvestro, Genio di Aladdin), la commedia musicale Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini, la contaminazione dei generi in Fatti e fattacci di Roberto Lerici, il lavoro a fianco di Carmelo Bene, l’amicizia con Vittorio Gassmann («Gigi, una macchina teatrale perfetta»), l’incontro con Eduardo De Filippo (la cui rievocazione dello stesso Proietti è da brivido), I sette re di Roma («un saggio di teatro»)… fino allo spettacolo A me gli occhi, please. Questo elenco è ricostruito da Leo con puntualità, perché l’autore collega criticamente le tappe della vita-carriera del suo insegnante. E non taglia le critiche rivolte all’attore negli anni, ma le interpreta.

 

«Popolare significa la possibilità di accogliere, significa accoglienza».

Gigi Proietti

Il segreto di Proietti, unico, per tutti

Ecco infine il «segreto», che in fin dei conti un segreto non è, piuttosto un fatto biografico chiarissimo e ben raccontato: la mediazione perfetta tra le cosiddette culture alta e bassa, tra il comico e il tragico. Canto e recitazione, teatro popolare e teatro impegnato, cinema e televisione, barzellette e letteratura, inclusione e sperimentazione, generosità e rigore. Il percorso e l’esperienza conducono l’attore a dissolvere, e non a demolire, le barriere culturali. Il segreto è la capacità, quindi, di far ridere tutti; e l’intelligenza di ricordare che il pubblico, come il popolo, è uno e uno solo. E in questo non c’è genio, ma naturalezza. Gigi Proietti era un uomo con il potere (o «intuizione», genius in latino) della risata ecumenica.

Il palco, che vale quanto la piazza, è un luogo d’incontro. Per questo rinasce il Teatro Brancaccio, che conduce per sette anni, per portare sul palco i comici delle borgate; per questo viene fondato il Globe Theatre dentro Villa Borghese, per offrire Shakespeare a tutti, nello stesso luogo dove il 2 novembre 2020 si concludeva il corteo laico che lo ha salutato; per questo, nel 2002, dirige Don Giovanni di Mozart in piazza del Popolo a Roma, un’opera lirica per un pubblico di 60 mila persone.

Recitare per gli altri, recitare per tutti, il pubblico anzitutto. Chissà se questa concezione del mestiere attoriale non germogliasse dall’età di tre anni, quando si profondeva in inchini su inchini. «È forse questa umiltà il suo segreto» osserva la voce narrante del regista; «Arte e cultura sono due cose importanti e distinte» ricorda Nicola Piovani. La genialità è più semplice di quanto s’immagini, ma richiede molta coerenza. Per quanto Proietti resti unico, e non gradisse il titolo di «maestro», il suo insegnamento democratico, o la sua testimonianza, debbono restare vivi per gli attori comici italiani.

È questa la risposta a cui lo spettatore viene gradualmente condotto. E la visione del film, tra le interviste di repertorio e quelle originali, crea due moti antitetici, o piuttosto il loro reciproco annullamento: non si ride, perché Gigi Proietti non c’è più, e non si piange, perché basta la sola sua voce per ridere. In questa temporanea sospensione delle emozioni sta una possibile comprensione del mito. E la chiarezza di quanto questo mito manchi a noi tutti.

Gigi Proietti

Gigi Proietti. Fotografia di Anna Camerlingo.

 

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Luigi Proietti detto Gigi

  • Anno: 2021
  • Durata: 90 minuti
  • Distribuzione: Nexo Digital
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Edoardo Leo
  • Data di uscita: 03-March-2022