Anche a Venezia, come a Cannes, il massimo riconoscimento per i film in concorso è andato ad una regista, francese anche lei, Audrey Diwan per il suo L’evenement.
L’opera, tratta da un libro di Annie Ernaux, L’evento, pubblicato in Italia dalla casa editrice L’Orma, racconta la storia di una studentessa che, rimasta incinta, deve affrontare le difficoltà e il dolore di un aborto, in una società nella quale questo ancora non è stato reso legale e deve dunque essere realizzato lungo strade sotterranee e pericolose.
Siamo nel ’63, nella Francia gollista e perbenista dove non si può neanche pronunciare la parola aborto senza rischiare sanzioni penali.
L’evenement è un film completamente diverso da quello risultato vincitore a Cannes, Titane, di Julie Ducournau, dove protagonisti sono altri mostri e altri incubi, tecnologia e post-umanità, con però, sempre al centro, il corpo femminile.
l’événement una dolorosa storia tra tabù e diritti negati
Il Leone e la Palma assegnati dalle giurie dei due festival più importanti del mondo sono figli, giustamente e lecitamente, e come tutti i premi e i riconoscimenti, dello spirito del loro tempo.
Questo non deve scandalizzare.
Barack Obama ricevette il premo Nobel per la pace appena undici mesi dopo l’elezione a presidente degli Stati Uniti, senza ancora aver fatto nulla di tangibile sullo scacchiere mondiale. Ma non era Bush jr., l’uomo che aveva lanciato l’America in due guerre quantomeno discutibili, e tanto bastava, ai giurati e a buona parte dell’opinione pubblica mondiale per dare un senso a quel riconoscimento che solo ad alcuni parve pretestuoso o quantomeno affrettato.
Insomma niente da dire se anche a Venezia si è voluto dare risalto ad un cinema che mette al centro le storie, i problemi, le difficoltà e anche le violenze subite dalle donne.
Interessante è anche, non per mero provincialismo, portare questo dato a casa nostra e rifletterci. Perché di ben 5 film italiani in concorso non ce n’era neanche uno di una nostra regista donna?
Strabismo da parte dei selezionatori, oppure non c’erano tra i film pronti e all’altezza della sezione più importante e in vista di un grande festival internazionale opere realizzate da donne? Non lo sappiamo e non vogliamo quindi dare una risposta.
Sicuramente possiamo dire che di registe donne capaci e interessanti ce ne sono anche in Italia, anche se forse non al livello di Jane Campion.
Più interessante di una discussione del genere è però interrogarsi in che modo si è andato declinando lo sguardo di registe ma anche di scrittrici, drammaturghe, artiste. Che risonanza ha avuto il movimento #metoo sugli schermi, sulle pagine, sui palcoscenici? Ha generato racconti in grado di far fare al dibattito giornalistico un salto di qualità? E poi, su un piano di più lungo periodo, come mai una battaglia storica come quella sull’aborto, solo per citarne una in riferimento al premio veneziano, in Italia non ha avuto esiti artistici in grado di rielaborarla e problematizzarla ? O figure come quelle di Adelaide Aglietta, Tina Anselmi, Nilde Jotti?
Forse sarebbe più fruttuoso interrogarsi su questo e non prodursi nell’ennesima, ombelicale, lamentazione sulle ragioni che non hanno portato Paolo Sorrentino a vincere il Leone d’oro.
Anche perché il suddetto è apparso comunque commosso e soddisfatto nel corso della cerimonia di premiazione.
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