Disponibile dal 1° giugno 2021 su Starzplay, It’s a sin è la nuova miniserie televisiva creata da Russell T Davies. Tematiche importanti e delicate, quali la diffusione dell’AIDS e la gestione della malattia, sono al centro dello splendido show, divenuto in breve un fenomeno in UK.
It’s a sin | La trama
Richie (Olly Alexander) siede per l’ultima volta a tavola con i genitori e la sorella, prima di trasferirsi a Londra e intraprendere gli studi di Legge. Mentre è seduto e chiacchiera con loro, fa mente locale sulle riviste e i materiali che deve nascondere, cosicché la madre non li trovi nella sua stanza.
«Io voglio tutto quanto […] Voglio solo essere felice.»
Roscoe (Omari Douglas) non ha scampo davanti ai riti della famiglia, che somigliano molto al classico vodoo e che dovrebbero liberarlo dalla sua attrazione verso gli uomini. Stanco della situazione, decide di travestirsi da donna e di dire loro addio nell’unico modo che conosce. Con una grande risata.
Colin (Callum Scott Howells) è in procinto di iniziare un apprendistato, quando conosce Henry Coltrane (Neil Patrick Harris), che lo mette in guardia sugli atteggiamenti del datore di lavoro.

I tre si ritroveranno a condividere un appartamento (e non solo) nella Londra del 1981, in compagnia anche dell’intraprendente Jill (Lydia West) e dell’affascinante Ash (Nathaniel Curtis).
Un titolo dalle varie sfumature
Il titolo, It’s a sin, contiene varie sfumature e significati. Letteralmente “é un peccato” può riferirsi all’orientamento sessuale dei protagonisti, al comportamento delle famiglie dopo il coming out dei figli, alle reazioni della società durante la diffusione dell’AIDS.
Insomma di peccatori, reali o fantomatici che siano, se ne incontrano parecchi nel corso degli episodi. Ciascuno di loro però, non è altro che una faccia dell’umanità, una delle sue tantissime espressioni. Talvolta non delle migliori.
Il decennio che va dal 1981 al 1991 evidenzia la problematicità di un periodo storico attraversato da paranoia, intolleranza, sfiducia e ignoranza.
Its’s a sin | Emozioni in piena
It’s a sin racconta in maniera onesta, sensibile e vivace uno spaccato di vita. Richie, Jill, Roscoe, Ash e Colin ne sono i rappresentanti eletti. Le loro vicende permettono al pubblico di avvicinarsi, di partecipare, vivere e respirare l’atmosfera, da un punto di vista privilegiato.

Condotti per mano nella storia, dapprima attratti dai lustrini degli show, dalla simpatia e dall’eccentricità dei personaggi, si viene poi colpiti (e affondati) dall’inevitabile lato drammatico.
Le emozioni montano dentro con un’intensità che travolge come un fiume in piena. La gradualità con cui ciò accade è già un sentore di quanto il prodotto sia valevole.
«Là fuori c’è una spaventosa malattia letale e stanno tutti in silenzio.»
Russell T Davies, da Queer as Folk a It’s a sin
La miniserie in questione ostenta un realismo importante, al quale non è facile arrivare, se non grazie a un buon lavoro di ricerca, a un occhio attento e a un particolare tatto.
Davies – già ideatore e sceneggiatore di un altro capolavoro in tema LGBTQ+, quale Queer as folk – crea un universo variopinto, stratificato, appassionante.
Se si pensa a quante pellicole e serie siano state realizzate sull’argomento, imbattersi in qualcosa che appare ancora fresco e (in)credibile riempie il cuore. E merita senza alcun dubbio almeno una visione.

Dopo una prima colorita presentazione dei protagonisti, che strizza l’occhio al C.R.A.Z.Y. di Jean-Marc Vallée, si viene immersi nella Londra queer degli anni Ottanta e Novanta.
La musica, composta da Murray Gold, assieme alla scelta dei brani, che spaziano dai Blondie ai Pet Shop Boys, ne dà un bellissimo assaggio.
Le storie sono bagagli che ci portiamo dietro
Ogni episodio è ambientato in un anno diverso, dando modo alla storia di procedere senza strappi né eccessivi salti temporali. Le uniche interruzioni dipendono dai flashback o dai sogni di Richie & Co., necessari al fine di conoscerli il più esaurientemente possibile.
Il passato, i progetti, le ambizioni, le ferite fanno parte del bagaglio di questi giovani, alle prese con questioni più grandi di loro, nel culmine della maturazione in qualità di adulti.
L’imprudenza, la curiosità, l’entusiasmo legati all’età, a un certo punto si scontrano con una realtà che più spaventosa e ingrata non si potrebbe. Ma se da una parte li spinge a nascondere la testa sotto la sabbia, a fuggire e a far finta di niente – almeno sino a quando non vengono colpiti da troppo vicino – dall’altra tira fuori il meglio da ciascuno di loro.
«Le persone dimenticano che è stato divertente.»
Chi prima, chi dopo, tutti affrontano le rispettive paure, schierandosi al fianco l’uno dell’altro, consapevoli che sia quella l’unica (e ultima) cosa giusta da fare.
Quando la famiglia è la nota discordante
L’affiatamento tra i singoli componenti del piccolo gruppo risalta come una vera e propria sinfonia, anche a livello visivo: il piano sequenza durante cui si svolgono i turni del bagno e si stabiliscono i ritmi della casa è emblematico in tal senso.

Nel mezzo, le famiglie mostrano vari aspetti di una quotidianità e di una routine non sempre così sane. Crescere tra esempi di razzismo e bacchettoneria dei più disparati delinea una strada in salita per chi ha bisogno di libertà, rispetto e amore.
Affinché uno sappia come gestirli, deve riuscire almeno a riconoscerli e, per farlo, deve averne fatto esperienza. In caso contrario, i risultati parlan da sé. Ed ecco perché, per alcuni, il ritorno a casa diventa ancora più straziante che per altri.
*Salve sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.