‘Memory Box’ a Berlino il film di Hadjithomas e Joreige
Protagonista di Berlino 71 il film racconta la storia di una adolescente al cospetto della scatola che contiene la memoria della madre alla sua età in una Beirut sotto guerra civile
Ora è di nuovo in programma, in concorso alla Berlinale summer special che si concluderà il 20 giugno.
Cosa racconta Memory Box
Memory Box è la storia di Maia che nella sua casa di Montreal, dove vive insieme alla figlia Alex, riceve prima della notte di Natale una scatola piena di giornali, nastri registrati e fotografie. La donna è riluttante ad aprire la scatola e lo fa per lei sua figlia Alex, costretta a casa da una tempesta di neve e curiosa di scoprire il contenuto misterioso. Dentro trova la vita di sua madre quando, negli anni ’80, da ragazza, viveva a Beirut, sconquassata da una brutale guerra civile.
L’idea del film
Il film è di finzione ma non privo di contenuti autobiografici degli autori, nonché di avvenimenti storici come la guerra civile libanese che fa da sfondo all’intera vicenda. Ci sono le fotografie dell’archivio di Khalil Joreige e soprattutto la storia personale di Joana Hadjithomas: quando una sua amica di stanza a Beirut lascia la capitale libanese per trasferirsi a Parigi decide di intraprendere una corrispondenza quotidiana con lei dal 1982 al 1988. Questo materiale suscita la curiosità della figlia e nasce da lì l’idea di raccontare invece tutto in Memory Box.
Il linguaggio di Memory Box
Il film è la riscoperta di tanto materiale analogico appartenente agli anni ’80: musicassette registrate con la voce di Maia, fotografie in pellicola. Tutto questo materiale finisce sotto lo sguardo di una adolescente che “registra la sua vita con il cellulare”, come dichiara Joreige parlado di sua figlia, al contrario di quanto fatto da lui che ha scattato in pellicola, nel corso di trent’anni, l’imponente mole di fotografie finite in Memory Box. È l’incontro tra due generazioni, tra due linguaggi differenti usati per tenere traccia del passato, dispositivi tecnologici differenti. Un fenomeno ampiamente studiato tra gli altri dallo storico dell’arte André Gunthert proprio in relazione alle nuove generazioni: “il cellulare trasforma ognuno di noi in un turista del quotidiano” (L’immagine condivisa, 2016).
Memory Box è stato girato prima del Covid ma parla incredibilmente di una realtà post covid. La casa di Montreal dove viene consegnata la scatola della memoria è isolata dalla neve e i personaggi sono costretti a rimanere in casa con tutto il tempo a disposizione per scavare nel passato e ritrovare se stessi: “questo è quello che hanno fatto tutti durante il lockdown”, nota Khalil Joreige.
La memoria chiusa in una scatola
Memory Box affronta, attraverso il confronto madre-figlia, la prima non più adolescente e la seconda attualmente adolescente, il tema della guerra civile e della memoria. Beirut tra la seconda metà degli anni ’70 e gli anni ’80 diventa il teatro di una brutale ed estremamente complessa, dal punto di vista storico e politico, guerra civile. Nella scatola di Maia, la protagonista del film, ci sono tutti i ricordi di una ragazza che nonostante la guerra porta avanti la sua vita (anche in questo la regista Joana Hadjithomas vede analogie con quanto sta avvenendo attualmente con la crisi sanitaria in corso). Così Maia raccoglie tutto in fotografie, nastri a cassetta e diari. Chiusa per sempre la scatola una volta abbandonata Beirut per andare in Canada, quel passato torna a bussare alla sua porta costringendola a guardare alla Maia di tanti anni prima sotto le macerie del Libano invaso dalla guerra civile.
Qui il trailer di Memory Box
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