The Strain è una serie ideata nel 2014 da Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, basata sulla trilogia letteraria Nocturna, scritta dai due autori (La Progenie, La Caduta, Notte Eterna).
Nata su FX, inizialmente andata in onda su Fox, da giugno la serie riparte su Rai4 che inizierà a proporre, ogni venerdì in seconda serata, i primi 13 episodi della prima stagione.
Un aereo atterra al JFK di New York con luci spente e porte sigillate. L’epidemiologo Ephraim Goodwater e la sua squadra sono chiamati ad indagare, quando a bordo dell’aereo trovano centinaia di morti e quattro sopravvissuti.
La situazione degenera quando i cadaveri iniziano a scomparire degli obitori, Goodwater e un piccolo gruppo di volontari si ritrovano a combattere per proteggere non solo i propri cari ma la città intera da un antico male che minaccia tutto il mondo.
The Strain: un ibrido che sta in mezzo
E fin dal concept, The Strain cerca di distinguersi dalla pletora di prodotti a tema vampirico: perché nello show di Del Toro il vampirismo non è più diabolico, bensì patogeno.
Certo, alla fine dei conti (e di tutti gli episodi) non tutto quadra, e soprattutto un concept così forte e potenzialmente ricco di sfumature non è stato messo in scena come ci si sarebbe aspettati anche considerando la presenza di un vero e proprio vate dle cinema horror-fantastico come il regista di Shape Of Water: restano sempre quattro stagioni d’effetto, con quell’evento scatenante fortissimo del volo Regis Air proveniente da Berlino che viene trovato immobile e sprofondato in un’inquietante silenzio, come se non solo i passeggeri ma anche il velivolo stesso fosse morto.
In The Strain, per fortuna, ritroviamo ben poco di quella rivalutazione del villain che ha luogo da un po’ di questi anni a questa parte: perché i cattivi sono cattivi, anzi non sono neanche tratteggiati perché i vampiri della serie sono pura frenesia alimentare. E allo stesso modo la grafica dei personaggi rende perfettamente quel senso di malattia che è alla base dell’intuizione iniziale, con un aspetto viscido, fatiscente e vagamente disgustoso.
Tirando le somme a stagioni concluse, se la prima aveva sfruttato la sospensione emotiva dell’incipit, la seconda aveva istantaneamente fatti calare l’interesse: dilatata e discontinua, si era dimostrata scarsa d’idee.
Fattore che però aveva portato a raddrizzare il tiro con la terza serie di episodi, più densa e più corta (10 puntate invece che 13), trovando in parte un buon ritmo e giocandosi il tutto per tutto nel finale -letteralmente- esplosivo.
E se nella seconda stagione i percorsi narrativi dei personaggi si frammentavano e ognuno sembrava ormai agire per conto suo, impelagandosi in rivoli di trama superflui che rallentavano la struttura generale, nel terzo ciclo si torna a fare gruppo gettando anche le basi e le sottotrame per la stagione conclusiva.
Non ultimo, The Strain ritrova prima della fine un gusto per lo splatter che sembrava aver perso per strada, arricchendo la sua mitologia di diverse sequenze per stomaci forti (una su tutte: la rivelazione della vera essenza del Maestro contenuta nel Verme Scarlatto, che oltretutto si ricollega alla poetica proprio del creatore Del toro).
Ugualmente riuscita la simbologia che riconduce tutto alla fallibilità della natura umana: che è fatta di pulsioni e rancori violenti e irrazionali, nel momento in cui il fattore umano sembra essere ciò che emerge con più forza da una storia di vampiri.