Falcon & the winter soldier è la seconda serie Marvel Studios (dopo WandaVision) disponibile dal 19 marzo su Disney Plus: tra i protagonisti, Sebastian Stan, Anthony Mackie ed Emily VanCamp.
“I simboli non sono niente senza gli uomini che danno loro significato”: è questa la frase chiave del serial che idealmente continua la storia dei film The Winter Soldier e Civil War: che sono i due film di e su Captain America che hanno aperto la strada ad un tipo di storia con toni apertamente politici e ideologici.
Non poteva d’altronde essere che così, trattando un personaggio che partito come pubblicità filogovernativa è diventato, negli anni ’70, uno dei character più liberal della Casa delle Idee, continuando fino ad oggi ad essere il perno di riflessioni importanti sulla libertà e sull’American Way Of Life.
Se in Endgame avevamo lasciato Steve Rogers invecchiato dopo una lunga vita vissuta (grazie ai viaggi dle tempo permessi dalle Gemme dell’Infinito) con l’amata Peggy Carter, lo scenario con cui si apre Falcon & The Winter Soldier è una realtà che è andata avanti di sei mesi rispetto al “blip” -ovvero l’evento con cui gli Avengers hanno riportato indietro tutte le persone cancellate dallo schiocco di dita di Thanos- e di due-tre mesi rispetto a WandaVision.
Il risultato è che Steve Rogers sembra definitivamente passato a miglior vita, e il Governo, insieme ai due sodali San Wilson e Bucky Barnes, si interroga sul se e sul come far continuare a vivere l’eredità morale dell’eroe.
Sam Wilson si trova a dover affrontare i problemi economici della sua famiglia, perché la sorella vedova con due figli a carico non riesce più a sostentarsi con il solo lavoro di pescatrice, mentre Bucky Barnes è in seduta da una psicologa per superare il trauma dei ricordi come spia killer russa.
Steve aveva lasciato il suo scudo proprio al fidato Falcon: che però crede sia meglio donarlo alla comunità, riponendolo in una teca all’interno del museo dedicato al grande eroe della Seconda Guerra Mondiale.
Peccato che queste non siano le intenzioni del Governo: che infatti decide di dare il prezioso e potente oggetto ad una specie di Capitan America filogovernativo, il misterioso U.S.Agent.
E torniamo allora alla potenza dei simboli: che vivono e si nutrono dalle persone che li indossano.
È questo il nucleo emotivo della prima puntata di Falcon & The Winter Soldier: una serie che aveva il delicato e pesantissimo fardello di proseguire su piccolo schermo i successi stratosferici di WandaVision.
Che non è (stato) solo un mero successo commerciale, ma una vera e propria pietra angolare per la serialità televisiva e per le produzioni Marvel Studios. Differentemente infatti dai film dell’MCU, WandaVision ha messo in piedi una vicenda non lineare dal punto di vista narrativo, stratificata dal punto di vista drammaturgico e di significato: raccontata con piglio autoriale e sicuramente lontano chilometri da quella piacevolezza da fan service che film come Guardians Of The Galaxy o Infinity War (citando due tra i migliori) conservavano, pur senza rinunciare ad una qualità media molto alta.
La serie con Elisabeth Olsen e Paul Bettany infatti rifletteva, tra l’altro, sul ruolo della televisione e dei media e come influenzano la vita quotidiana, la cultura e la socialità da un punto di vista squisitamente antropologico.
Falcon & The Winter Soldier era allora atteso al varco: era impossibile ovviamente che insistesse sulla stessa struttura fortemente psicoanalitica, così come sarebbe stato controproducente tentare di bissare in qualche modo il suo essere perturbante. Intelligentemente, lo show creato da Malcom Spellman allora continua a non voler essere mainstream a tutti i costi, ma lo fa affrontando la materia supereroica da un altro punto di vista: sfruttando, come accennato sopra, la declinazione politica e sociale della figura centrale, Capitan America.
Così come WandaVision era una lunga e dolorosa elaborazione del lutto, Falcon & The Winter Soldier è un percorso di superamento della perdita: Sam Wilson/Falcon e Bucky Barnes/Winter Soldier devono fare i conti con il vuoto lasciato da Steve Rogers, dal punto di vista politico e sociale più che da quello psicologico.
Stupisce, allora, la narrazione di questo Il Nuovo Ordine Mondiale per come affronti tutto aprendo con una sequenza spericolata e assolutamente spettacolare di personaggi in volo: Falcon collabora con la Us Air Force per catturare Batroc, classico villain dei fumetti già visto proprio nel Winter Soldier dei fratelli Russo. Per poi planare dolcemente sulla trama principale, ovvero il racconto, semplice, lineare ma intenso del sentiero su cui si trovano i due eroi, con Bucky tormentato dai ricordi degli omicidi commessi sotto la maschera oscura del soldato D’Inverno, oltretutto in analisi per tentare di ricostruirsi una vita.
E anche i nemici presentati in questo incipit sono tutt’altro che figure sullo sfondo: sono infatti il gruppo militante dei Flag Smasher (letteralmente: spezzabandiera, che da personaggio minore tra le pagine Marvel diventa un Credo), una sorta di milizia armata e dotata pare di superpoteri che mirano a distruggere ogni linea di confine tra popoli, per un’idea di umanità più ugualitaria.
In questo modo, il lascito -con relativo peso- affrontata dallo show è duplice, perché come abbiamo visto è sia quello narrativo del Discobolo a Stelle e Strisce, sia quello teoretico di WandaVision.
Allora via le esplosioni e le scene mozzafiato, dentro sedute psicoanalitiche e disperazioni da vita quotidiana, con strascichi da disturbo post-traumatico: Spellman decide di inquadrare le psicologie dei suoi personaggi da ogni punto di vista, sfaccettando la loro tridimensionalità. Se poi le premesse verranno mantenute, così come la linea narrativa del fumetto (che è passato dalle mani del politicissimo Nick Spencer a quello del giornalista e romanziere Ta-Nehisi Coates), è chiaro che Falcon & The Winter Soldier sfrutterà la presenza di un personaggio emblematico come U.S.Agent -e il Barone Zemo, folle criminale nazista- per denunciare anche il problema razziale negli Stati Uniti, già piegati e piagati da una società economica che sembra dimenticare sempre più spesso l’uomo e il suo valore, assoggettandolo al suo valore economico e nient’altro.