Alzheimer: tra paura e tabù ecco tutti i film da vedere
Raccontate dal grande schermo, le storie di malati di Alzheimer e dei loro familiari possono mettere questi ultimi di fronte a ciò a cui si andrà incontro e prendere anche coscienza che in questa malattia, i cui numeri stanno aumentando sempre di più, non si deve restare da soli.
Più di un milione di persone in Italia, più di 44 milioni in tutto il mondo: sono le cifre che rendono l’Alzheimer un grave fenomeno globale da affrontare, ma, soprattutto, di cui parlare. In questo articolo passiamo in rassegna tutti i film da vedere per cercare di comprendere un problema che ci riguarda sempre di più.
Dietro la vergogna che prova chi si trova allo stadio iniziale, e dietro quella della famiglia di un malato il cui cammino verso la fine della vita passa attraverso un processo molto lento e ininterrotto (e inevitabile), ci sono tantissime storie da raccontare e da ascoltare, a cui il cinema ha dato ancora poco spazio.
Alzheimer, una definizione scientifica
Alzheimer è una forma di demenza che comporta un progressivo declino della memoria e di altre funzioni cognitive al punto da interferire con le attività della vita quotidiana.
Non si perde soltanto la memoria. Non ci si dimenticano soltanto i nomi delle persone e delle cose.
Si perde la capacità di collegare le parole al mondo che ci circonda, e quindi di rappresentarlo.
Ci si dimentica di come si cammina, di come si mangia, di come si sta seduti o in piedi, di come si svolge qualsiasi azione necessaria alla vita di tutti i giorni.
L’importanza della conoscenza
Conoscere e capire un fenomeno non risolvono il problema ma possono aiutare, e molto.
Raccontate dal grande schermo, le storie di chi ci è passato possono mettere il familiare o l’amico caro di un malato di fronte a ciò a cui si andrà incontro e prendere anche coscienza che in questa malattia, i cui numeri stanno aumentando sempre di più, non si deve restare da soli.
Perché l’ “Alzheimer non è la malattia del malato, ma è la malattia dei parenti”, come ha detto Pupi Avati nel 2010 in occasione dell’uscita del suo film Una sconfinata giovinezza (in un’intervista a alla trasmissione tv Effetto Notte), sottolineando come il cinema si tenga un po’ alla larga da storie di questo tipo.
In salute e in malattia
Eppure alcuni registi hanno sfidato il pregiudizio raccontando storie di coppie solide, matrimoni ultra-decennali in cui la malattia di uno dei due coniugi ha trasformato completamente il rapporto di coppia in rapporto genitore-figlio.
Ella and John di Paolo Virzì
Ella and John(2017, titolo originale The Leisure Seeker) di Paolo Virzì è la storia di una coppia interpretata da due fuoriclasse come Donald Sutherland e Hellen Mirren, rispettivamente malati di Alzheimer e di cancro.
Un giorno decidono di mollare casa e figli, a Boston, e di salire su un camper per fare un ultimo viaggio verso Key West, in Florida, e visitare la casa di Ernest Hemingway, di cui John è amante.
Un on-the-road che è piaciuto parecchio in Italia – è stato applaudito a lungo tra risate e commozione alla Mostra Cinematografica di Venezia – per la sua tenerezza e per l’attaccamento alla vita che, nonostante tutto, i due protagonisti ancora sentono forte, ma che ha suscitato sentimenti contrastanti negli Stati Uniti, dove è stato definito deludente, prevedibile e pieno di cliché sull’argomento, nonostante la coppia Sutherland-Mirren, la regia di Paolo Virzì, la sceneggiatura scritta con Stephen Amidon, Francesca Archibugi, e Francesco Piccolo, e la splendida fotografia di Luca Bigazzi.
Ella and John è disponibile su Chili, InfinityTv, Amazon Prime Video.
Una sconfinata giovinezza, Pupi Avati, 2010
Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati
Definita dallo stesso regista la sua prima vera storia d’amore, Una sconfinata giovinezza (2010) di Pupi Avati si lascia coinvolgere dal mito dell’infanzia a lui tanto caro.
Perché l’Alzheimer fa tornare bambini, al punto tale che si è completamente dipendenti per vivere, e quella che per anni era stata una moglie, per stare accanto al marito colpito dalla malattia si trasforma nella madre che non è mai stata.
Francesca Neri e Fabrizio Bentivoglio interpretano una coppia di intellettuali borghesi senza figli che si ritrovano ad affrontare la lenta e ininterrotta perdita di memoria di lui. Lei, donna integra e dignitosa, per amore è disposta a sacrificarsi, anche fisicamente durante gli episodi di violenza di lui, e rinuncia a se stessa per tornare bambina insieme a lui, prenderlo per mano come il figlio che non ha mai avuto.
Ci sono soltanto lui e lei, e l’amore domina incontrastato, nonostante tutto.
Una sconfinata giovinezza è disponibile su Chili.
Amore e tragedia
Eppure ci sono coniugi e compagni di vita che si non rassegnano all’idea di stare perdendo il loro partner e proprio non riescono ad accettarne lo stravolgimento di personalità, i cambi repentini di umore, e l’uso delle mani a cui a volte il malato ricorre quando non riconosce la persona che gli vive accanto.
Meno edulcorati e molto aderenti ad alcuni fatti di cronaca due film di Michael Haneke, Amour (2012) e Happy End (2017) in cui si parla della tragedia a cui si va incontro quando uno dei due coniugi si ammala e l’altro rifiuta categoricamente ogni forma di aiuto.
Amour, Michael Haneke, 2012
Seppur nei due film di Haneke non si parli di Alzheimer ma comunque di malattie che distruggono completamente il menàge coniugale, e sebbene in Amour la malattia della moglie sia il nucleo centrale del film, mentre in Happy End occupi un ruolo di secondo piano, entrambi riescono a cogliere perfettamente lo stato d’animo di un coniuge che per il troppo amore arriva a odiare sia la moglie malata che se stesso.
Jean-Louis Trintignant, protagonista di tutte e due le pellicole, è un marito talmente premuroso che non vuole aiuti familiari o esterni. Rifiuta le offerte di aiuto della figlia e licenzia le infermiere.
Quando la moglie arriva a dipendere completamente da lui, l’isolamento che si è auto-inflitto lo porta a compiere un gesto estremo che non è molto distante dalla cronaca che ci capita di leggere sempre più spesso.
Amoure Happy End sono disponibili su Chili e Amazon Prime Video.
What They Had, il film più lucido e obiettivo sull’Alzheimer
What they had, Elizabeth Chomko, 2018
Non ancora distribuito in Italia (e speriamo arrivi presto), What They Haddella regista statunitense ElizabethChomko estende le implicazioni dell’Alzheimer agli equilibri di un’intera famiglia.
Robert Foster è un marito premuroso ma anche un padre rigido con una sua visione del mondo e della famiglia a cui nessuno dei due figli sembra voler aderire.
Quando la moglie malata di Alzheimer si allontana da casa per l’ennesima volta, il figlio (Michael Shannon), che vive vicino ai genitori e se ne prende cura, decide di chiamare anche sua sorella (Hillary Swank) che vive lontana.
La famiglia si ritrova così riunita in un nuovo assetto, con i figli, in evidente stato di affanno, che cercano in tutti i modi di convincere il padre ad affidarsi ad un aiuto esterno. Ma lui, in nome di quei rigidi schemi in cui sono inquadrati molti della sua generazione, non è disposto a lasciare la sua amata moglie e vuole tenerla sempre con se.
“She’s my girl. You can’t take my girl away from me.”
L’uomo è convinto che tutto sia sotto controllo e che tutto resti così com’è, anche lo stadio, non ancora troppo avanzato della malattia della donna che ama. La situazione sfugge al suo controllo e le conseguenze saranno inevitabili, ma questo darà modo ai due figli di ripensare le loro vite facendo tesoro di quanto è successo ai loro genitori.
Still Alice, il primo film che ha portato l’Alzheimer sul grande schermo
L’Alzheimer ti ruba tutto, ti umilia, ti rende un emarginato sociale.
In Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, Julianne Moore interpreta una donna ancora giovane e nel pieno della sua brillante carriera accademica come linguista, a cui viene diagnosticata una forma di Alzheimer precoce.
Non bastano a sostenerla nè la sua capacità di analisi nell’affrontare inizialmente in modo razionale il problema, nè la sua conoscenza professionale dei meccanismi di funzionamento del cervello nell’apprendimento delle lingue, e nemmeno l’amore del marito (Alec Baldwin) e dei figli (tra cui Kristen Stewart).
Julienne Moore, in un ruolo che le è valso un Oscar strameritato, mette in scena in modo ruvido e semplice la tortura che i malati sono costretti ad affrontare. Da soli.
Il lavoro fatto da Julienne Moore sul personaggio di Alice, per riuscire a rendere le sensazioni, la solitudine, lo spaesamento, la totale confusione di ritrovarsi in luoghi e situazioni che fino al giorno prima erano familiari e ad un tratto non lo sono più, è racchiuso nelle sue parole in un discorso all’Alzheimer Association, che è chiamata a tenere quando la malattia è già in cammino.
Still Alice, Richard Glatzer e Wash Westmoreland, 2012
“Posso vedere le parole che galleggiano davanti a me, ma non riesco a raggiungerle, e non so più chi sono e cosa perderò ancora.”
E la stessa Moore, durante il discorso di accettazione dell’Oscar 2015 come miglior attrice, sostiene l’importanza di far vedere il più possibile questa malattia.
“Possiamo far luce con fiducia sull’Alzheimer. Molte persone afflitte da questo male si sentono isolate ed emarginate e una delle cose meravigliose del cinema è quella di darci visibilità e non farci sentire soli. E le persone con l’Alzheimer meritano di essere viste, affinché si possa trovare una cura.” (qui il discorso in versione originale)
Still Alice è disponibile su AmazonPrimeVideo e Chili
Tratto dal romanzo della neuroscienziata Lisa Genova, Still Alice è il film sull’Alzheimer da vedere perché riesce raccontare la scienza attraverso la finzione.
Alice, la protagonista, svolge una professione che analizza i meccanismi del cervello legati all’acquisizione e all’apprendimento, al pensiero, e alla memoria.
Alice percepisce sin da subito che qualcosa non va, che le parole le sfuggono letteralmente e mette in atto una serie di azioni che possano aiutarla a dipendere il meno possibile dalle persone che la circondano.
La potenza di questo personaggio, capace di restituirci nei dialoghi e nelle azioni, nel modo più accurato possibile, le sensazioni che un malato di Alzheimer prova, possono essere un valido aiuto per chi vuole approfondire una materia che fa ancora troppa paura per mancanza di conoscenza.
Arrugas (2012) di Ignacio Ferreras, basato sul graphic novel omonimo di Paco Roca, cartone animato rivelazione ai premi Goya e candidato Oscar, il film è il racconto tenero e poetico di un uomo affetto da Alzheimer, ad uno stadio iniziale, e che vive in una casa di riposo di lusso insieme ad altri anziani la cui fase della malattia è più avanzata.
I personaggi vagano per la residenza, smarriti ma soprattutto bisognosi di affetto e rassicurazioni. Il film riesce a trasmettere un’altra delle sensazioni tipiche del malato di Alzheimer, la paura, anche per dei rumori che appartengono al quotidiano e che nei meccanismi del loro cervello, invaso sempre di più dalla malattia, diventano allucinazioni.
Le difficoltà di una vita adulta messa in piedi con difficoltà, avendo alle spalle un rapporto disastrato con i genitori è quello che emerge da La famiglia Savage di Tamara Jenkins (The Savages, 2007) con Laura Linney e Philip Seymour Hoffman nel ruolo di un fratello e una sorella distanti, sia fisicamente che affettivamente, e alle prese con la vecchiaia del padre.
In una società, quella di Singapore, dove lo stigma di una malattia di tipo neurologico è ancora molto forte e alimenta una cultura di paura e ignoranza, Jeremy Boo and Lee Xian Jie, alla loro opera prima trascorrono più di una anno a osservare la vita di due donne e delle loro famiglie, alla prese con la demenza senile e la depressione.
Un documentario coraggioso e onesto (disponibile gratuitamente su Vimeo a questo link) che oltre a mettere in scena i tabù che ancora oggi, nella società moderna, demenze e Alzheimer si portano dietro, ci ricorda, proprio per il suo stile asciutto e deciso, che la lucida conoscenza di ciò a cui si andrà incontro è la sola unica grande arma di cui per ora possiamo disporre per convivere con questo mostro.
E il cinema può darci una grande mano.
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