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Netflix Film

Nessuno sa che io sono qui, del regista Gaspar Antillo, scoperto da Pablo Larrain

Il primo film cileno di Netflix, con la presenza di Jorge Garcia (Lost), si fonda sul ritratto, intenso e garbato, del protagonista

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Gaspar Antillo, regista apprezzato da Pablo Larrain

Tra le proposte Netflix, dal 24 giugno, troviamo il suo primo film cileno, Nessuno sa che io sono qui, di Gaspar Antillo.

Abbiamo parlato su Taxidrivers di Nessuno sa che io sono qui anche nel nostro articolo dedicato al Trailer 

Antillo è stato notato, cinque anni fa, niente di meno che da Pablo Larrain (che ha creduto in lui e partecipato alla produzione del film). Purtroppo il corto Mala cara di Antillo, visto allora da Larrain, non si trova in rete. Ci sarebbe piaciuto sapere cosa di quel lavoro abbia affascinato il maestro cileno, autore di JackieNeruda, Il club, e del più recente Ema.

Immaginiamo abbia scoperto un talento particolare e che Nessuno sa che io sono qui ne sia stata la piacevole conferma. Una storia dolente, di solitudine prima, di condivisione poi, in cui la difficile intimità, con se stessi e con gli altri, è raccontata delicatamente.

Con garbo, pudore, buona tecnica e gusto raffinato delle immagini, delle scene.  Diremmo anche un tocco di originalità nell’inserire la storia, tutta individuale, in un contesto descritto sapientemente. Nonostante Gaspar Antillo sia al suo primo film.

Proprio come regista esordiente è stato premiato al Tribeca Film Festival di New York, 2020. Nessuno sa che io sono qui avrebbe dovuto uscire in sala questa primavera, ma ha seguito il destino di tante altre opere cinematografiche. Molte sono in attesa; altre sono stato recuperate dalle piattaforme on line, da Netflix, in questo caso.

Nessuno sa che io sono qui: antefatto

È la narrazione di un’identità negata, di una dote riconosciuta e nascosta; peggio ancora sottratta e ceduta ad altri. Il protagonista, Memo,  da bambino aveva (e ha ancora) una bellissima voce. Ma un impresario senza scrupoli, d’accordo con il padre del ragazzino, non l’ha ritenuto avvenente quanto basta a trasformarlo in un oggetto di consumo.

È grassottello, simpatico, ma non abbastanza glamour. Così, hanno prestato la sua voce a un coetaneo magro, vestito di strass e con i capelli impomatati; insomma, un ridicolo prodotto anni Novanta, ma di successo.

Nessuno sa che io sono qui: trama

Memo non ha mai superato il furto della sua voce. Da adulto, ancora giovane, è parecchio sovrappeso. Vive in un’isola del Sud, in una fattoria dove alleva pecore insieme allo zio che lo protegge e cerca, invano, di spingerlo nel mondo. Lui invece preferisce esiliarsi, fisicamente e psicologicamente. Parla poco, quasi niente, a dispetto di chi non ha voluto ascoltare la sua voce.

In solitudine, Memo indossa abiti sgargianti e, su palcoscenici immaginari, con gesti ampi, plateali, sogna le esibizioni che avrebbero potuto essere e non sono state.

E canta, solo quando sa che nessuno potrebbe sentirlo. Un giorno, però, incontra Marta (Millaray Lobos), una ragazza, al contrario di lui, esilissima e molto decisa.

Affetto vicinanza incoraggiamento, forse amore, cambieranno la sua vita e gli offriranno la possibilità, finalmente, di un meritato riscatto.

Nessuno sa che io sono qui: recensione

La riuscita del film è in grossa parte affidata alla recitazione e alla presenza scenica di Jorge Garcia, che tutti noi conosciamo per il ruolo di Hugo Reyes (detto Hurley) nella serie Lost. Anche qui, nel film di Antillo, è una persona abbandonata dal padre, problematica, che ha affogato i suoi dolori nel cibo. Ma senza gli sbalzi d’umore che lo rendevano in Lost un personaggio complesso e pieno di sorprese.

È il simpaticone dopo il crollo dell’aereo e solo lentamente riemergeranno i suoi fantasmi. I sensi di colpa, il rifugio nell’amico immaginario, gli stati allucinatori, i ricoveri in ospedale psichiatrico del passato. Di un passato che torna, come per tutti gli altri, nel groviglio degli eventi di Lost.

In Nessuno sa che io sono qui, Gaspar Antillo, autore anche della sceneggiatura (insieme a Josefina Fernández, Enrique Videla) fa di Memo un personaggio immerso in una sorta di autismo difensivo. Che solo così riesce in qualche modo a controllare la vita. Tenendola a distanza e frapponendo tra sé e le possibili esperienze, negate, obesità e silenzi.

Nessuna lunga scena per descrivercelo, bensì tanti frammenti che lo vedono solo. Sulla cyclette, o mentre mette lo smalto alle unghie (a rimpiangere il destino mancato di pop star). Più spesso nel bosco e più spesso ancora di fronte al mare.

Spazi aperti e luoghi chiusi

L’irrangiungibile apertura della coscienza è resa con piccole pennellate, in cui il corpo ingombrante di Memo è all’interno di una natura fotografata molto attentamente. Gli alberi della foresta lasciano libere ampie porzioni di cielo e l’acqua scorre in tutte le sue forme. Ora è il mare, poi un ruscello o una cascata.

A sottolineare il conflitto tra bisogno di chiusura in se stesso e desiderio inconfessato di uno spiraglio. L’ambivalenza è resa ancora meglio dal contrasto tra esterni e interni. Fuori grandi spazi, sereni, dentro stanze molto buie.

Simmetria delle inquadrature

Il corpaccione di Memo è sempre rappresentato simmetricamente, nel paesaggio, a casa sua e davanti alle abitazioni altrui. In barca, taglia l’inquadratura del mare esattamente a metà. Anche alla finestra, se lo vediamo noi da fuori, o se lui ci osserva da dentro, è comunque incorniciato perfettamente in mezzo all’immagine. Un’armonia che contrasta con i tormenti della sua mente, che molti passaggi della scontrosa quotidianità ci fanno intuire.

Come il simbolo ricorrente del vetro attraverso cui rapportarsi al mondo, e un gioco di riflessi, di falsi rispecchiamenti che non pacifica. Inquieta, piuttosto, perché il suo guardar fuori, o da fuori, non consente avvicinamenti. È un mostrarsi o uno scrutare l’esterno tramite impedimenti, o appannamenti. Spesso infatti il vetro non è pulito, perché non c’è e non vuole esserci trasparenza.

Costruzione psicologica del personaggio

La separazione violenta tra il corpo e la voce, subita da bambino, non si è mai risolta ed è come se Memo continuasse a portarsi appresso la violenza della mutilazione. Il disamore degli altri nei suoi confronti, che, introiettato, si è fatto disamore per se stesso. È l’unica realtà che conosce e l’unica possibile tutela alla catastrofe che potrebbe scaturire da un passo verso la realtà, anche il più timido. Il più prudente. È sulla costruzione psicologica del personaggio, così intensa e delicata, e, ripetiamo, la bellezza delle scene, che tutta la narrazione si costruisce.

L’empatia nei suoi confronti ci fa apprezzare ancora di più l’arrivo di Marta, Martita per gli amici, che riuscirà a sciogliere le sue rigidità, entrando in punta di piedi nel cuore di questo gigante buono. E dandogli vita, finalmente.

 

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Nessuno sa che io sono qui

  • Anno: 2020
  • Durata: 87 minuti
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Cile
  • Regia: Gaspar Antillo
  • Data di uscita: 24-June-2020