Nelle sale italiane a partire dal 30 ottobre con distribuzione a cura di Officine UBU, Il Sentiero Azzurro di Gabriel Mascaro .
Il titolo originale è O Ultimo Azul, in lingua portoghese. Il film è infatti ambientato in Brasile e si tratta di una co-produzione con Cile, Messico e Paesi Bassi.
Nel cuore del continente sudamericano ha inizio la piccola odissea di Tereza, interpretata da Denise Weinberg, alle prese con un governo che la vorrebbe in pensione prima del tempo.
A guidare Tereza e noi nelle terre calde e umide del Brasile vi sono la fotografia di Guillermo Garza Amc e le musiche di Memo Guerra.
Elementi di critica sociale
Il film oscilla molto tra il grottesco e la sottile ironia restituendo una sensazione di confusione nello spettatore. Diventa difficile infatti, soprattutto nei primi 20 minuti di film, capire se si stia assistendo alla rappresentazione di una distopia o a una amara realtà. La plausibilità della seconda opzione è infatti agevolata dalla nostra assuefazione a politiche non orientate alla persona quanto all’utile. Esse sono ormai diffuse in ogni cultura e in ogni paese, abituandoci anche all’indignazione.
È con questo senso di tranquillità nella rassegnazione che gli abitanti della città dove vive Tereza parlano degli anziani portati con forza nelle colonie. Queste ultime sarebbero una sorta di riserve costruite dal governo brasiliano per gli ultrasettantenni. L’obiettivo di questo progetto? Aprire le porte dell’occupazione esclusivamente ai giovani. Questa politica ottiene due risultati in uno: risolve il problema dell’impiego per le nuove generazioni, risparmiando loro anche il pensiero di doversi occupare della cura dei loro parenti più anziani.
Il governo si preoccupa insomma di abbellire la descrizione delle colonie presentandole come un servizio ai lavoratori, un favore quasi. L’elemento distopico è insidioso tanto quanto la narrazione del governo che promuove queste realtà.
Non esiste coprifuoco come invece vediamo in V per Vendetta. Tuttavia la circolazione è limitata da una costante richiesta del documento di identità che preclude alcune attività agli anziani. Le strade non assomigliano alle bizzarre geometrie urbane che fanno da sfondo a Brazil di Terry Gilliam. Proprio come Sam Lowry però, Tereza sogna di volare via. Non esiste neanche un Grande Fratello che controlla le attività delle persone. Nonostante questo le strade finiscono per pullulare di “agenti spia” che recuperano gli anziani reputati schegge impazzite.
Il sentiero azzurro è distopia e al contempo non lo è. Le colonie sono in fondo non molto diverse dalle residenze per anziani, i cosiddetti “ospizi”. Ciò che il film riesce fare con successo è farci arrivare questo fenomeno senza elementi di un’eccentricità che lo renderebbero alieno. Fa inoltre attenzione a non descrivere il tutto come una mancanza di empatia da parte dei giovani ma come un problema sistemico, sociale e istituzionale.

L’anziano come corpo non abile e la metafora della lumaca
I corpi degli anziani protagonisti de Il sentiero azzurro sono resi vecchi e obsoleti da un processo che inizia fuori da essi e che li rende tali ancor prima che essi lo diventino effettivamente. Il problema è l’idea della vecchiaia che si ha e il linguaggio che si usa per descriverli.
In questo senso è importante un elemento ricorrente all’interno del film: la presenza di una lumaca. Tereza incontra diverse lumache lungo il suo cammino. Tendenzialmente le lumache servono a ricordare ai personaggi che è buona cosa, talvolta, rallentare. Al contrario il governo non ammette rallentamenti all’interno della catena produttiva. Lo sfruttamento massimo della forza lavoro degli impiegati è prerogativa principale del sistema capitalistico. Per questo all’ufficio impiego ricordano a Tereza che è impossibile non accettare la pensione. Il funzionario statale pronuncia queste parole: “Sabotare la produttività nazionale è un reato grave.”
Il sistema in cui vive Tereza è uno in cui i corpi sono suddivisi in due macro categorie: abili e non-abili. Lo strumento di misura per valutare i corpi è il loro grado di abilità. All’interno del sistema capitalistico esso si determina sulla base della predisposizione al lavoro, rispettando specifici parametri. I corpi che non sono in grado di mantenere i ritmi di produzione necessari sono dismessi, dis-abilitati dallo Stato. Ancora una volta, un elemento distopico.
La componente di obbligatorietà e il controllo a cui sono sottoposti gli anziani come Tereza sembrano presentare una situazione tutto sommato lontana da quella reale. Robert McRuer ricorda invece, in merito ai corpi e all’influenza su di essi data dal linguaggio, come le definizioni stesse di “disabilità” e “abilità” siano strettamente connesse al lavoro. McRuer riporta, come esempio, quanto scritto nell’Oxford English Dictionary in merito al termine able-bodiedness, traducibile in italiano con “abilità”. L’OED riporta la seguente definizione: “di salute solida; capacità di lavorare”. Sebbene questa definizione abbia uno scopo pratico, apre a una riflessione sul potere delle parole e del loro uso istituzionale.

Scrivere personaggi fuori dagli schemi
L’elemento forse più interessante del film è probabilmente il modo in cui è stato scritto il personaggio della protagonista. Tereza non rispetta per nulla i canoni dell’anzianità riscontrabili nella cultura popolare letteraria così come in quella audiovisiva. La sua è una personalità che piuttosto invece li sovverte, iniziando dall’abbattimento della barriera dell’età.
Guardando Tereza, così come Roberta, non vediamo la loro età ma prima di tutto le persone che sono. Il film ci obbliga a guardare il mondo senza interpretarlo con i limiti di specifiche categorie. Le suddivisioni entro compartimenti stagni sono totalmente annullate. Un elemento che ad esempio scompare, e che è invece spesso associato alla vecchiaia, è la saggezza. Anche nei film in cui la vecchiaia viene trattata in modo comico, l’anziano ha sempre una lezione da insegnare agli altri. E la ha in virtù della sua longevità, della sua lunga esperienza in vita.
Tereza e Roberta sono invece personaggi che hanno tanto da imparare e così fanno per tutto il film.
La saggezza è una componente fondamentale dell’anziano, radicata nella sua essenza. La saggezza suggerisce raccolta di conoscenze e sensazione di completezza, punto di arrivo. Si tratta di elementi che avvicinano alla morte alla fine e contribuiscono a una più serena accettazione della stessa. Per certi versi si tratta anche di elementi positivi. Tereza invece vuole vivere perché non ha vissuto prima. Questa è la prima cosa che impara. Alla domanda “qual è il tuo desiderio?” capisce che la famiglia ma soprattutto il lavoro le hanno tolto il tempo di sognare e rincorrere qualcosa. Oltre questo, durante il suo viaggio, Tereza impara a guidare una barca, a vendere bibbie e a giocare d’azzardo. Impara perfino a lasciarsi andare e aprirsi a nuove esperienze, anche sensoriali. Tereza rompe totalmente con il canone narrativo popolare e tradizionale legato all’anzianità, rappresentando dunque un personaggio in crescita, non in arrivo.

In sintesi
La vita è tale finché è in essere. Contenerla, racchiuderla all’interno di categorie o provare a quantificarla attraverso l’uso dei numeri, non ci permette di comprenderla né di apprezzarla nella sua totalità. Serve piuttosto a svilirla e renderla più debole. Questo film è sicuramente ispirato da una sensibilità del tutto personale del regista ma la sua forza resta nell’universalità del suo messaggio. Un inno alla libertà come forse non l’avevamo mai visto, che ci educa alla curiosità e riaccende in noi quei valori talvolta dati per scontati.