Per l’occasione vi proponiamo l’intervista fatta Taxi Drivers al regista cileno dopo l’uscita di Post Mortem, presentato al Festival di Venezia e pubblicata suo nostro Dossier dedicato a Pablo Larrain.
Post Mortem, terzo film del cileno Pablo Larraín, già apprezzato per Fuga (2006) e Tony Manero(2008), si cala a cavallo tra la morte di Salvador Allende e l’insediamento di Pinochet, raccontando la tragica storia d’amore tra Mario Cornejo, funzionario dell’obitorio statale assaltato dalle vittime della dittatura, e la rivoluzionaria Nancy. Mentre tutto il Cile sta cambiando radicalmente volto.
Sentiamo cosa hanno da dirci il regista e i due attori protagonisti, Alfredo Castro e Antonia Zegers.
Come mai hai ambientato Post mortem durante il periodo in cui Allende fu ucciso e si insediava la dittatura di Pinochet?
Pablo Larrain: Credo di aver fatto questa scelta perché si tratta di un periodo in cui è avvenuto qualcosa che non riesco a capire completamente. Quindi, in qualche modo mi intrigava cercare di sondare questo mistero. Lavorare con un soggetto del genere è stato strano, poiché tentavo da sempre di comprendere gli avvenimenti nel loro insieme, e ciò non mi permetteva di capire nient’altro. Questo mistero mi ha ispirato fino alla volontà di realizzare Post mortem.
Quanto di ciò che è avvenuto allora ha avuto effetto sulla società cilena di oggi?
Pablo Larrain: Penso che proprio per la ragione che non abbiamo mai capito ciò che è successo veramente, molte persone non sono andate in prigione e altre non sono più vive; è qualcosa che negli anni ha diviso l’opinione pubblica. Oggi che il Cile è un bel paese dove vivere, con una democrazia in cui i diritti umani vengono rispettati e un’economia che funziona, è impossibile dire come stanno le cose. Ora siamo da vent’anni in democrazia e tutto è più stabile. Il film non pretende di risolvere nulla, dire cosa è giusto o sbagliato o emettere giudizi, ma solo far riflettere su cosa è accaduto, attraverso la storia della nostra cultura.
Nel film c’è una frase in cui viene detto che “i gatti mangiano con gli occhi chiusi per non vedere chi li nutre”. Può essere considerata la frase chiave di Post mortem?
Pablo Larrain: Non so se sia vera questa cosa dei gatti, ad essere sinceri. Condensa una situazione in cui nessuno si fida di nessuno, però la gente vuole creare delle relazioni. Nel momento in cui qualcuno è ossessionato da qualcun altro, non vuole credere di essere manipolato. Perciò, l’intera situazione è in tensione. Quello che ci piaceva è che entrambe le storie dei protagonisti diventano una sola cosa. Non so dire se sia la frase principale del film, però è sicuramente molto importante perché in certe circostanze non ci si fida di nessuno e non si riesce a creare un rapporto con qualcuno, non puoi guardarlo negli occhi. È il senso del film.
Possiamo dire che una nuova generazione di cineasti sta emergendo in Cile?
Pablo Larrain: Sì, è molto bello, perché siamo tutti molto amici. Alcuni fanno film d’arti marziali, altri horror, action o storie d’amore. Storie molto differenti, ma credo che sarà una generazione di cui si sentirà molto parlare.
Mario Cornejo è un personaggio esistito veramente. Come sei entrato in contatto con la sua storia?
Pablo Larrain: Leggevo un giornale che parlava dell’autopsia di Allende e poi ho scoperto su internet che c’era la trascrizione originale. Mi ha sconvolto, perché è l’autopsia del mio Paese. Venivano descritte tre persone, tra le quali Mario Cornejo, e mi sono chiesto: “Chi è costui?”. Abbiamo scoperto che era una persona molto tranquilla. Lui è morto, ma ho incontrato il figlio, Mario Cornejo junior, che nel film è l’assistente del dottore. Ci ha dato tutte le informazioni e le autorizzazioni per utilizzare il nome del padre. È stato interessante sin dall’inizio: Mario Cornejo era una persona così calma e anonima, nessuno chiedeva di lui e non era impressionato dalla morte. Per cui, molte cose del film sono vere, anche se la vita di Mario Cornejo è un mistero.
Nel film, dice di essere un funzionario statale,e sembra un simbolo della responsabilità in quello che è successo.
Pablo Larrain: Si tratta di un problema di percezione della traduzione. All’epoca, l’impiegato pubblico in Cile era una figura poco rispettata. Ora è diverso. Non volevo mostrarlo come un mostro. Cerco di non giudicare i miei personaggi, altrimenti rischi di moralizzare la storia. Voglio che le cose vengano viste per quello che sono. In genere, nella logica dei film si verifica un meccanismo per cui c’è la redenzione, alla fine tutto va bene: i cattivi sono cattivi e i buoni, buoni. Questo non mi piace.
In effetti i tuoi personaggi sono, più che cattivi o pazzi, emotivi.
Pablo Larrain: Hai ragione, Gianluigi. Mario ha una sua morale, decisamente cristiana. Dice che non dorme con donne che sono state con altri. Si trova in una situazione emotiva particolare, il che è umano. Molta gente mi dice che i miei personaggi sono strani. Io gli rispondo: “Se ti seguo con una camera riuscirò a catturare molte cose strane”, perché la realtà contiene elementi assurdi. Tutti facciamo cose strane. Un’altra logica del cinema è che ogni cosa funziona. Trovi subito un taxi, le porte si chiudono bene, le case sono tutte pulite. È falso. Nei film tutto va ‘a posto’, ma quando me ne rendo conto trovo sia ingiusto. Mi piace di più come nei film di Jim Jarmush, rispetto ad alcuni film giapponesi in cui i protagonisti appaiono molto più regolari di quello che sono, il che rende tutto meno reale.
Ma ai cileni piacciono i film del proprio Paese?
Pablo Larrain: Non tanto. Abbiamo un problema con il pubblico. Per qualche ragione ogni anno c’è meno gente interessata al cinema cileno. Il problema è diffuso anche in Argentina, Italia, un po’ ovunque. In Francia è leggermente diverso, ma comunque non si può fare nulla contro Hollywood, Avatare roba del genere.
Post Mortem è molto simile a Tony Manero, anche se il linguaggio cinematografico è diverso. Meno camera a mano e più camera fissa.
Pablo Larrain: Ho iniziato a girare come in Tony Manero. Poi ho usato lenti anamorfiche superlarghe. Mi sono reso conto che non funzionava, e così ho cambiato regia. Però la troupe è la stessa. Per l’immaginario del film ho usato delle foto di un gruppo di fotografi dell’epoca: l’Association of independent photographers esistita dal ’72 al ’94. Hanno fatto un sacco di lavoro ottimo che siamo riusciti a recuperare. C’è un bellissimo documentario su di loro che si chiama La ciudad de los fotògrafos (2006).
Hai realizzato un lavoro incredibile con il suono, tutto industriale.
Pablo Larrain: Esatto! Abbiamo fatto un lavoro lungo con il sound. Siamo andati nelle industrie registrando frigoriferi e macchine mixate con il resto. È stato importante perché non volevo usare la musica, in quanto suggerisce le emozioni. Ne abbiamo provate molte e il significato delle scene cambiava sempre. Allora le ho tolte. Mi hanno chiesto se ero sicuro di volerlo fare, ma così è più vicino a ciò che sente realmente la gente. L’atmosfera fredda del film è ciò che viene fuori da questo sound. Sono contento tu l’abbia percepito.
Il film è essenzialmente una storia d’amore, ma nella sua grammatica è anche un horror, con alcuni sprazzi di film post apocalittico.
Pablo Larrain: Quando la gente vede i film, si materializzano opinioni sempre differenti. Se mi chiedevano come volevo vendere il film, rispondevo che è una storia d’amore. Mi guardavano come se fossi pazzo. Chiaro che ci sono momenti orribili, perché è una storia orribile.
I personaggi di Mario e Nancy sono agli antipodi: l’uno glaciale, l’altra disperatamente emotiva. In qualche modo, si completano.
Antonia Zegers: È una lettura bellissima. Purtroppo il film inizia con la mia autopsia e prima di amarci, prima di piangere insieme, prima di litigare sai già che tutto andrà male. Anche se c’è del romanticismo, il film ti dice in maniera poetica che tutto ciò non avrà successo. È la tragedia di due outsiders.
Alfredo Castro: Prima lei piange da sola, poi Mario piange per lei e poi piange per se stesso. Infine piangono insieme.
Alfredo, Mario sembra privo di emozioni, inizialmente. Poi Nancy lo porta ad esistere.
Alfredo Castro: Mario non sa mostrarle. Lui lavora con i morti e quindi vede in Nancy il suo corpo che muore disperatamente. Sono stati vicini di casa per anni, ma solo dopo tanto tempo lui si accorge di lei, e in quel momento diventa vivo. È un’attrazione molto oscura.
Antonia Zegers: È il suo vicino da anni, ma Nancy non l’ha mai visto. Mario è invisibile. Si trovano connessi alla fine, ma da situazioni sordide, perché lui vede una donna che sta decadendo, che fa un lavoro sporco, vede i momenti ‘moribondi’ di una persona. Lui è attratto da questa tragedia. Riconosce la morte, in lei.
Voi li vedete come personaggi irregolari ed emotivi, come Pablo?
Antonia Zegers: Nancy non ha costruito nulla negli anni. Vive con il padre, attraverso ideali comunisti. Ma è una ribelle. Come essere ribelle in una famiglia comunista se non facendo la ballerina notturna? Si trova lì perché combatte qualcosa, per dire in giro che lei è là ed esiste. Può essere considerata la sua personale rivoluzione. Le interessa di più il colore dei capelli che il movimento politico. Lo odia. Perché, per quel motivo, lei non può essere vista e non può esistere. Quella è la sua vendetta. Si nota dai suoi tratti psicosomatici. L’ho costruita così. Tanto è vero che Mario non può prendersi cura di lei, allora lo fa del cane.
Alfredo Castro: Invece Mario non riesce a scrivere a macchina: è un po’ di meno, ma è la stessa cosa che avviene nel rapporto con Nancy. Non sa gestire le cose.
Alfredo, quindi, che pensi di Mario? È un codardo, senza emozioni o soltanto un uomo incompleto?
Alfredo Castro: Non mi piace dare giudizi su Mario. Ho realizzato un’intervista con la televisione cinese. Loro non hanno la nostra mentalità cattolica, e l’intervistatrice lo trovava gentile e carino. Incredibile!
Secondo te ci sono connessioni tra il personaggio di Raul in Tony Manero e Mario in Post Mortem?
Alfredo Castro: Sono entrambi profondamente soli. In Tony Manero, Raul è costretto a socializzare con altre persone e lo fa. Infatti, ha tre donne intorno a sé. Deve organizzarsi per ballare e organizzare gli spettacoli. Mario, invece, non ne ha l’urgenza materiale.
Molto bella la scena in cui attraversano il corteo dei manifestanti in auto.
Antonia Zegers: Mostra la differenza tra la dittatura e la democrazia. Quando si è instaurata la dittatura, vediamo le strade vuole con le auto distrutte. Tutto fermo. Quando arriva la democrazia la gente sente di poter scendere per le strade e dire quello che pensa.
Alfredo Castro: All’epoca dei fatti io ero sedicenne ed ero solito guardare da casa mia le manifestazioni. Ricordo dal balcone un milione di persone nelle strade che gridavano, protestavano e ballavano. Abbiamo avuto almeno due anni di libertà prima del buio totale. Quelli come Mario in realtà erano una minoranza silenziosa.
È un film con un plot che potrebbe essere applicato a qualsiasi dittatura.
Antonia Zegers: Parla agli esseri umani. Tu devi prendere la tua posizione e farti il tuo giudizio. Guardiamo il mondo e quello che l’uomo fa ad altri uomini per soldi, religione, potere, territorio. Allora siamo macchine impazzite? Non c’è Paese che non abbia conosciuto omicidi, torture, uomini che vogliono sopraffare altri uomini. Come ti poni davanti a tutto ciò? Te ne vai dal tuo Paese e trovi le stesse cose in un altro. Almeno in Sud America.
Alfredo Castro: Questo aspetto deve aver colpito Pablo. Il lato universale delle vite minimali di questi personaggi. I peggiori torturatori, criminali e assassini sono parte di questa minoranza silenziosa. Non sono da giudicare come psicopatici ma, semplicemente, in quanto uomini.
Come ha lavorato Pablo con voi?
Antonia Zegers: Non c’è stata una grossa preparazione, se non alcune letture. Nemmeno per le scene più forti. È Pablo che ti fa ripetere tante volte e poi costruisce tutto sul set. Quello che si vede ha molto l’intensità che si sentiva sulla scena. Bisognerebbe essere lì per capirlo.
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