Rungano Nyoni non gira film per spiegare, ma per smontare. Per decostruire i sistemi che costruiscono. Non è solo una regista, è un’osservatrice feroce del modo in cui la società plasma la percezione delle donne, delle tradizioni, dei traumi. Nata in Zambia, cresciuta in Galles, Nyoni si muove tra due mondi senza scegliere un solo punto di vista. Fa del contrasto uno stile. E della contraddizione un linguaggio.
Con il suo ultimo capolavoro, On Becoming a Guinea Fowl, vincitore dello Zurich Film Festival, approfondiamo le sue traiettorie, tra umorismo nero e sguardo critico. Un cinema che non consola. Ma fa spazio.
Il potere dell’umorismo crudo
Nyoni ha un dono raro: riesce a far ridere anche quando la situazione porterebbe solo alle lacrime. Non è cinismo. È strategia. Nei suoi film l’umorismo non serve a sdrammatizzare, ma a colpire più a fondo. Come in I Am Not a Witch (2017), dove una bambina finisce in un campo per streghe: surreale, assurdo, ma tristemente vero. Nyoni mette in scena la logica patriarcale senza prediche. Con una risata gelida, mostra il meccanismo di riduzione della donna a strumento. Un corpo da vincolare con un nastro bianco.
“Mi piace che i miei film sembrino un po’ disordinati, umani. Seguo l’istinto. Poi cerco di capirlo dopo.”
Ha dichiarato la regista.

On Becoming a Guinea Fowl: il lutto come campo di battaglia
Nel suo ultimo lavoro, Nyoni si spinge ancora oltre. In On Becoming a Guinea Fowl (2024), prodotto da A24 e presentato a Cannes Un Certain Regard, la morte di uno zio diventa l’occasione per svelare i segreti oscuri di una famiglia zambiana. Ma il film non punta al colpo di scena. Piuttosto, si chiede: chi decide cosa è sacro, e chi può parlare durante un lutto? Quanto può essere ipocrita la costrizione al pianto nei confronti di una persona sgradevole?
“Non voglio mettere in discussione le tradizioni, voglio mostrare come possano essere usate per opprimere.”
Le tradizioni Bemba, una cultura originariamente matriarcale, vengono qui mostrate nella loro deriva patriarcale. Shula, la protagonista, affronta il peso del silenzio familiare. Tutti sanno, nessuno dice. La cavia (guinea fowl) è un simbolo: fragile, mimetica, invisibile. Come il trauma femminile nella società.
“Durante i funerali ho sempre sogni strani. Volevo che lo spettatore provasse quel disorientamento.”
racconta Nyoni.
Tra realismo e visioni: la regia del disordine
Nyoni mescola quotidiano e onirico con libertà. Le sue inquadrature sono spesso ‘sporche’, i tempi lenti, la messa in scena volutamente instabile. Il suo cinema rifiuta il controllo. In On Becoming a Guinea Fowl le immagini seguono il pensiero, più che la trama. E i momenti più forti sono quelli in cui la realtà sfuma.
“I miei film sono un insieme di incidenti felici.”
Questa libertà è anche un atto politico: sfuggire alla linearità narrativa per restituire complessità. Nessun personaggio è solo vittima o carnefice. Le donne nei suoi film sono anche complici del sistema. Come la Madame in I Am Not a Witch, o le zie di Shula.

Listen: il potere del non tradurre
Con Listen (2014), Rungano Nyoni ci mette davanti a una verità tagliente: anche quando le donne parlano, spesso non vengono ascoltate. Una donna musulmana cerca aiuto in una centrale di polizia danese, ma ogni tentativo di comunicare viene tradito. Letteralmente. I sottotitoli scompaiono, la sua voce resta priva di traduzione. Come dire: quello che dice non importa. Importa solo chi traduce. E chi ha il potere di farlo.
Listen è un corto coraggioso e spietato, che non si accontenta della denuncia sociale. È un esperimento formale, radicale, che coinvolge lo spettatore nella stessa frustrazione vissuta dalla protagonista. Nessuna spiegazione, nessun appiglio. Solo la sensazione di essere tagliati fuori. Esattamente come accade a chi subisce la violenza istituzionale, senza gli strumenti per decodificarla o difendersi.
Qui Nyoni rinuncia all’umorismo per lasciare spazio alla ferita. Ma anche in questo caso, la sua regia non è mai didascalica. Il punto non è mostrare l’oppressione, ma farla sentire.
Essere tra mondi, fare da ponte
Nata in Zambia, cresciuta in Galles, Nyoni si definisce “zambiano-gallese”. Non ha mai voluto scegliere. Studia recitazione, poi regia, poi lavora con troupe miste, spesso non professioniste. Scopre Maggie Mulubwa, la piccola Shula, e la manda a scuola grazie a una raccolta fondi. Non è solo cinema: è restituzione.
“Il cinema è parte di uno sforzo collettivo. Non basta da solo, ma è un pezzo del puzzle.”
Crescere tra Zambia e Galles non è solo una nota biografica, è la chiave della sua visione. Nyoni non appartiene a un’unica cultura, ma nemmeno si perde tra le due. Sta nel mezzo, e da lì osserva. Questa posizione ibrida le permette di raccontare contraddizioni che molti preferirebbero ignorare. È “né qui né là”, ma per questo riesce a vedere entrambi i lati, comprese le loro ombre.

Una voce scomoda, e necessaria
Nyoni non vuole piacere. Vuole scuotere. Con I Am Not a Witch ha vinto premi alla Quinzaine di Cannes e ai BIFA. Ma teme di essere vista come una moda.
“È di moda avere registe nere. Ma durerà? Forse mi lasceranno fare un altro film. Forse no.”
Per questo, ogni suo film è urgente. Un invito a guardare, ma anche ad ascoltare. A ridere, ma con rabbia. A credere che un altro cinema sia possibile. Il suo è un dissenso affettivo: fatto di immagini spezzate, personaggi complessi e silenzi che diventano urla. È un cinema che non cerca la perfezione, ma la verità.
E ora?
In un’intervista, quando le chiedono il prossimo progetto, risponde:
“Il mio sogno impossibile? Un musical in Africa e America. E un film di fantascienza in Botswana.”
Rungano Nyoni sogna in grande. Perché sa che anche sognare è un gesto politico.
E nel frattempo, ci lascia film che non si dimenticano. Perché ci ricordano che essere donna, vivere immersa fra due culture, essere regista – non è mai neutro.
È lotta. È lingua. È cinema.