Il cinema corale è rappresentato da tantissime pellicole come: I soliti ignoti di Monicelli, Pulp fiction di Tarantino, Grand Budapest Hotel di Anderson e altri ancora.
I mondi che il cinema ci mostra sono infiniti, come infinite sono le storie degli uomini. Possiamo utilizzare generi differenti per raccontarle, ma tutte in qualche modo, magari solo trasversalmente, hanno a che fare con noi.
È capitato a tutti di riconoscere atteggiamenti simili di alcuni personaggi nelle persone che frequentiamo o di condividere ogni pensiero del protagonista di un film. Sentire che le vite appena raccontate, sono così vicine, credibili, quasi reali.
La ricchezza di un personaggio nasce sulla carta. Li si decide tutto di lui. Si sceglie chi mettergli intorno, dove farlo vivere, perfino il suo vissuto precedente.
I personaggi sono figli della carta e della vita reale
Un’ equilibrata fusione dei due elementi, darà vita ad un essere che saremo in grado di amare o odiare, di essere con lui o contro. Ci pone nel merito delle questioni che gravitano intorno a lui.
Immaginate la mole di lavoro di uno sceneggiatore coinvolto in un film corale. In questo caso i personaggi e le loro sfaccettature si moltiplicano in modo esponenziale. Tutti sono coinvolti attivamente e vivono di vita propria. A volte le loro storie s’intrecciano, altre appaiono slegate.
Due modi di vedere il cinema corale
Per rendere più evidente le possibilità del cinema corale, ho scelto due film che hanno un modo di raccontare diametralmente opposto. Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola e Nasvhille di Robert Altman.
Brutti, sporchi e cattivi, scritto a quattro mani dal regista e da Ruggero Maccari, pregiato e prolifico sceneggiatore, sua la firma su Il sorpasso di Risi, e stretto collaboratore di Scola. Il film è un affresco metropolitano della metà degli anni 70.
Alberto Moravia recensì il film su L’Espresso, sottolineando “…In questo notevole film, l’insistenza sui particolari fisici laidi e ripugnanti potrebbe addirittura far parlare di un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del «brutto», dello «sporco» e del «cattivo». Comunque siamo in un clima piuttosto di contemplazione apatica che di intervento drammatico.”
Il film racconta la vita quotidiana di una famiglia di 25 persone nella povertà di una baraccopoli romana. Il film si apre con il risveglio di questa numerosissima famiglia, che lentamente prende vita e si appresta ad affrontare una nuova giornata di lavoro, non sempre onesto e sempre mal pagato.
Il capo famiglia, Giacinto Mazzatella, magistralmente interpretato da Nino Manfredi, dispotico e laido, tratta tutti in malo modo, convinto che la sua famiglia voglia sottrargli il milione di lire, risarcimento di un infortunio sul lavoro che gli è costato l’occhio sinistro. Nasconde il denaro ogni giorno in un posto diverso e questa ossessione lo rende sempre più spietato nei confronti dei suoi famigliari.
Il giorno più bello per il clan è la riscossione della pensione della nonna in carrozzella, che viene divisa per tutti i componenti. Ma questo non basta e allora progettano l’avvelenamento del perfido Giacinto, che resosi conto della cosa, riesce a salvarsi e per vendicarsi prima cercherà di dare fuoco alla baracca con tutta la famiglia dentro, senza successo. Tenterà di tutto per farli fuori senza mai riuscirci.
In questa straordinaria pellicola, i protagonisti sono estremamente delineati nelle loro caratteristiche e il casting, ha selezionato principalmente caratteristi e attori non professionisti, proprio per ottenere quella ricchezza di umanità. La baracca dove vivono tutti insieme, in qualche modo è una metafora di come le vicissitudini di ogni personaggio siano strettamente legate tra loro.
L’assenza di un protagonista è il cinema corale per Altman
Mentre nel caso di Nashville, scritto da Joan Tewkesbury, concentra le vicende apparentemente scollegate di ventiquattro personaggi e nessun protagonista, nell’arco di cinque giorni del festival di country music di Nashville. Tutti condividono la stessa situazione di festa. Così il vero protagonista diventa la cittadina che accoglie sia l’aspetto dello show che quello della vita quotidiana dei personaggi, contaminandosi a vicenda.
Altman ci sottopone un’umanità che è sempre alla ricerca di qualcosa, un sogno come nel caso della barista stonata Sueleen Gay. In questo incredibile miscuglio di realtà, si fa strada la demagogica e qualunquista candidatura alle presidenziali di Hal Philip Walker, che tenterà di far assumere una matrice politica al festival e questo farà precipitare gli eventi.
Quando la stella Barbara Jean, convinta dal marito produttore, sale sul palco a cantare per il candidato Walker, un giovane le spara senza apparente motivo. Il pubblico della manifestazione sembra non essere poi così scosso dall’evento e subito dopo, intona il brano It don’t worry me, creando una sensazione irreale ma al tempo stesso estremamente credibile.
In questo caso il cast è ricco di bravissimi attori come Keith Carradine, Lily Tomlin, Karen Black, Elliott Gould e altri ancora.
Credo che nella scrittura di film corali si nascondano molteplici difficoltà, strettamente legate al numero dei personaggi coinvolti. Si rischia di non riuscire ad equilibrare il loro spessore e di rendere meccanica la costruzione della struttura. Bisogna saper dosare bene i pesi, altrimenti salterà sempre fuori un protagonista nostro malgrado. Sono convinta che per affrontare questo genere di scrittura, sia necessaria una grande esperienza.