All’epoca della sua realizzazione, l’opera suscitò grandi polemiche sulla stampa e forti critiche da parte dei movimenti femministi. Fu presentato fuori concorso al 33º Festival di Cannes. Scritto e sceneggiato da Federico Fellini, Bernardino Zapponi, Brunello Rondi, con la fotografia di Giuseppe Rotunno, il montaggio di Ruggero Mastroianni, le scenografie di Dante Ferretti e le musiche di Luis Enríquez Bacalov, La città delle donne è interpretato da Marcello Mastroianni, Ettore Manni, Anna Prucnal, Bernice Stegers, Jole Silvani, Donatella Damiani, Gabriella Giorgelli, Marina Frajese, Alessandra Panelli.
La città delle donne la trama
Snaporaz, uomo di mezza età, scende dal treno su cui sta viaggiando con la moglie per seguire una donna misteriosa. Si trova dapprima in un albergo dove scatenate femministe tengono un tumultuoso convegno (di cui nulla capisce), poi nel castello di un certo Katzone, un santone dell’erotismo, poi in un tribunale dove le donne lo condannano e in un’arena in cui deve essere linciato.
1980: Federico Fellini è un regista sessantenne ormai considerato da tutto il mondo uno dei maestri del cinema contemporaneo, e questa maturità gli permette di poter girare ogni tipo di film e, attraverso di essi, togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Un film che ‘esamina’ la donna
In quell’anno Fellini realizza La città delle donne, un film che esamina una delle ossessioni del regista riminese: la donna. L’avventura dell’”esploratore” del gentil sesso Snaporaz (un gigionesco ma sempre in parte Marcello Mastroianni) che mentre sta viaggiando in treno con la moglie si addormenta e nel suo sogno segue una donna che lo condurrà alla scoperta del mondo femminile, è anche lo spunto per Fellini per raccontare in qualche modo un’esperienza autobiografica. Nel suo lungo viaggio, Snaporaz si imbatterà in femministe agguerrite, donne procaci e, nel castello di Katzone (Ettore Manni, che morì durante le riprese) – un santone dell’eros che vegeta in una specie di reliquiario sessuale popolato da donne disinibite – autentici simboli della donna-oggetto, fino ad arrivare in un’aula di tribunale dove verrà condannato dalle femministe e durante il suo linciaggio riuscirà a scappare.
Lotte femministe
Fellini attraverso la sua superba e caratteristica visionarietà elabora il suo particolare punto di vista sulle lotte femministe dei primi anni ‘80 e sulla condizione della donna da sempre grande protagonista in ogni suo film. La donna per Fellini è mitica, superiore, inviolabile, e l’uomo non può che rendersi conto di esserne vittima: Katzone è l’emblema del latin lover che pensa di essere superiore ma in realtà subisce il contraccolpo della potenza femminile. La città delle donne è stato per Fellini un’attraente scommessa con se stesso e contro se stesso, vinta per l’eccellente comparto visivo. Si fatica a trovare oggi un regista che possa elaborare una simile favola, almeno nel panorama nostrano, ed è qui che sta la grandezza di Fellini: l’aver regalato al cinema opere visivamente e concettualmente potenti. Alla fine non importa sapere se Fellini sia femminista o antifemminista; conta, come sempre, che il suo punto di vista si scomponga nel suo estro registico senza paura di ricevere accuse di inverosimiglianza o di morbosità fine a se stessa.
Come Alice nel paese delle meraviglie
Curioso, e al tempo in pochi lo sottolinearono, accostare il viaggio di Snaporaz a quello di Alice, come fosse un paese delle meraviglie popolato dalla sessualità che in qualche modo ripercorre le “tappe” e gli episodi dell’eroina di Lewis Carroll. Quella di Snaporaz (e quindi di Fellini) è una dichiarata impotenza nei confronti della nuova donna del tempo insieme alla nostalgia, incarnata in qualche modo dai “record” di Katzone, verso la donna del passato, in un perenne alternarsi di ricordi e tempo presente come spesso accade nel suo cinema. La città delle donneappartiene in toto al cinema dell’ultimo Fellini, in cui c’è sfiducia verso il presente e verso gli uomini incapaci di sognare, il tutto reso sempre in modo grottesco ed esagerato. Chissà come il maestro interpreterebbe oggi i nostri tristi tempi.
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