Vincitore dell’Oscar come miglior documentario nel 2010, Inside Job di Charles Ferguson, visibile sulla piattaforma Netflix, rende ancora più attuale la lezione di Gordon Gekko nel primo Wall Street di Oliver Stone (1987), e dà corpo e forma a tutti i lungometraggi e alle serie tv di finzione che hanno raccontato le crisi finanziarie degli ultimi tempi.
Cinema e finanza
Nel documentario che racconta la corruzione sistemica che negli Stati Uniti ha coinvolto non soltanto l’ambiente finanziario, ma anche quello della politica e di alcuni atenei blasonati, rintracciamo le trame e i personaggi di film ben noti.
Da Wall Street – Money Never Sleeps di Oliver Stone (2010), sul fallimento di una banca (Lehman); a Margin Call di J.C Chandor (2011), sulla vigilia del crollo dei mercati, gonfi di titoli spazzatura; da 99 homes di Ramin Bahrani (2014), sulla crisi dei mutui subprime; a The Big Short di Adam McKay (2015), spiazzante e didascalico, che mette in scena la perversione degli strumenti derivati con cui gli stessi operatori e banche avevano scommesso contro il sistema, per poi farlo colare a picco.
Inside Job: How we got here
In cinque capitoli Inside Job analizza l’avvento della deregulation sui mercati, che ha favorito lo sviluppo di strumenti di finanza creativa, dove confluivano pezzetti di debito, gli ormai ben noti mutui subprime, concessi a persone con poca solidità, sull’onda della febbre immobiliare.
A fare da filo conduttore dell’opera di Charles Ferguson è il racconto di Raghuram Rajan. Ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, già nel 2005 aveva messo in guardia circa il rischio crescente all’interno del sistema, raccomandando misure di sicurezza proprio per ridurne l’impatto.
Eppure il resto degli addetti ai lavori non tenne alcuna considerazione le paure di Rajan, primo fra tutti Lawrence Summers, all’epoca capo del Tesoro americano, sotto l’amministrazione Bush
Inside Job: The Bubble
La bolla speculativa che esplose nel 2008 era figlia di un lungo periodo di prosperità, ricchezza, di un sogno americano in cui tutto era possibile.
Il crollo di Wall Street del 1987, lo scoppio della bolla della new economy, la cui euforia aveva consentito l’ammissione al mercato del Nasdaq di aziende prive di solide basi patrimoniali e finanziarie, sull’ondata dell’entusiasmo che l’avvento di internet aveva suscitato, il crollo delle Torri Gemelle, che oltre a Wall Street travolse, come sempre, tutte le Borse mondiali: tutti eventi che resero fertile il terreno per la speculazione e che le persone riprese dalla telecamera di Charles Ferguson ci raccontano.
La speculazione, appunto: “qualcuno una volta ha detto che l’avidità è buona, ora sembra che sia diventata legale, perché tutti stiamo bevendo lo stesso Kool Aid”. (ricordando le parole di Michael Douglas-Gordon Gekko in Wall Street – Money never sleeps).
A renderla legale fu la rete formata da banche di investimento, conglomerati finanziari, agenzie di assicurazioni e agenzie di rating.
La gente inseguiva il sogno, si indebitava – mutui, prestiti, carte di credito – anche se non poteva permetterseli.
Le banche di investimento impacchettavano e infiocchettavano questi debiti, e li rivendevano a piccoli pezzi a tanti investitori e risparmiatori, che a loro volta li compravano affidandosi agli autorevolissimi giudizi di rating.
Inside Job: The Crisis
Quando i debitori non riuscirono più a onorare gli impegni presi, la bolla scoppiò, con l’effetto domino devastante che conosciamo.
Chi paga per tutto questo? Chi paga per tutti i soldi bruciati in poche sedute di borse come se fossero i soldi di qualche gioco in scatola?
Risparmi di una vita, la casa dei sogni, posti di lavoro.
Ferguson ci racconta dei fondi pensione che raccoglievano i risparmi destinati alle liquidazioni dei dipendenti, investiti in strumenti derivati, luccicanti della prestigiosa tripla AAA dalle agenzie di rating (conniventi); ci mostra il deserto delle case comprate a peso d’oro, in un mercato immobiliare alle stelle e da cui gli abitanti sono stati sfrattati, perché insolventi, incapaci di pagare gli interessi altissimi dei mutui; ci fa scendere nell’inferno delle condizioni lavorative degli operai cinesi, pagati 70-80 dollari al mese, che rischiano il posto di lavoro per via della crisi.
Inside Job: Accountability
In Inside Job emerge piano piano, e con un ritmo sempre più incalzante, il peccato capitale di cui sembrano essere preda i suoi protagonisti: personaggi politici, poi riconvertitisi alla finanza, conferenzieri dai compensi miliardari, professori universitari stizziti da domande scomode, ma legittime.
Colpisce anche l’intervento di Christine Lagarde. All’epoca della crisi era Ministro dell’Economia della Francia di Sarkozy; la sua figura spicca nuovamente in questi giorni, caratterizzati da un’alta volatilità dei mercati (generata proprio da un suo discorso il mese scorso).
Compiacenti, tutti in preda al vizio capitale che governa le pulsioni dell’uomo dalla notte dei tempi e che ha mietuto e continua a mietere vittime. E’ la stessa avidità che accomuna Gordon Gekko, “greed, for lack of a better word, is good“, o Jordan Belfort, meglio conosciuto come The Wolf of Wall Street, messo in scena da Martin Scorsese nel 2013; o anche lo speculatore Bobby Axelroad, interpretato da Damien Lewis nella serie tv Showtime, Billions.
Nel suo Inside Job, Charles Ferguson fa un’interessante approfondimento scientifico, che è probabilmente alla base degli impulsi irrefrenabili che il guadagno facile riesce a generare. Quando si fanno soldi, viene stimolata la stessa parte del cervello su cui la cocaina produce i suoi effetti.
E non è un caso che questo divertimento si accompagni anche ai servizi di prostitute d’alto bordo, che raccontano di come deliziavano i signori della finanza, tra una speculazione e l’altra, e i cui conti venivano pagati sotto le mentite spoglie di spese di rappresentanza.
Inside Job: Where are we now
Decine di migliaia di operai delle fabbriche hanno perso il loro lavoro. La riforma finanziaria dell’amministrazione Obama si è rivelata debole, soprattutto nei confronti della regolamentazione dell’operato delle agenzie di rating (e dei lobbyisti). Le varie eminenze grigie che hanno mosso le fila della crisi, si sono riciclate in altri ruoli, con compensi e privilegi altrettanto vantaggiosi.
Con una tensione crescente, un ritmo scandito dai racconti che si intrecciano e rivelano particolari inaspettati, il tocco accattivante e seducente che, inevitabilmente, accomuna tutti i vizi, una musica fortemente tematica (tra queste Big Time di Peter Gabriel) Inside Job di Charles Ferguson non risparmia niente e nessuno.