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Taxidrivers Magazine

Serata dedicata a Massimo Troisi su Cine 34 con Scusate il ritardo e Le vie del Signore sono finite

Cine 34 dedica la prima e la seconda serata all'attore e regista Massimo Troisi. Si comincia alle 21,10 con Scusate il ritardo, film del 1982, e si prosegue alle 23,35 con Le vie del Signore sono finite (1987)

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Scusate il ritardo è un film del 1983 interpretato e diretto da Massimo Troisi. Il titolo del film è un riferimento sia al tempo trascorso dal film precedente (Ricomincio da tre, del 1981) sia ai diversi tempi dell’amore e alla non sincronia dei rapporti di coppia. Il film incassò 3 miliardi e mezzo di lire al botteghino. Il secondo film di Troisi riesce a ottenere numerosi premi tra cui il David di Donatello (1983) per il miglior attore non protagonista a Lello Arena e anche per la migliore attrice non protagonista a Lina Polito. Troisi si aggiudica la Maschera d’Argento, il Premio UBU, il Biglietto d’oro per l’incasso della stagione 1982-1983 e il Premio De Sica. Scusate il ritardo è ancora una volta sceneggiato da Troisi assieme ad Anna Pavignano. Con Massimo Troisi, Giuliana De Sio, Lello Arena, Lina Polito, Franco Acampora.

Sinossi
Vincenzo, giovane napoletano, vive mantenuto da mamma, sorella e fratello. Il suo amico Tonino lo assilla con la sua depressione per un amore finito male. Anche Anna ha avuto una delusione ed è convinta di trovare in Vincenzo la sua consolazione, e lui accetta, visto che ne è innamorato.

La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)

Dopo il clamoroso successo dell’esordio con Ricomincio da tre (1981), film che detiene a tutt’oggi il record di maggiore permanenza nelle sale cinematografiche italiane, con più di 600 giorni di programmazione (con un incasso di 15 miliardi di lire), e che valse al suo autore numerosi riconoscimenti (David di Donatello, Nastro d’Argento e Grolla d’Oro), Massimo Troisi tornò dietro la macchina da presa nel 1983, realizzando quello che è considerato il suo film migliore, visto lo spessore tematico ed artistico e la forza e l’efficacia con cui riuscì a scavare all’interno della sua anima. Scusate il ritardo (1983), il cui titolo è dovuto proprio alla lunga pausa che il regista partenopeo si prese prima di girare il secondo lungometraggio e alla asincronia dei personaggi rappresentati rispetto ai rapporti che vivono, è certamente superiore per vis comica e analisi psicologica al precedente lavoro, laddove Troisi perfeziona i tempi della recitazione, trascinando lo spettatore nei suoi virtuosismi linguistici, in cui la parola viene continuamente sabotata e privata del suo significato, in favore di un flusso sonoro che, attraverso svariate modulazioni, produce un effetto umoristico di efficacissima presa. Ad impreziosire l’immenso talento del grande interprete contribuiscono gli altri meravigliosi attori, i quali, in quest’occasione, interagiscono magnificamente, offrendo una perfetta prestazione: parliamo, ovviamente, di Lello Arena, che duetta con Troisi in maniera impeccabile, e ormai possono considerarsi definitivamente consegnate alla storia del cinema italiano le esilaranti e al tempo stesso dolorose conversazioni che i due tenevano eroicamente sotto la pioggia incessante di una Napoli fantasmatica e notturna che forniva uno sfondo impareggiabile. Non da meno è Giuliana De Sio: il suo sguardo attento, che segue i movimenti delle labbra di Troisi mentre si produce nei tipici soliloqui-sproloqui, la lucentezza dei suoi occhi e l’esattezza della dizione donano un esemplare contrasto all’insieme, dando ancora maggior rilievo alle scorribande linguistiche del protagonista.

Massimo Troisi con Scusate il ritardo mette in scena un sincero tentativo di auto-analisi, stigmatizzando senza indulgenza i propri vizi, l’incapacità di gestire la propria vita e i rapporti sentimentali, di contro a un fratello, Alfredo (Franco Acampora), che, invece, è un affermato attore comico. Lo sdoppiamento che Trosi e Anna Pavignano (gli sceneggiatori) operano è funzionale a mettere a nudo la vita privata del protagonista, che a differenza di quella pubblica, trionfale e di successo, è assai claudicante, per una timidezza che, a ben guardare, nasconde una consistente quota di narcisismo: la fidanzata di Gaetano (Troisi), Anna (De Sio), coglie, con la naturalezza dell’istinto femminile, molto bene questo aspetto, comprendendo quanto l’uomo che ama sia avviluppato in una spirale che, tra inadeguatezza e orgoglio, gli impedisce di vivere con il naturale abbandono una storia d’amore sorta successivamente alla perdita del padre (il film inizia magistralmente con la veglia funebre nella casa di Gaetano, dove sono riuniti amici e parenti. Non viene detto esplicitamente, ma deduciamo che la dipartita riguardi il genitore). Ed è dunque a ridosso dell’elaborazione di un decisivo lutto che comincia la narrazione di Scusate il ritardo, segnalando quanto il dato psicologico sia importante all’interno dell’economia della storia, che saggiamente si conclude con un senso di sospensione, rimandando a un futuro incerto in cui provare a intraprendere un’evoluzione per superare quella impasse che immobilizza il protagonista e che ha minato il delicato rapporto con Anna. I personaggi che gravitano intorno a Gaetano sono i riflessi della sua sfaccettata personalità, tant’è che dopo che Tonino (Arena) trova una nuova fidanzata, superando finalmente il dolore per la precedente relazione, Gaetano precipita nella stessa identica situazione dell’amico, dovuta al distacco da Anna.

Insomma, molto più che un film comico (quantunque un film comico che si rispetti non abbia bisogno di altro), Scusate il ritardo testimonia lo spessore poetico di Massimo Troisi, che poi troverà un’ulteriore e decisiva conferma nello splendido Le vie del Signore sono finite, in cui il virtuosismo linguistico raggiunto pone l’interprete partenopeo tra i più significativi rappresentanti del cinema italiano, erede naturale di Eduardo e accostabile, per acutezza di sguardo e originalità espressiva, a Woody Allen e Buster Keaton.

Le vie del Signore sono finite è un film del 1987 scritto, diretto ed interpretato da Massimo Troisi e vincitore di un Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura. Sceneggiato da Troisi e Anna Pavignano, con la fotografia di Camillo Bazzoni, il montaggio di Nino Baragli e le musiche di Pino DanieleLe vie del Signore sono finite è il terzo film da regista dell’attore napoletano (se si esclude la co-regia con Roberto Benigni di Non ci resta che piangere). Il film è stato quasi interamente girato a Lucera. L’ambientazione però è nell’immaginario paese di Acquasalubre, che, almeno a giudicare dal dialetto dominante, sembrerebbe situato in Campania. Con Massimo Troisi, Jo Champa, Marco Messeri, Massimo Bonetti, Enzo Cannavale.

Sinossi
Da quando Vittoria l’ha lasciato, Camillo è rimasto paralizzato. La malattia è chiaramente psicosomatica, dice il suo medico, tant’è vero che alla notizia che Vittoria s’è lasciata col nuovo fidanzato, lui ricomincia subito a muoversi. Intanto il fascismo è andato al potere, Camillo è andato in galera per una battuta sul Duce e Vittoria è andata a vivere a Parigi. Camillo però ora sa come muoversi.

La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)

Vedere un film inconsueto e delizioso come Le vie del Signore sono finite, diretto e scritto da Massimo Troisi e dalla fedele collaboratrice Anna Pavignano, fornisce l’occasione per fare esperienza di una modalità originalissima di accostarsi al mondo della rappresentazione, laddove la storia messa in scena, convenzionale nei suoi tratti salienti, è continuamente boicottata, decostruita, sconquassata dalla magnifica interpretazione dell’attore, che con la sua presenza si pone come un vuoto (linguistico-culturale) che erra vorticosamente tra le linee di fuga del profilmico. Troisi cortocircuitava il linguaggio, rendendolo un flusso in cui veicolare i continui cambiamenti di velocità e timbro della sua dizione, facendo regredire la comicità a meccanismi basilari, primordiali, quasi inconsci, e lo spettatore ride di gusto per l’insistenza eroica e ironica (impietosamente ironica) con cui la parola, girando spasmodicamente intorno ai più disparati argomenti, senza peraltro raggiungere mai un approdo, viene contestata e sabotata. Quello di Troisi era un ‘dis-dire’ che invitava l’ascoltatore a comprendere l’inutilità del significato rispetto alla potenza di un significante che ogni volta sgorgava dal tremolio incessante della voce, annunciando lo sconfinamento dal Simbolico al Reale. La ripetizione ossessiva di un termine (a tal proposito nel film in questione c’è una splendida sequenza che testimonia esemplarmente questa operazione), attraverso una modulazione sempre differente di tono, o ostinatamente uguale, faceva precipitare impietosamente il senso, e ciò che rimaneva era un suono che, per il solo fatto di essere così svuotato, si caricava di una vis comica imprevista e travolgente.

L’azione del film si svolge in Italia, durante il regime fascista, e Camillo (Troisi), un barbiere della cittadina di Acquasalubre, dopo essere stato lasciato dalla fidanzata Vittoria (Jo Champa), sviluppa un disturbo psicosomatico che lo paralizza, costringendolo su una sedie a rotelle. Durante un viaggio a Lourdes, incontra Orlando (Massimo Bonetti), animo nobile con velleità letterarie, affetto dallo stesso problema motorio. Il medico-psicanalista che ha preso in cura Camillo cerca di comunicare con Freud per segnalargli il particolare caso del suo paziente, ma le lettere, in virtù di un’ostilità verso l’Italia per le sorti del recente conflitto mondiale, vengono cestinate prima di giungere al destinatario. Il rapporto tra i due giovani protagonisti è l’espediente letterario utilizzato dagli sceneggiatori per articolare quello tra conformismo e contestazione, giacché Camillo, sebbene non assuma una dichiarata posizione politica, è per natura antifascista, e paga con una reclusione di due anni la sua opposizione alla dittatura. È raffinato in tal senso il lavoro di scrittura degli autori che, senza affrontare direttamente il problema, tessono una trama metaforicamente incisiva, dato che, alla fine, sarà proprio la purezza del protagonista ad essere premiata, di contro all’amico (Orlando), il quale, invece, si lascia sedurre dal potere, diventando un importante funzionario del regime. Diverte e fa riflettere, inoltre, la questione religiosa che cova sottotraccia, visto che Camillo, una volta riconquistata la speranza di ritrovare la sua amata Vittoria, torna a camminare, creando sconcerto e una fanatica devozione in coloro che scambiamo l’improvvisa guarigione per un miracolo. Insomma, con una sorprendente leggerezza di tocco, il film mette alla berlina tutto un periodo storico, stigmatizzando incisivamente i discutibili valori che lo hanno animato, e innescando una lenta e inesorabile demolizione.

Un film, Le vie del Signore sono finite, che dev’essere non solo recuperato (per chi l’avesse mancato), ma fortemente rivalutato, sebbene all’epoca della sua uscita ebbe il meritato riscontro di critica e pubblico. Chi scrive non può far altro che consigliarne caldamente la visione.

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