I basilischi è un film del 1963 diretto da Lina Wertmüller. Lina Wertmüller, dopo l’esperienza come aiuto regista di Federico Fellini per il film 8½, debutta come regista con il film I basilischi, di cui cura anche il soggetto e la sceneggiatura, e gira il film in un paese situato sulla Murgia Pugliese, al confine con la Basilicata, Minervino Murge. Le scene del film sono state girate quasi interamente nei comuni Pugliesi di Minervino Murge e Spinazzola e in Basilicata nel comune di Palazzo San Gervasio. La regista per questo film si aggiudica la “Vela d’argento” al Festival di Locarno del 1963 e ottiene premi – in seguito – anche a Londra e a Taormina. Sceneggiato e diretto da Lina Wertmüller, con la fotografia di Gianni Di Venanzo, il montaggio di Ruggero Mastroianni e le musiche di Ennio Morricone, I basilischi è interpretato da Antonio Petruzzi, Stefano Satta Flores, Rosanna Santoro, Flora Carabella.
Sinossi
Francesco, Sergio e Antonio sono tre giovani privilegiati che vivono in un tipico paesino di provincia, Minervino Murge situato tra la Puglia e la Basilicata: il film è il ritratto della loro vita, ormai troppo intrisa di apatia e provincialismo, per poter far loro desiderare davvero di spiccare il volo verso mete più stimolanti. Infatti, quando un giorno la zia di Antonio, svogliato studente universitario, gli offrirà di andare ad abitare da lei a Roma trasferendo l’iscrizione dall’Università di Bari a quella della capitale, dopo poco tempo egli rinuncerà e farà ritorno al paese, incapace di abbandonare pregiudizi, luoghi comuni e rituali della provincia natia, ormai irreversibilmente radicati nel suo essere.
L’esordio cinematografico di Lina Wertmüller ed il suo piccolo, insuperato capolavoro, Vela d’argento per la regia e premio internazionale della stampa al festival di Locarno: i basilischi sono le gigantesche lucertole che trascorrono il tempo pigramente spiaccicate sulle pietre infuocate dal sole (e, in araldica, la loro immagine appare non a caso negli stemmi di molti comuni di Puglia e Basilicata). I protagonisti del film hanno proprio le loro movenze, stanchi, apatici, insoddisfatti, fiaccati dall’afa e dalla tediosa routine di giornate sempre uguali, che scorrono lente e pesanti nell’abulica ritualità di gesti e consuetudini. E proprio dalla descrizione della siesta pomeridiana in un paesino del profondo Sud, tra Puglia e Lucania, prende le mosse il film (“È la controra di un giorno d’estate, ma pigliamo un giorno qualsiasi, forse dell’anno scorso, forse dell’anno prossimo, tanto è uguale”), introducendo i suoi personaggi principali, un gruppetto di tre giovani sfaccendati di buona famiglia. Lina Wertmüller prosegue, a pochi anni di distanza, le riflessioni socio-culturali sull’emigrazione del Visconti di Rocco e i suoi fratelli (“Non dobbiamo scappare, non dobbiamo andare via, è qua che dobbiamo stare, è qua che devono cambiare le cose e, se ce ne andiamo tutti, qua chi resta?”) con uno sguardo tutt’altro che conciliante ed i graffi rabbiosi dell’indignazione (il suicidio della vecchietta), stemperati nei caustici umori di un’ironia affilatissima ed amara, sfuggendo i rischi del macchiettismo da commedia con l’incisività di toni dell’affresco ambientale, con le sfumature dolenti o amene della sceneggiatura, che sospendono tra grottesco e tragedia la grigia quotidianità esistenziale dei suoi personaggi sull’orlo della depressione, con il gusto pittorico nella composizione delle inquadrature e nella cura della messinscena (con il magnifico bianco e nero della fotografia di Gianni Di Venanzo e la suggestiva colonna sonora di Ennio Morricone) e con la sapiente direzione degli attori (con, su tutti, uno scatenato Stefano Satta Flores). Ne emerge un ritratto lucido ed appassionato, anche esilarante nell’estremizzazione bozzettistica della critica di costume, immersa in un controcanto iperrealistico che ne trasfigura le istanze di denuncia sociale nella coralità sofferta e sofferente dei suoi eroici “basilischi” senza più ambizioni.