Mediterraneo, il film premio Oscar di Gabriele Salvatores
Con Mediterraneo si conclude la cosiddetta "trilogia della fuga", composta da Marrakech Express del 1989 e da Turné del 1990, ovvero il trittico di film diretti da Gabriele Salvatores dedicati alla poetica della fuga verso una nuova forma di interiorità. Premio Oscar per il miglior film straniero nel 1992
Mediterraneo, un film del 1991, diretto da Gabriele Salvatores, con Diego Abatantuono, Claudio Bigagli e Giuseppe Cederna, ispirato e liberamente tratto dal romanzo Sagapò di Renzo Biasion, edito da Einaudi. La pellicola ha vinto il premio Oscar per il miglior film straniero nel 1992. Con Mediterraneo si conclude la cosiddetta “trilogia della fuga”, composta da Marrakech Express del 1989 e da Turné del 1990, ovvero il trittico di film diretti da Salvatores dedicati alla poetica della fuga verso una nuova forma di interiorità, di individualità, di impegno non condizionato da fattori ideologici, da miti collettivi, da figure guida carismatiche ma corruttibili.Il film è accompagnato dalla citazione di una frase di Henri Laborit («In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare») e si chiude con una didascalia significativa ed emblematica: «Dedicato a tutti quelli che stanno scappando».
Sinossi Nella primavera del 1941, una pattuglia di soldati italiani riceve l’ordine di presidiare un’isoletta del mare Egeo, al di fuori delle rotte commerciali. Gli otto militari, una composita accozzaglia di uomini appartenenti a diversi corpi e provenienti dalle più diverse regioni italiane, eseguono l’ordine e occupano l’isola apparentemente deserta. Nel giro di pochi mesi la guerra si dimenticherà di loro e loro della guerra.
«In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare». Gabriele Salvatores: “Viene dall’Elogio della fuga dove Laborit dice anche che quando la tempesta è forte, se sei in barca, l’unica cosa che puoi fare è ammainare tutte le vele e chiuderti sottocoperta. Si chiama “cappa secca”, è una condizione per cui non governi più la barca, non vai più dove volevi andare, perdi il controllo, però ti salvi la vita e può anche capitarti di percorrere rotte non battute e di approdare a luoghi sconosciuti e interessanti. Volevo sostenere la bellezza di lasciarsi aperti a vie di fuga, non di fuggire le responsabilità. Ricordo che in un dibattito sul film in cui qualcuno contestava quello che riteneva un ritiro sull’Aventino, avevo detto che non era mia intenzione fare un film su questo, se no l’avrei chiamato Méditerranée.”
Nel 1941, otto soldati italiani (il navigato sergente Lo Russo, il tenente Montini che insegna in un ginnasio, l’umile Antonio Farina, il padre di famiglia Noventa, l’attendente del sergente Colasanti, lo stralunato Strazzabosco e i fratelli Munaroni) vengono sbarcati in una sperduta e placida isola della Grecia, Kastellorizo, che, come dice uno di loro, ha un’importanza strategica pari a zero. Vi restano per tre anni, trascorrendo giornate amene, divertendosi con la prostituta Vassilia e aderendo agli usi e costumi locali. Dopo l’8 settembre 1943 arrivano gli inglesi: è l’ora di ritornare. Qualcuno decide di restare. Apparentemente spensierata commedia dai sapori agrodolci, Mediterraneo è un punto d’arrivo nel cinema di Gabriele Salvatores. Aiutato dalla bella sceneggiatura di Enzo Monteleone, continua il suo discorso sull’amicizia maschile nell’ambito della cosiddetta “trilogia della fuga” dopo Marrakech Expresse Turnè. L’elemento di novità è costituito dal passaggio a una dimensione storica, sulla scia della tradizione nostrana di commedie belliche, coerente comunque con la volontà di impostare un cinema dalla triplice funzione: generazionale (i sessantottini frustrati o riciclati), popolare (la commedia dei caratteri), internazionale (una storia nazionale in una cartolina estera). In realtà la si potrebbe risolvere molto semplicemente: guardare al passato per parlare del presente. E così tutti gli accadimenti possono essere associati al lento tramonto del sol dell’avvenir rivoluzionario: e se è vero che “in tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”, questa dislocazione dei soldati lontani dall’Italia è solo la metafora di una fuga che qualcuno non vuole interrompere. Il finale, per dire, è più lamentoso che malinconico. Chissà perché, come a Marrakech, è ancora il buon Giuseppe Cederna a fermarsi nel luogo straniero. Fa macchia l’interpretazione di Diego Abatantuono che bagna il naso ai colonnelli della commedia all’italiana. Musiche di Giancarlo Bigazzi che hanno fatto scuola.
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