Papicha (titolo italiano Non conosci Papicha ) è ora disponibile su Prime video
La rabbia, la ribellione, il desiderio di emancipazione di un gruppo di studentesse universitarie nell’Algeria degli Anni Novanta, quando il radicalismo religioso torna a farsi strada e cerca di soffocare l’esuberanza e l’energia di una gioventù che morde il freno e cerca libertà, amore, emancipazione. Un inno alla vita, alla bellezza, alla resistenza quando incombe la ‘notte’: questo il significato profondo del bellissimo film Papicha (‘bella ragazza’), diretto dalla regista algerina Mounia Meddour, opera prima visionaria ed emozionante presentata nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2019.
Nell’Algeria degli anni Novanta le protagoniste del film, Nedjma, Wassila e le sue amiche, studiano e si incontrano di giorno, mentre di notte escono dalle loro case di nascosto, si cambiano e si truccano per andare in centro città (complici dei tassisti ben pagati) a respirare la vita dei locali notturni, danzare e fare nuove amicizie, per vivere la propria giovinezza come tanti coetanei di altri Paesi. Ma un terribile vento di conservatorismo inizia a soffiare e, a poco a poco, tutto cambia: ragazzi armati di pistole girano per moralizzare la città, gruppi di donne in nero iniziano a ‘fare giustizia’ per le strade, con minacce e azioni terroristiche, volantini e manifesti affissi invitano ad indossare l’hijab con la scritta: “Sorella, la tua immagine è preziosa per noi: prenditi cura di essa o lo faremo noi“. Nedjima, che ha un grande talento nel disegnare e tagliare abiti, vuole realizzare a tutti i costi una sfilata di moda all’Università, utilizzando le sue amiche come modelle, incurante del pericolo o forse ignara della sua entità. Finché un giorno bussa alla porta di casa una donna coperta dall’hijab che cerca la sorella di Nedjima, una giornalista che racconta ciò che sta accadendo, e le spara un colpo di fronte alla sorella e alla madre. Il mondo emozionale di Nedjima vacilla, ma non si arresta, anzi cresce in lei la ribellione, sublimata nel bisogno inderogabile di portare avanti il progetto del défilé di abiti realizzati con l’’haik’, una stoffa tradizionale usata dalle donne maghrebine: la sostengono le sue amiche – anch’esse alle prese con le restrizioni e la negazione della libertà femminili -, la necessità di sopravvivere e il desiderio di sfida verso coloro che vogliono costringere il Paese al silenzio e all’oscurità.
Papicha inquadra la gioia, l’angoscia e l’incalzare degli eventi con primi piani eloquenti e un ritmo serrato e quasi ossessivo nell’escalation dello sgomento fino al tragico epilogo. Elemento vincente nel film, oltre al toccante ritratto femminile della protagonista, che non si arrende e lotta strenuamente per ciò in cui crede, è il messaggio metaforico dei tessuti e degli abiti realizzati con arte e creatività, in contrapposizione ai vincoli, all’omologazione e alla mortificazione (femminile e non solo) promulgata per le strade. Nata nel 1978 e figlia del regista algerino Azzedine Meddour, Mounia Meddour racconta nel suo esordio nel lungometraggio la sofferenza e la resistenza vissute dal popolo algerino, in particolare dalle giovani generazioni, nel decennio di terrore e violenza degli anni Novanta.