Trieste Film Festival 2019: intervista a Nicolò Bongiorno, regista del documentario I leoni di Lissa
Molto piacevole si è rivelata la conversazione con Nicolò Bongiorno, autore del documentario da noi scoperto al Trieste Film Festival, che ha poi ricevuto il primo premio di Firenze Archeofilm
Nicolò Bongiorno con la produttrice croata Tina Hajon
Presi dall’entusiasmo per I leoni di Lissa, avevamo preso contatto (oltre che con la produttrice croata Tina Hajon) con il suo autore, il documentarista Nicolò Bongiorno, già all’indomani del Trieste Film Festival. Ma altre avventure attendevano il film da cui eravamo rimasti tanto colpiti. E così abbiamo potuto rallegrarci anche noi, più avanti, quando al documentario è stato assegnato il primo premio di Firenze Archeofilm, festival assai rinomato presso gli addetti ai lavori proprio per la valorizzazione di simili produzioni.
A questo punto i tempi erano maturi. Nicolò Bongiorno, figlio del compianto, popolarissimo Mike ma soprattutto persona estremamente cordiale, di vasta cultura e dagli svariati interessi, ha intavolato con noi una vivace conversazione. Ed essendosi prestato con generosità a rispondere alle nostre domande, ne è uscita fuori l’intervista così ricca di curiosità e approfondimenti che vi possiamo ora proporre.
Tra gli aspetti del tuo documentario che ci sono maggiormente piaciuti, Nicolò, vi è senza dubbio l’agile ma documentatissima ricerca storiografica e antropologica. Come è stato muoverti tra archivi, interviste agli storici e ricognizioni sul posto?
La battaglia di Lissa è un fatto storico che ha acquistato i connotati di favola e di mito. Ho effettuato delle lunghe ricerche tra gli archivi e i musei marittimi esistenti in Italia (Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio, Marche), in Austria in Slovenia e in Croazia (Istria e Dalmazia), e c’è una letteratura storiografica molto vasta sull’argomento e addirittura una specie di mitologia che si è sviluppata intorno alla figura dell’ammiraglio Austriaco vincente Tegetthoff e a quello perdente Italiano, Persano. La cosa più interessante è stato andare a cercare sui luoghi degli eventi dei frammenti di umanità che potessero ricondurmi all’emozione della battaglia, che è poi lo spirito che ha animato la mia ricerca documentaristica, cercare di fare rivivere la storia attraverso delle emozioni.
A emergere con forza dalla visione de I leoni di Lissa è anche la fascinazione esercitata dal mare e da coloro che con esso hanno un rapporto particolarmente intenso, siano pescatori o anche campioni di apnea. Che ricordo hai dei personaggi da te incontrati? E più in generale dell’isola di Vis (o Lissa)?
La Dalmazia è un luogo meraviglioso, specchio dell’Europa e specchio del Mediterraneo, e l’isola di Lissa è per me divenuta il simbolo di un luogo magico e ipnotico, un luogo dove mi sono ritrovato a scavare nell’inconscio profondo dell’unità d’Italia. Il linguaggio delle onde e dei moli, della migrazione dei pesci, i destini e le storie custodite nei dizionari nautici e nelle lingue scomparse… i gerghi e le parlate che mutano nello spazio e nel tempo, scirocco, silok e sireko… Uno dei massimi poeti jugoslavi, il dalmata AUGUSTIN UJEVIC, in un reportage sull’isola di Lissa, così scriveva: “Finalmente, in un deserto bagnato dal mare, immerso nel verde, ho ritrovato una cosa impossibile: la felicità. È stata una fuga da tutte le oppressioni della realtà. Qui ho assorbito l’anima di tutti i mari infiniti… Mi sono detto: Lissa mi è più cara dell’intero Adriatico… Sono approdate fino a me le acque dell’Atlantico e del Pacifico, e non soltanto quelle dell’Adriatico… Mi sono immerso nell’acqua per riemergere con un capitale di perle.”
Inutile girarci intorno, le meravigliose riprese delle immersioni che avete effettuato per raggiungere il relitto della Re d’Italia rappresentano il momento più suggestivo del film. Come hai preparato, affrontato e rielaborato tale esperienza? E quanto ha contato l’analoga passione di tuo padre per il mare, nel formarsi del tuo interesse per le esplorazioni subacquee?
Devo molto a mio padre che ha acceso la mia fantasia con le sue prime esplorazioni subacquee negli anni 60’, infatti nel film sono riuscito a inserire dei frammenti di riprese subacquee molto suggestive con mio padre come protagonista. Una specie di cameo che per me ha un valore simbolico. E poi il grande salto, quella porta oltre la quale si esce dal mondo noto per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno (Maupassant)… è stato reso possibile grazie alla grandissima professionalità di Roberto Rinaldi, esploratore subacqueo che ha condotto le riprese subacquee a grandissima profondità sul relitto della Re d’Italia (110 metri sotto il mare). Ma lo spirito che ha contraddistinto le nostre ricerche non è stato quello dell’exploit sportivo, anche se dal punto di vista fotografico archeologico si tratta di una sequenza unica e di grandissimo valore tecnico, ma il tentativo di risvegliare una dimensione umana, di rivivere la storia sfiorando con mano gli eventi del passato sepolti tra la polvere degli abissi, quasi come cercare di portare con me lo spettatore in un viaggio nel tempo. Questo approccio originale è stato reso possibile anche grazie alla preziosissima consulenza scientifica di un grande archeologo Italiano che è Francesco Tiboni.
Ipnotiche sono anche le sequenze d’animazione inserite nel documentario: come sei riuscito a far entrare nel progetto un artista come Vuk Jevremović e come ti sei rapportato ai suoi lavori?
Vuk Jevremovic è un grandissimo artista che è stato anche candidato all’Oscar, le sue illustrazioni mi hanno reso possibile entrare in un’altra dimensione della storia, quella dell’immaginazione che va oltre l’osservazione del mare nei suoi infiniti cambiamenti fisici e simbolici, ma viverlo nelle sue metafore, proiettandosi in lui per dare un senso grande, potente, alla nostra fragilità umana. Vuk mi ha aiutato nel tentativo di costruire una metafora del mare come voce del profondo, che ci connette con il mistero nostro e dell’universo. Lissa è una storia nascosta, dimenticata, è un luogo sospeso, invisibile, altro… e per arrivarci bisogna aprire la porta di un’altra dimensione, sbloccare forze parallele.
Nel tuo percorso registico importante è stato anche un documentario datato 2004, Esodo, che racconta la tragedia delle foibe e il dramma dei tanti istriani, fiumani e dalmati costretti a lasciare le proprie terre d’origine. Il tuo rapporto con la tragica storia di questi territori è quindi molto forte?
Sono sempre stato molto affascinato dalla storia dei Balcani e ho potuto indagare a fondo anche i tragici avvenimenti che hanno riguardato gli Italiani rimasti intrappolati tra le tragedie delle guerre mondiali nel 900’, fatti che mi hanno toccato molto dal punto di vista umano, al di là delle connotazioni politiche. La battaglia di Lissa in un certo senso è stato per me andare alle radici perché il senso di molto di ciò che è avvenuto agli Italiani nel corso del 900’ tra le sponde dell’Adriatico si può andare a cercare nel Risorgimento e soprattutto nella terza guerra di indipendenza, dove le grandi battaglie perse per terra e per mare si sono riverberate nel tempo e hanno lasciato un segno profondo nell’inconscio del nostro paese.
Ma il mio film storico sulla battaglia di Lissa ci tengo a precisare che è un diario di viaggio, un racconto avventuroso fuori dalla storia, è fantastoria pluridimensionale, è fiabesco e surreale, oscillante tra il gusto di documentare le esistenze di uomini e popoli e la comparsa della forza della natura sacra come voce del profondo, che ci connette con il mistero nostro e dell’universo alla ricerca di un’ideale integrità umana.
Per finire, dopo la realizzazione de I leoni di Lissa ti stai già dedicando a qualche nuovo progetto?
Continuo a lavorare sul tema del Risorgimento con il terzo episodio della mia trilogia di esplorazioni. Dopo Cervino la montagna del mondo e I leoni di Lissa che narrano dell’esplorazione nella verticalità (montagna e mare) ora guardo verso i nuovi orizzonti e allo spazio profondo, cioè all’uomo che si proietta nell’universo oltre il pianeta terra. E qui sarà un grande astronomo Italiano, Giovanni Schiaparelli, uno dei maggiori studiosi del suo secolo della storia dell’astronomia antica e noto particolarmente per i suoi studi su Marte, che accenderà la scintilla di questo mio nuovo viaggio.