Le prime scene di A Minor Genocide permettono allo spettatore di calarsi nell’amenità di alcuni disegni infantili. Casette, fiorellini e famigliole felici. Solo apparenza. Perché nel quadro successivo semplici caramelle cambiano forma all’improvviso, trasformandosi nelle stesse bombe sganciate dagli arei tedeschi sull’ameno villaggio. Con una sintesi perfetta la regista Natalia Koryncka-Gruz ha scelto queste sequenze di animazione, per introdurre il tema del suo documentario: l’efferato eccidio compiuto dai nazisti nel villaggio polacco di Sochy e le modalità con cui tale trauma è stato tramandato, attraverso diverse generazioni. Un po’ come Chris the Swiss, meritato vincitore della sezione documentari, anche questa produzione polacca ha dimostrato al pubblico del 30° Trieste Film Festival quanto un’animazione d’autore possa risultare funzionale, in lavori che si propongono di indagare aspetti controversi, scabrosi, della nostra Storia contemporanea, legandone il ricordo ancora fresco ad esperienze dolorose compiute da singoli personaggi.
L’eccezionalità di un film come A Minor Genocide sta anche in questo, nell’aver sommato tre diversi punti di osservazione sulla spietata rappresaglia tedesca, che fece diverse vittime tra i bambini e ne lasciò orfani altri, partendo dai ricordi di una delle sopravvissute divenuta poi poetessa, Teresa Ferenc, per poi passare il testimone dell’ideale staffetta alla figlia scrittrice, Anna Janko, ed infine alla nipote animatrice Zuzanna Majer, i cui disegni hanno trovato spazio all’interno del film per rappresentare passaggi tristi, intimi e delicati. Mentre è proprio il libro di Anna Janko, Mała zagłada (che in lingua originale è anche il titolo del film), la fonte principale da cui ha tratto spunto la narrazione.
La descrizione dei fatti che avvennero nel villaggio di Sochy si fa strada facendo sempre più agghiacciante, pur conservando qualche elemento di umanità, ad esempio la diversa condotta di un “tedesco buono” il quale evitò che alcuni bambini venissero uccisi. Teresa Ferenc e si suoi due fratellini riuscirono così a salvarsi, portandosi però appresso il trauma di aver visto scannare entrambi i genitori davanti ai loro occhi. E molto “junghianamente” tale trauma pare essersi trasmesso di generazione in generazione, formando almeno in parte il carattere, la sete di giustizia e le paure più intime tanto della figlia Anna che della nipote Suzanna.
Il film di Natalia Koryncka-Gruz esplora tali circostanze con grande tatto e sensibilità, senza però risparmiare le asprezze del caso. Giustissima appare poi l’apertura finale ad altre guerre, altre violenze, altri genocidi, quale sentire comune di un’umanità oppressa, in balia di istinti ferini e letali. Molto meno appropriato, ma è un giudizio strettamente personale, ci è sembrato il parallelo con l’uccisione degli animali negli allevamenti intensivi, con il rischio di pericolose equiparazioni. Fatto sta che comunque si esce dalla visione di A Minor Genocide con un groppo alla gola e con tanti altri fattori sui quali riflettere.