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Underground

Il cinema di Vittorio Armentano

Vittorio Armentano, ovvero un occhio che guardava in differenti punti, non riposava sul già visto e si serviva dei materiali non con funzione illustrativa ma nel tentativo di far interagire l’immagine con il suono, il segno con l’animo di chi guarda, il battito interiore con le sensazioni che nascono dall’esterno.

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Armentano - Modelling

Vittorio Armentano, ovvero un occhio che guardava in differenti punti, non riposava sul già visto e si serviva dei materiali non con funzione illustrativa ma nel tentativo di far interagire l’immagine con il suono, il segno con l’animo di chi guarda, il battito interiore con le sensazioni che nascono dall’esterno.

Presentati al Cinema Trevi, con l’appassionata partecipazione di Italo Moscati e Giuliano Montaldo, i suoi lavori, realizzati tra il 1962 ed il 1971, sviluppano una ricerca centrifuga rispetto alle forme e alle suggestioni che dominavano l’epoca, anticipando piuttosto una linea sperimentale che anche in seguito, in Italia, troverà pochi prosecutori.

È tuttavia in opere come queste che il cinema, seppur ridotto (e forse in questo sta la sua efficacia) a pellicole di 12 minuti, ripulite dalle incrostazioni d’una storia da raccontare, diventa meccanismo d’attivazione d’altro. Un cinema che si lascia guardare non nell’aspirazione di farci immergere in esso, ma piuttosto nel tentativo di creare uno stimolo alla reazione del nostro sistema percettivo, anche una volta che ci ritroveremo fuori dallo spazio chiuso d’una sala di proiezione.

Se “Il pignoramento” si lega alla tragica realtà di chi perde la casa, ci offre anche il piacere d’un duchampiano spiazzamento, del vedere in cosa possano trasformarsi dei mobili parcheggiati sulla strada, e lasciati interagire con le curiose mani dei bambini.

Il cantiere” coniuga il virtuoso soffermarsi sul mero aspetto figurativo – di superficie quasi bidimensionale – che la vista di travi e lavori in corso può presentare, con la questione mai risolta delle morti bianche, il cui numero fatica a decrescere ache dopo più di 40 anni di proclami e lotte per la sicurezza dei lavoratori.

Trasformazioni marine” e “L’ultimo” suggeriscono una via più astratta di approccio con le immagini. Nel primo i volti ed i corpi dei bagnanti che riempono una spiaggia perdono i loro contorni definiti, diventando un impasto di forme e colori a cui l’associazione con le parole di James Joyce e con i suoi sincopati ed alieni di Egisto Macchi dà nuovo vigore e ci permette di trasportarci altrove. Così come nel secondo – ricordando che Armentano fu anche attore ne “Il Seme dell’uomo” di Marco Ferreri – in cui il viraggio in rosso ed il concitato muoversi in una gabbia invisibile del corpo protagonista diventano simbolo di una inquietudine che va oltre il pericolo d’una apocalisse atomica in quegli anni assai incombente.

Dinanzi alla legge” (1970), ambientato nel Palazzo di Giustizia di Roma, parte dagli ossessionanti versi di Kafka (ben sottolineati dal montaggio rapido e violento ed ancora dai suoni di Macchi) per sbeffeggiare ogni spirito giudicante, ed al contempo farcene avvertire il pericoloso ed invadente ruolo.

Il dolore è lontano”, ultimo lavoro cui Armentano si presta prima d’esser fagocitato dalla macchina televisiva, è ancora una proposta di superamento delle separazioni tra linguaggi e di proficua interazione tra essi. Qui le terribili istantanee scattate in Pakistan da Franco Stampacchia, si legano, reagiscono, si trasformano a contatto con le parole del dimenticato poeta Emilio Villa, uno che, come il cineasta in questione, ha sempre fermamente cercato un’arte che non si perdesse nell’intrattenimento, ma che sapesse afferrare la vita con l’urgenza di documentare quel che accade fuori e dentro di noi.

Salvatore Insana

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