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Underground

Ma l’amor mio non muore – I documentari del collettivo Todomodo

Il collettivo TodoModo lavora lontano dall’accattivante (corto)circuito del film-spettacolo, proponendo, in nome dell’impegno di Elio Petri e della fermezza di Gian Maria Volontè, un cinema che si fa politico nel suo porsi dichiaratamente fuori dala galassia dello strettamente commerciale ed ancora oltre

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Il collettivo TodoModo lavora lontano dall’accattivante (corto)circuito del film-spettacolo, proponendo, in nome dell’impegno di Elio Petri e della fermezza di Gian Maria Volontè, un cinema che si fa politico nel suo porsi dichiaratamente fuori dala galassia dello strettamente commerciale ed ancora oltre: esattamente, per citare la rassegna che ha avuto luogo al cineclub Alphaville, fuori serie, fuori classe, fuori tempo, fuori luogo, esplorando i margini ed i limiti spazio-temporali della vita vissuta con pienezza.

I loro lavori presentano una forza che emerge proprio da un uso non didascalico del materiale, attingendo con pari attenzione al repertorio, all’archivio, alle scelte individuali dell’autore, ed arrivando a costruire un rapporto dialettico tra parola e immagine, tra narrazione ed uscita dal semplice racconto, tra video e audio. Mantendendosi lontano dalla mera visualizzazione del già detto, quel che viene alla luce è sempre il faticoso incontro-scontro con una realtà di non semplice lettura.

Ma l’amore non muore” (2007) testimonia, attraverso le parole ed i gesti (echi ancora forti di gesta eroiche passate) d’un gruppo di combattenti piemontesi, un momento fondativo della nostra storia nazionale, quella lotta partigiana il cui ruolo all’interno delle coscienze rischia oggi di svanire rapidamente, una volta che l’indifferenza o l’indistinzione tra una parte e l’altra (la repubblica sociale) prende il sopravvento e relega nuovamente quelli che lottarono per la liberazione dell’Italia in uno stato di semi-banditismo.

Il ruolo della memoria, ed un dialogo costante con il passato, nel tentativo lucido di far riferimento a quel che fu per districarsi meglio nel presente, interessa anche “Pontos” (2008), descrizione in tono lirico dell’isola di Ponza, occasione per recuperare, al seguito del racconto di un mondo fatto di pescatori, l’epicità del gesto quotidiano, il dissidio mai quieto dell’attaccamento al luogo natio che non risolve mai la lotta tra la necessità di partire per allargare i propri confini ed il confortevole abbraccio della ritualità, dell’abitudine, della casa, della famiglia.


Salvatore Insana

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