Topli Film (Warm Film) di Dragan Jovićević arriva al 40° Lovers Film Festival di Torino come un’opera silenziosamente rivoluzionaria: un documentario che non urla, ma risuona. In un festival noto per celebrare la diversità del cinema LGBTQ+ di tutto il mondo, Topli Film si distingue non solo per ciò che mostra, ma per come ricorda.
Ripercorrendo la presenza – e l’assenza – di personaggi queer nella storia del cinema jugoslavo e serbo, il film diventa una macchina del tempo con una missione: recuperare ciò che è stato nascosto, codificato o messo a tacere, e celebrare le storie che hanno osato esistere.
Cinema come scavo storico
Fin dalle prime inquadrature, Topli Film si posiziona non solo come un documentario, ma come un atto di archeologia culturale. Attraverso la lente di oltre quaranta film jugoslavi e serbi – dall’estetica austera di Sofka (1948) al crudo realismo di Južni Vetar – Jovićević costruisce una mappa sottile ma potente della presenza queer nel cinema.
Non è sempre una storia piena di speranza: stereotipi, silenzi e cancellature abbondano. Ma il film svela anche sottotesti audaci e piccole vittorie che oggi appaiono di nuova urgenza.
Guidati da Nuove Voci
Guidato da due giovani e avvincenti narratori, gli attori Đorđe Mišina e Đorđe Galić, il film confonde passato e presente, mostrando come il cinema sia uno specchio ma anche un calco. Il loro viaggio non è solo d’archivio, è emotivo. Mentre reagiscono alle scene e riflettono su cosa significhino per loro queste rappresentazioni, il documentario acquisisce un ritmo colloquiale.
Non stiamo solo osservando la storia; la stiamo osservando mentre viene elaborata, messa in discussione e ridefinita da una nuova generazione di voci queer.
Una forma ibrida dall’impatto intimo
Jovićević utilizza un formato ibrido – che combina interviste, clip d’archivio, segmenti sceneggiati e momenti silenziosi di osservazione – che evoca il meglio del docu-cinema contemporaneo. Pensate all’intimità di Marlon Riggs o alla giocosità intellettuale di Agnès Varda: non si tratta di una cronologia asciutta. È un collage stratificato di ricordi, critiche e lettere d’amore.
Il film trasmette una profonda risonanza regionale e globale, coinvolgendo gli spettatori indipendentemente dal fatto che abbiano familiarità o meno con il canone cinematografico balcanico.
Echi di una discendenza letteraria e cinematografica queer
C’è una ricchezza letteraria in Topli Film che evoca i saggi di Susan Sontag e la malinconica sensualità di James Baldwin. Come la visione di Baldwin dell’outsider che osserva perennemente dai margini, Jovićević rivela come i personaggi queer del cinema jugoslavo siano esistiti a lungo nell’ombra – codificati, tragici o resi diversi.
Cinematograficamente, il film condivide il DNA con The Celluloid Closet di Todd Haynes, offrendo una risposta balcanica alla lotta globale per la rappresentazione. Insiste sul fatto che la storia non riguarda solo ciò che è stato creato, ma anche ciò che è stato nascosto.
L’importanza del suo palcoscenico festivaliero
Il fatto che Topli Film sia proiettato al Lovers Film Festival – una pietra miliare del cinema queer europeo, giunto alla sua 40a edizione – non è solo appropriato, è poetico. L’impegno del festival per una narrazione queer audace e innovativa trova una corrispondenza perfetta nella visione di Jovićević.
Qui, il documentario non si limita a raccontare una storia, ma partecipa a un dialogo più ampio. Recupera la memoria culturale e insiste sul fatto che le storie queer, anche quelle sepolte in un passato di celluloide, siano importanti ora più che mai.
Una riflessione necessaria
Topli Film è sia un omaggio che una resa dei conti. Piange ciò che è andato perduto o messo a tacere nel cinema jugoslavo, ma celebra anche la persistenza della presenza queer, sia che venga sussurrata in modo implicito o proclamata con audacia.
Jovićević ha creato un’opera toccante, elegante e necessaria di memoria queer. Nelle sale del Lovers Film Festival, tra voci provenienti da tutto il mondo, Topli Film parla chiaro: siamo sempre stati qui. E non abbiamo ancora finito di raccontare le nostre storie.