Paolo e Vittorio Taviani erano un po’ come i Dardenne e i Coen; fratelli inseparabili sul set e nella vita. Come i registi belgi, cantori di quel cinema di impegno sociale, rivolto, in verità più al passato che alla contemporaneità. Come i due yankees, visionari, un pizzico romantici e, soprattutto, grandi costruttori di immagini e di storie. Dalla visione dei loro film si usciva sempre con un senso di inquietudine, per quel soffio di ribellione che assaporavi e sembrava trionfare, ma che poi veniva sempre soffocato dalla dura e aspra realtà.
Paolo se ne è andato oggi, all’età di 92 anni. Toscano di San Miniato, come Vittorio, che ci aveva salutato nell’aprile del 2018, era dotato di una verve unica. L’ho incontrato e intervistato più volte, più esuberante del fratello, più ironico e spiritoso e, per differenziarsi da Vittorio, si definiva: “quello senza baffi, né berretto in testa.”
Paolo Taviani mi confessò che generalmente non riguardava mai i film che aveva girato, perché li trovava brutti. E, facendo riferimento a Padre padrone, il loro film premiato con la Palma d’oro a Cannes, con il sorriso sulle labbra, disse:
“C’è sempre quel tuo ‘migliore film’ che diventa una persecuzione. E quando fai vedere il tuo nuovo film, tutti ti dicono: Sì, però non è come quell’altro…Orson Welles diceva: “Ho cominciato dalla vetta con Quarto potere. Quel film è stato la mia condanna.”
La carriera di Paolo e di Vittorio è sempre stata lastricata di successi, a partire dai film d’esordio: Un uomo da bruciare (1962) e Il fuorilegge del matrimonio (1963), diretti insieme a Valentino Orsini. La loro prima regia in coppia è I sovversivi (1967). Seguirono poi Sotto il segno dello scorpione (1969).
“Volontè era all’apice della sua carriera, era un attore molto costoso, ma per Sotto il segno dello scorpione prese pochissimo. Quando arrivò sul set per preparare le riprese, per discutere il costume, la capigliatura, arrivò rasato a zero. Eravamo inferociti, avremmo dovuto discuterne insieme e trovare una strada. Lo aggredimmo, ci venne incontro sorridendo e ci chiese scusa, ma era stato geniale. Io e Vittorio capimmo cha aveva fatto una scelta giusta.”
Magnifica e poetica la loro rilettura del Risorgimento
Magico e imperdibile, poi, il successivo San Michele aveva un gallo (1972). Come lo stesso Paolo raccontò, il finale è con Giulio Brogi che si mette le mani in tasca e si lascia annegare.
“Noi avevamo previsto che una volta che cadeva nell’acqua, doveva resistere di più sott’acqua, prima di riemergere. C’era la vela rossa dei ragazzi che si allontanava. Giuliani, il produttore, ex partigiano, ci teneva moltissimo a questa vela rossa che indicava che la vita continua, che i giovani combatteranno. Giulio non ce la fece, uscì dall’acqua, venne notte e ricordo che io e Vittorio eravamo disperati perché ci mancava il finale. Chiamammo Giuliani che ci disse di rigirare la scena. L’indomani c’era il sole che toglieva quel clima rossastro che c’era in laguna. La girammo, siamo andati in moviola e l’abbiamo buttata via. Ci siamo detti allora: lui non esce, cade in acqua. Il film deve finire così.”
La passione per la letteratura
Innegabile la loro passione per la letteratura: Kaos (1984), Tu ridi (1988), e il suo ultimo film diretto da solo, senza il fratello Vittorio, Leonora addio (2022), erano tratti da Luigi Pirandello, come Le affinità elettive (1996) da Goethe e Meraviglioso Boccaccio (2015) dal novelliere toscano.
“É così. Tu scegli un testo letterario perché lo utilizzi come uno strumento. Stanley Kubrick non ha mai scritto una sceneggiatura originale ma ha fatto sempre dei film tratti da romanzi. Lui diceva sempre: “Ma perché mi devo stare a costruire delle strutture, quando so che mi perdo? Dentro queste strutture letterarie, invece, mi sento libero.”
Seppur dotati di grande slancio visivo, meno ispirati Il prato (1979), Good Morning Babilonia (1987).
“Quando pensammo di girare Good morning Babilonia volevamo prendere Matthew Modine che aveva finito di girare da due mesi Full metal jacket con Kubrick. Matthew venne a Roma, facemmo un provino, pensavamo di andare avanti con lui. Matthew telefonò e ci disse: “Scusate, Kubrick vi saluta tanto e ha detto che devo ancora lavorare con lui e quindi non posso fare il film con voi.” E noi…“Ci mettiamo a tavolino, vediamo un po’…” E lui: “Kubrick ha detto no! Devo stare a disposizione e non fare niente.” Lo rincontrai e gli chiesi: “Ma poi quanto avete inserito nel film di Kubrick?” “Mezza giornata. Su una porta, sto guardando.” Per questa inquadratura gli ha fatto rinunciare a un film.”
Tanti i film girati in Toscana ma anche in Sicilia. Successivamente fu la volta de Il sole anche di notte (1990), Fiorile (1993) e La masseria delle allodole (2007).

Abbracciati gli ideali di lotta e di libertà, con i loro film poetici, ma rigorosi, i fratelli Taviani hanno forgiato più di una generazione. Difficile stabilire se fosse più evocativo Padre padrone, piuttosto che La notte di San Lorenzo (1982) o il commovente e amaro Allonsanfan (1974).“
Allonsanfan è nato due volte. Dapprima nel ‘65 con la storia di un rivoluzionario che torna a casa, recupera il sentimento del calore familiare che gli fa venire il desiderio di abbandonare tutto. Poi arrivano i compagni che lo riportano a fare la spedizione. Nella prima stesura del film, lui non tradiva, non moriva, seppelliva i morti ed era un finale un po’ prometeico, come era nell’aria di allora: uno che non si piega e che continua a combattere. Questa cosa però non ci tornava più e abbiamo fatto due film e poi ci è ritornata in mente e abbiamo capito che questo personaggio aveva camminato di fianco a noi, vivendo la delusione del ’68, il tradimento. Quanti ne abbiamo visti, il nostro è il paese del trasformismo…e ci siamo detti: lui è trasformato ed è nata l’idea di farlo diventare un traditore. Se nell’altra edizione il protagonista avrebbe dovuto essere Volonté, qui avevamo bisogno di un attore come Mastroianni, che ci desse quella dolcezza del vivere.”
Vincitori inaspettati dell’Orso d’oro a Berlino con Cesare deve morire (2012), hanno collezionato cinque David di Donatello più uno alla carriera, un Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia e cinque Nastri d’argento.
Ci mancherete. Avete segnato un’epoca e tracciato un solco. Nessuno, come voi, ha narrato gli anni del Risorgimento e descritto quell’anelito, quel respiro, quella voglia di diventare protagonisti e non semplici e passivi spettatori della Storia.
Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani