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Film da Vedere

Dillinger è morto di Marco Ferreri con Michel Piccoli

"Noi viviamo come il protagonista del mio film, a contatto con gli oggetti. La nostra vita è una sorta di museo di oggetti inutili. La nevrosi si esprime soprattutto come feticismo dell’oggetto, intendendo con ciò non le mere cose inanimate ma anche i mezzi di informazione e comunicazione quali i dischi, i giornali e la TV" (Marco Ferreri)

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Dillinger è morto, un film del 1969 diretto da Marco Ferreri, presentato in concorso al 22º Festival di Cannes. Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare.

In una calda sera d’estate, Glauco, un disegnatore industriale sulla quarantina, ritorna a casa dal lavoro e trova la moglie a letto per una lieve indisposizione. In sala da pranzo lo attende una cena fredda poco invitante. Con l’aiuto di un libro di cucina, l’uomo decide di prepararsi un piatto di suo gusto. Mentre cerca gli ingredienti necessari da un armadio salta fuori un pacchetto avvolto in vecchi giornali. Dall’involucro esce una pistola a tamburo arrugginita. L’uomo la olia, la dipinge di rosso e la carica, poi si reca nella stanza dove c’è la moglie e…

Capolavoro assoluto dell’intera filmografia di un regista “fuori norma” come Ferreri (la definizione è di Fernaldo Di Giammatteo e Cristina BragagliaDizionario dei capolavori del cinema – Bruno Mondadori Editore) che di “grandi” film ne ha fatti davvero tanti, Dillinger è morto è una pellicola importante e anomala (anche rispetto alla produzione degli anni in cui è stato concepito e realizzato) a partire dalla misteriosità del titolo che ben identifica questo “non” racconto elusivo, zeppo di riferimenti in cifra e di sottintesi, e dove in pratica anche se ci sono tante cose dentro, non accade quasi nulla, e per paradosso, nulla si muove se non la cinepresa che con il suo occhio implacabile viviseziona spazi, oggetti e personaggi.

Per la verità l’idea iniziale del regista era quella di intitolare questo racconto singolare vuoto di eventi ma rigoroso come un meccanismo ad orologeria, Processo di addizione, e il perché di questo titolo si può meglio comprendere dalle stesse parole di Ferreri che così lo raccontava: “Noi viviamo come il protagonista del mio film, a contatto con gli oggetti. La nostra vita è una sorta di museo di oggetti inutili. La nevrosi si esprime soprattutto come feticismo dell’oggetto, intendendo con ciò non le mere cose inanimate ma anche i mezzi di informazione e comunicazione quali i dischi, i giornali e la TV. Un giorno il mio personaggio fa un atto di discriminazione e ferma la sua attenzione su uno di questi campionari del museo: una pistola. Lo attrae soprattutto il carattere preistorico da antiquario, di quell’arma. Da qui, ha inizio il processo di addizione che finisce appunto con l’uccisione della moglie (il simbolo vistoso del suo status di prigioniero di un mondo confortevolmente alienante). Meglio diventare allora cuoco-schiavo su un veliero che va in Oriente: per lo meno rimane la possibilità di sognare”.

Ma come spesso accade quando l’idea grezza si materializza nel corso della sua realizzazione e si confronta col girato, si può rimanere fulminati da un dettaglio che si radicalizza e fa cambiare idea, anche se di fatto ha solo un indiretto rapporto con la storia, ma è così calzante da rappresentarla molto meglio di ogni altra ipotesi elaborata in precedenza, fino ad assumere il senso di una illuminante parafrasi da difendere a spada tratta e fino in fondo anche correndo il rischio di non essere compresi o di essere accusati di “ermetismo cervellotico”. Diventa infatti qui un vero e proprio colpo di genio, allusivo e dissacrante: un’astruseria a suo modo poetica che annulla ogni possibile sospetto di didascalismo che la precedente “scelta” (per fortuna scartata) e le stesse parole del regista potevano far immaginare (e portare fuori strada lo spettatore) di fronte a una pellicola che didascalica non lo è di certo (Ferreri non lo è mai stato) e che si esprime e si racconta soprattutto attraverso le immagini (e che immagini!), gli spostamenti della cinepresa in costante movimento sopra impercettibili carrelli che tamponano il protagonista e lo stringono in una morsa che non gli consente alcuna via d’uscita oltre quella che alla fine adotta, gli avvolgenti piani-sequenza, le panoramiche combinate (Maurizio Grande), gli oggetti che invadono lo spazio, scandiscono il tempo della rappresentazione e si fanno film, o per dirla ancora meglio, diventano la materia pulsante che compone il film.

Di fatto, Dillinger è morto è qui semplicemente il titolo letto sulle pagine di alcuni vecchi giornali (il Chicago Tribune e il Messaggero) risalenti al 1934 – appunto l’anno in cui fu ucciso il famoso gangster americano – che avvolgono una rivoltella altrettanto antica (quella sì, centrale nel racconto).

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  • Anno: 1969
  • Durata: 95'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Marco Ferreri