Fassbinder è straordinario nel restituire quel sottile malessere celato dietro l’apparente serenità di una famiglia borghese tipica
Ripley’s Home Video prosegue la sua coerente politica editoriale pubblicando in dvd un film che Rainer Werner Fassbinder realizzò nel 1975 per la televisione tedesca, Paura della paura (Angst vor der Angst), pellicola probabilmente meno nota al grande pubblico e che, proprio per tale motivo, necessita della giusta diffusione. Sebbene l’esito finale sia assai differente, Paura della paura ricorda un po’, per la freddezza entomologica con cui mette in scena i rapporti di potere all’interno di un nucleo famigliare borghese, il precedente Perché il signor R. è colto da follia improvvisa?, laddove anche lì Fassbinder era stato abilissimo a dare corpo a un fuori campo, un non detto (il segreto ed intimo orrore della vita quotidiana), che non cessava di riverberare su tutto il film, irrompendo alla fine (l’emersione del Reale traumatico) con inusitata violenza.
In Paura della paura il regista tedesco, dovendosi rivolgere a un pubblico televisivo, costruisce una narrazione ‘piana’, chiara, senza enigmi o allusioni poco comprensibili: la protagonista, Margot (un’intensa e pietrificata, quasi keatoniana, Margit Carstensen) è una donna sposata che, dopo la nascita del secondo figlio, cade in uno stato ansioso-depressivo che non riesce a gestire. La sua famiglia, il marito, la suocera e i cognati peggiorano, con le loro continue intrusioni, la già difficile situazione, e la donna, dopo un periodo convulso fatto di abuso di tranquillanti e alcool, viene internata in una clinica, da cui viene dimessa a seguito di una lunga cura del sonno. Successivamente viene trattata farmacologicamente e, dopo aver ripreso la sua precedente attività, la dattilografia, torna a condurre (apparentemente) una vita normale.
In Paura della paura il regista tedesco, dovendosi rivolgere a un pubblico televisivo, costruisce una narrazione ‘piana’, chiara
Paura della paura è uno dei film meno verbosi di Fassbinder, la situazione appare chiara fin da subito, senza che siano necessari quei dialoghi emblematici che avevano caratterizzato tante pellicole precedenti. L’astuzia consiste nell’aver rappresentato una storia non particolarmente inquietante, giacché il lato tragico della faccenda, che pure a tratti emerge durante la visione del film, è strategicamente contenuto, quasi in maniera provocatoria nei confronti dello spettatore, il quale è sottoposto all’equivoco di un epilogo che sembrerebbe risollevare le tristi sorti della protagonista.
Ad alimentare il malinteso contribuisce anche la morte del signor Bauer (proprio il Kurt Raab protagonista di Perché il signor R. è colto da follia improvvisa?), un uomo affetto da disturbi psichici, il quale durante il film incrocia più volte Margot, il che potrebbe indurre a pensare che la parte malata dell’anima della sofferente signora sia finalmente guarita. Ma, appunto, conoscendo bene la posizione del regista circa l’essenza dei rapporti, da lui considerati come il luogo privilegiato dell’esercizio del potere (il suo film d’esordio non a caso s’intitolava L’amore è più freddo della morte, 1969), sarebbe ingenuo cadere in tale fraintendimento.
Paura della paura è uno dei film meno verbosi di Fassbinder, la situazione appare chiara fin da subito
Non c’è speranza per Margot, fin quando non comprenderà la necessità di riformare completamente la sua vita, e non di adattarsi a quella che aveva già. Colpiscono, nella fattispecie, alcuni monologhi in cui, avvertendo il rischio imminente di impazzire (sintomo tipico, e oggi assai diffuso, degli attacchi di panico), si chiede come possa prendersi cura dei suoi piccoli figli. Il viscerale istinto materno, l’unico veramente autentico, si scontra con la barbarie di una vita coniugale fatta di silenzi, piccoli e ripetuti soprusi, mancanza di accoglienza e ascolto, indifferenza, laddove, rigidamente incasellata nel suo ruolo da una cultura becera e oppressiva, Margot viene annullata come individuo, e non le si riconosce quella soggettività che le conferirebbe dignità.
Non si tratta, dunque, di curare la paziente e di reinserirla nell’ambiente malsano che ha causato il disturbo, semmai il contrario: bisogna riformare l’ordine simbolico non più sostenibile che ha prodotto il malessere con una trasfigurazione etica (e quindi anche estetica) che riposizioni completamente lo sguardo e le prospettive. Capiamo bene il profondo disagio della protagonista che non riesce a tenere insieme il desiderio di accudire al meglio i propri figli e il bisogno di contestare l’insopportabile nucleo famigliare in cui è inserita. Il ritorno a casa, dunque, dopo il breve internamento, segna una profonda sconfitta per Margot, la quale, ormai divenuta un automa, ha rinunciato a se stessa, alla propria dignità.
Paura della paura non è un film minore, ma un’opera a tutto tondo che va senza dubbio prontamente recuperata
Fassbinder è straordinario nel restituire quel sottile malessere celato dietro l’apparente serenità di una famiglia borghese tipica. L’indolenza, l’apatia, la mancanza generalizzata di stimoli, la morte di ogni slancio vitale disturbano più di qualunque conclamato gesto di violenza. In quelle omissioni, in quel non detto, risiede la più insopportabile prevaricazione che si possa immaginare, un rassegnarsi acritico a un’omologazione che trasforma in morti viventi, quelli visti tante volte nel cinema del lungimirante George A. Romero.
Paura della paura non è un film minore, dunque, ma un’opera a tutto tondo che va senza dubbio prontamente recuperata.
Distribuito da Ripley’s Home Video, Paura della paura è disponibile in dvd, in formato 1.33:1 con audio originale e sottotitoli in italiano. Nei contenuti speciali l’interessante documentario sul cinema di Fassbinder L’ultimo giudizio di R.W.F. di Peter Buchka.
Luca Biscontini