Forse evidenti alcune pecche di immaturità nell’esordio al lungometraggio del regista cinese Johnny Ma, ma per quanto acerbo e a tratti grossolano, Lao Shi, presentato al TFF nella sezione Festa Mobile, possiede comunque delle caratteristiche proprie che gli conferiscono un’identità non priva di una certa forza. Ma sceglie di occuparsi di una tematica non particolarmente originale, che si sviluppa a partire dal tentativo di un uomo onesto di gestire una situazione improvvisa e drammatica, incontrando i mille ostacoli burocratici e pratici cui è costretto da da una società che non vede l’individuo ma è ormai totalmente orientata al di fuori di esso sfumandolo in una massa informe e caotica.
L’ambientazione confusa, indistinta e ruvida, caratterizzata da immagini sgranate e rumori stridenti consente al regista di creare l’atmosfera disturbante ideale per descrivere questo genere di realtà nella quale prevale su tutto un cinismo che soverchia qualsiasi buona fede, proposito di confronto corretto o speranza della minima capacità di empatia e solidarietà tra individui della stessa specie che interagiscono tra loro, in qualunque occasione gli capiti di farlo, sia che si tratti di intimità tra persone che dovrebbero amarsi e sostenersi, sia che si tratti di pura casualità. Indicativa in questo senso, la scena in cui il protagonista viene respinto e cacciato in malomodo nonostante i suoi tentativi del tutto cordiali e propositivi di ottenere attenzione, e la sua rovinosa caduta dalle scale viene semplicemente osservata con distacco o ripresa e fotografata rappresentando al massimo oggetto di curiosità morbosa, ma senza che rappresenti il minimo interesse umano, dalle numerose persone presenti.
Il genere del thriller psicologico nel quale si inquadra il film è ampliato e arricchito da atmosfere di realismo estremo che mescolano i temi sociali con la tensione, così da rendere l’opera più densa e concreta. I colori cupi e a tratti allucinati amplificano il carattere inquietante di una realtà cinica e respingente. La trama si svolge in una piccola città cinese ma è assolutamente trasportabile in qualsiasi altro contesto abitato da una società consumistica, tipica dei tempi attuali.
Degna di nota seppur senza grandi slanci, la prova offerta dall’attore che interpreta il protagonista, Chen Gang, che da solo regge gran parte della narrazione; tanto da far notare che probabilmente sarebbe stato più opportuno caratterizzare meglio gli altri personaggi che invece risultano essere troppo marginali.
Insomma, non certo una prova esaltante ma nemmeno così priva di pregi da passare del tutto inosservata, questo ingresso alla regia del regista cino-canadese. Vale sicuramente la pena dargli almeno un’occhiata sperando che rappresenti il preludio a un’evoluzione che possa regalare sempre maggiori soddisfazioni.
Roberta Girau