Prodotto da Jim Jarmusch e ultima interpretazione del giovane attore Anton Yelchin (morto poco tempo fa in un incidente stradale), il documentarista Gabe Klinger sceglie un soggetto abbastanza tradizionale per la sua opera prima di finzione. Un giovane americano, Jake, e una donna francese con qualche anno in più, Mati, s’incontrano a Porto, si (ri)conoscono, scatta la scintilla, si amano appassionatamente per una notte, per poi lasciarsi, perché lei ha una storia con il suo professore che le ha chiesto di sposarla. Una notte d’amore intensa e totale che cambia le loro vite per sempre.
Klinger sceglie di mettere in scena questa ennesima variante dell’incontro amoroso estemporaneo, dividendo il film in tre parti che corrispondo a tre punti di vista: quello di Jake; quello della giovane donna Mati; e quello onnisciente dell’autore, raccontando la coppia. Le tre versioni giocano su varianti e ripetizioni narrative, della messa in scena e con le stesse inquadrature (una sorta di sliding doors), e, come un puzzle, completano la comprensione della vicenda con piccole aggiunte informative fornite da una sceneggiatura ben calibrata.
Yelchin fornisce una prova recitativa controllata, malinconica, sguardo fisso e perso, completamente diversa da altri personaggi interpretati da lui nei (pochi) film mainstream della sua breve carriera, mostrando capacità interpretative potenzialmente meritevoli, ma la recitazione degli attori appare manieristica e stereotipata. Klinger non mostra limiti solo nella direzione degli attori, ma anche nella messa in scena. Non è sufficiente la bella fotografia dalle luci corpose e uniformi; la scenografia naturale di Porto, ripresa in modo affascinante e triste, che naturalmente diventa alter ego spaziale dei sentimenti dei due protagonisti; il montaggio in cerca di originalità con time lapse, dettagli veloci e stranianti dei volti e degli oggetti, dissolvenze con rappresentazioni di sogni erotici; utilizzo di pellicole super 8 e 16 mm, che danno un senso di sperimentazione cinematografica (un po’ datata e fuori tempo). Invece, Porto è un’opera che sente troppo l’influenza del proprio mentore e alla fine ricorda eccessivamente i film di Jim Jarmusch (dai primi come Permanent Vacation fino a Solo gli amanti sopravvivono). Un’opera prima alla fine pretenziosa, citazionistica che, cercando originalità, mostra solo tanto dejà vu.
Antonio Pettierre