Rivedere Ma che colpa abbiamo noi di Carlo Verdone è decisamente un modo per riflettere sulla nostra, debole, capacità di ascolto.
Ma che colpa abbiamo noi Le tensioni che esplodono
Ci parla di una storia in cui esplodono le tensioni di gruppo, e non è questa la sua originalità. Altri film esplorano relazioni difficili in commedie particolarmente riuscite. Perfetti sconosciuti, per esempio, e ancora prima In nome del figlio, versione italiana di Cena tra amici.
In Ma Che colpa abbiamo noi ciò che lega i personaggi non è una relazione amichevole, parentale o di lunga data. Sono estranei che si trovano a condividere un percorso di tutt’altro tipo, per scelta.
È che nel film di Verdone, ancora attuale, molte scene, con la loro leggerezza divertente e divertita, potrebbero essere usate nelle scuole di formazione in psicoterapia o counseling, e qualcuno potrebbe pensare di frequentarne una (o, perché no, sottoporsi ad una breve o lunga terapia), o solo riflettere sulle modalità di una comunicazione sana.
Non approfondiamo qui la differenza tra le due figure professionali dello psicoterapeuta o del counselor; diciamo solo che la psicoterapia coinvolge le strutture più profonde della personalità, mentre il counseling lavora sui problemi emergenti.
Entrambi, però, devono apprendere le tecniche di ascolto, di un ascolto attivo, ed efficace. E gli errori che fanno i personaggi del film, il loro essere così maldestri nelle attenzioni verso gli altri, sono molto istruttivi.
Il gruppo terapeutico in ‘Ma che colpa abbiamo noi’
Ma che colpa abbiamo noi La presentazione delle nevrosi
Nell’antefatto, prima dei titoli di testa, ci viene presentato il gruppo di otto persone in terapia. Sono lì tutte impegnate a interpretarsi i sogni, in maniera imparaticcia e superficiale, mentre l’anziana terapeuta tace. Dopo un bel po’ si accorgono che non si muove, la sigaretta le sta bruciando le dita: è morta! Potrebbe essere un luogo comune quello dell’analista così taciturno che, vivo o no, per i pazienti è pressoché lo stesso. Ma i clichè della narrazione sono compensati da trovate sfiziose che corrispondono a grandi verità e fanno sorridere.
Foto tratta dal sito di Warner Bros
Ci vengono poi presentate le nevrosi di ogni elemento del gruppo, uno spaccato di vita di ciascuno con le proprie sofferenze, le piccole e grandi manie, la fragilità, il barcamenarsi per vivere nonostante il disagio di fondo. Età diverse, stati sociali diversi, storie diverse, quasi a dire che il malessere è trasversale e intergenerazionale: succede a cinquant’anni come a venti, agli uomini e alle donne.
Il gruppo di auto-aiuto
Il gruppo si ritrova e decide di cercare un nuovo terapeuta; per farlo però va uccisa simbolicamente la madre, la dottoressa Lojacono, e bisogna uscire dalla condizione di orfani. Elaborato così sbrigativamente il lutto (in fondo, “ha detto due parole in due mesi e non faceva neanche la fattura”!), la ricerca non è per niente facile perché l’analista non si può cercare sulle pagine gialle come ha fatto Anna in Confidenze troppo intime di Patrice Leconte. Anche nella realtà è difficile trovare la persona giusta; si seguono i consigli degli amici o degli amici degli amici. Ma poi la relazione terapeutica è tutt’altra cosa, perché, la fiducia, l’affidamento, la relazione, senza le quali non ci può essere terapia, sono vissuti del tutto soggettivi.
Dopo una vana ricerca, la decisione di fare da soli. Ma l’auto-aiuto funziona se all’interno del gruppo c’è chi è più avanti nel percorso di consapevolezza e non è il caso dei nostri eroi. Tutti allo stesso livello, tutti goffi come non mai, passano da uno sbaglio comunicativo all’altro. Qualche esempio di quanto siamo lontani dalla capacità di ascolto, quella vera, partendo da alcuni assiomi sull’ascolto attivo.
L’ascolto consapevole
Nell’ascolto attivo non ci si deve sostituire, sovrapporre e non si deve interrompere: “Mia figlia non mi ha invitato alla laurea”, dice Gabriella (Lucia Sardo); “Mia moglie mi ha cambiato la serratura”, ribatte Ernesto (Antonio Catania). Che è come dire: il mio problema è più grande del tuo! Si svilisce la preoccupazione dell’altro per fare emergere la propria, che al momento è più urgente, più significativa.
Nell’ascolto attivo non si deve criticare, né biasimare: qui lo fanno tutti e sempre, prendendosi gioco dell’altro, utilizzando le confidenze del setting per buttargliele addosso con finta innocenza.
Non si deve neanche interpretare, diagnosticare: com’è felice Ernesto, quando nell’incipit del film Gegè (Carlo Verdone) sbaglia platealmente l’interpretazione del suo sogno, di cui Gegè si è appropriato, spiegandolo in modo approssimativo e saputello.
E neanche offrire soluzioni, consigli, avvertimenti: qui le facili soluzioni si sprecano. Tutti sono più bravi della persona che esprime il problema, svalorizzano le sue risorse e le sue capacità personali di risolverlo.
Insomma, non sanno neanche stare in silenzio mentre un compagno parla, tanto che Gegè, addirittura, con la gestualità tipica di Verdone, fa un gesto con le mani che vuole dire: “Stringi”.
Importanza del setting
Eppure, anche se così sprovveduti, come in Confidenze troppo intime (nel quale la protagonista si è affidata ad un consulente fiscale, anziché dell’anima), qualcosa succede. In quel setting strampalato ci sono state parole (spesso sbagliate), silenzi, intese, che hanno creato un’atmosfera non ripetibile al di fuori di quel contesto. È proprio vero che il gruppo, nella terapia, fa sì che gli altri siano una cassa di risonanza, uno specchio, un’amplificazione delle proprie emozioni. Noi non sappiamo com’erano le sedute con la presenza della terapeuta. Sarà che ha detto due parole in due mesi (e non faceva neanche la fattura!), ma forse è stata in grado di creare qualcosa di più e di diverso da un’amicizia improvvisata, tanto che i personaggi continuano a cercarsi e ritrovarsi.
Guariscono? Beh, ognuno raggiunge un proprio accomodamento e forse questo è l’obiettivo di qualunque terapia. Sicuramente, alla fine sono disponibili a sperimentare una maggiore accettazione, e benevolenza, nei confronti di se stessi e degli altri.
Ma che colpa abbiamo noi è prodotto da Virginia Film, Warner Bros Pictures.
Distribuito da Warner Bros