Dal 4 dicembre al cinema con 01 Distribution arriva il nuovo film di Daniele Vicari Ammazzare stanca con Gabriel Montesi nella parte del protagonista.
Bravo e versatile qui Gabriel Montesi si conferma attore di primo piano.
Gabriel Montesi in Ammazzare stanca

Antonio Zagari, il protagonista di Ammazzare Stanca è un personaggio figlio del proprio tempo. Se la rivoluzione sessantottina prevedeva l’uccisione simbolica del padre negli stessi anni il tuo personaggio traduce questo desiderio sul piano pratico con un percorso di affrancamento dalla figura paterna svincolato da qualsiasi ideologia politica.
Antonio Zagari è un assassino che quando uccide si sente morire dentro. Il suo modo di sentire è lo specchio di quegli anni anche senza avere un’ideologia da seguire o delle idee ferme su cui basarsi. La sua è un’esigenza più psicologica ed esistenziale, dettata dal conflitto con l’autorità paterna e con un ordine patriarcale che predomina sulle cose e sugli uomini. Da qui nasce il suo bisogno di ribellarsi e di trovare una via di fuga.
Se quella studentesca è riuscita solo in parte, Antonio la sua rivoluzione riesce a portarla fino in fondo.
Quello a cui ti riferisci è una questione davvero interessante. Di certo c’è che Antonio riesce ad autodeterminarsi liberandosi dal gioco del padre però è anche vero che il rapporto con il genitore rimane segnato da un’incomunicabilità rintracciabile innanzitutto nella diversità linguistica di Antonio che parla una lingua, il lombardo, che per Giacomo Zagari è incomprensibile in quanto lingua degli altri. Un’incomprensione che Vinicio Marchioni è riuscito a sottolineare in maniera strepitosa.
Protagonista assoluto
Ammazzare Stanca è il primo film di cui sei protagonista assoluto. Oltre al surplus di responsabilità ti volevo chiedere cosa comporta per te questo cambiamento considerando che quello di Antonio Zagari è un personaggio complesso per il fatto di suscitare sentimenti ambivalenti: da una parte è uno che compie gesti efferati uccidendo le persone senza pensarci più di tanto, dall’altra è un figlio schiacciato da un padre despota. Da una parte è un uomo respingente, dall’altra non si può che prendere le sue parti.
Per essere il primo film in cui sono il protagonista principale quello di Antonio è un personaggio molto complesso per il quale ho sentito ancora più forte il bisogno di aderire alla sceneggiatura che anche per i piccoli ruoli rimane strumento indispensabile per farti entrare nella parte. In questo caso disponevo di una scrittura molto stratificata che sono riuscito a dipanare grazie al lavoro di gruppo organizzato da Daniele Vicari e in particolare alle improvvisazioni che abbiamo fatto a teatro in fase di preparazione. Per entrare nel ruolo assieme a Daniele siamo partiti da una maschera che è il volto di Antonio. Dai pochi videoclip ho potuto ascoltare la sua voce che per me rappresentava la verità a cui appellarmi per capire chi era e dove si trovava.

Tu costruisci le tue interpretazioni concentrandoti sul volto. Il tuo viso è la geografia su cui assieme ai registi inizi a lavorare per costruire il personaggio. È come se tu ogni volta facessi tabula rasa del carattere precedente partendo da una neutralità facciale alla quale bastano piccoli particolari per cambiare fisionomia. Nel caso di Antonio sono i baffi a fare la differenza, altrove è un taglio di capelli oppure la presenza o meno della barba.
Sono molto d’accordo con te. Penso che il volto sia una sorta di impronta umana. Viviamo in un momento dove il viso è centrale per come viene messo in discussione, rappresentando la dimensione della giovinezza e della vecchiaia. Il volto viene trasformato da continui innesti in un’epoca in cui si tende sempre più a smaterializzarlo.
Gabriel Montesi oltre Ammazzare Stanca
Così succede per esempio in Esterno Notte in cui il volto glabro e la frangia nei capelli dà il via a una trasfigurazione che ti permette di diventare Valerio Morucci.
Lavorare con Bellocchio, sentirne la fiducia è stata un’esperienza bellissima. Come attore, trucco e costumi sono elementi di partenza che mi permettono di entrare un poco alla volta nella psicologia del personaggio, di costruirne la maschera di cui parlavo prima. D’altronde anche nella vita comune quando ci compriamo una giacca abbiamo bisogno di qualche giorno per farla nostra. Così funziona con il trucco, i capelli e la postura. Tutti questi accessori concorrono a farmi entrare in empatia con il personaggio.
Poco fa parlavi dell’importanza della voce e di come questa ti aiuti a diventare altro da te. Come in Ammazzare Stanca anche in Campo di Battaglia è il lessico regionale a marcare l’identità del personaggio.
Come per il lungometraggio di Amelio anche per Ammazzare Stanca ho avuto modo di lavorare con un coach che mi ha aiutato a trovare le sonorità di Buguggiate, – il paese dove vivono i personaggi del film – non tanto per riprodurne il dialetto ma per avvicinarci alla verità del contesto cercando di trovare la somiglianza con le testimonianze reperite sul web. Per quanto mi riguarda ho cercato di non dimenticare le sue origini di meridionale trapiantato al nord. Da qui la sfida di riprodurre sonorità che pur essendo lombarde riuscissero a far sentire una diversa provenienza, un po’ come succedeva ai personaggi interpretati da Diego Abatantuono.

Volevo tornare per un attimo a Campo di Battaglia perché nel film di Amelio il duetto con Alessandro Borghi permette di apprezzare il modo di rapportarti ai tuoi colleghi. In quel caso la contrapposizione di personalità diventava un confronto di espressioni e fisicità. Lì dovevi reagire alla morbidezza di Borghi con una recitazione austera e intransigente.
In quel caso i corpi erano uno specchio della diversità delle loro idee rispetto alla questione bellica. Il personaggio di Borghi doveva risultare più gentile per assecondare un approccio più morbido e possibilista al problema mentre il mio doveva essere più rigido per confermare la fermezza delle sue opinioni. Grazie alle indicazioni della scrittura e al modo in cui Amelio ci ha fatto entrare nel cuore della sceneggiatura – recitandone delle parti insieme a noi – Campo di Battaglia è stata per me una vera e propria lezione di cinema.

Il personaggio di Antonio
In Ammazzare stanca la storia di Antonio è caratterizzata da una bigger than life simile a quella che ritroviamo in certo cinema americano, con il protagonista coinvolto in avvenimenti più grandi di lui. Ciononostante Ammazzare Stanca rimane una vicenda tutta italiana perché Antonio non è un killer freddo e metodico come lo è quello di Michael Fassbender nel film di David Fincher (The Killer, ndr). Nella prima sequenza lo vediamo sbagliare il primo colpo, arrancare disordinatamente verso la vittima per poi vomitare dopo averla uccisa. Anche la scelta di ambientare la scena in ambiente rurale e non metropolitano, con il malcapitato che arriva in bicicletta, manifesta la volontà di non spettacolarizzare la violenza come invece succede nelle crime story americane.
Questo fa sì che quando ti rendi conto che si tratta di una storia vera inorridisci. Tornando alla tua domanda quello di cui parli penso sia stata la cornice che Vicari e Gherardo Gossi hanno costruito per capire in che modo quest’uomo si relaziona con il contesto e con quello che è il suo sentire. Ogni immagine e colore rimanda in maniera mirabile al tentativo del personaggio di liberarsi dal suo retaggio.
Antonio rimane fino all’ultimo in bilico tra bene e male. All’interno di una storia così drammatica Ammazzare Stanca trova anche il modo di raccontare il protagonista con momenti di buon umore in cui il divertimento è dato dal sentimento di inadeguatezza vissuto da Antonio in certi momenti della storia. Come succede per esempio nel rapporto con la sua ragazza interpretata da Selene Caramazza.
La leggerezza del personaggio è quella di chi non riesce a vedere in maniera chiara quello che sta succedendo nel mondo. Parliamo di persone che cercano di rendere più leggero tutto quello che gli sta accadendo. Allo stesso tempo l’ironia è il sentimento utilizzato da Antonio per esorcizzare il peso delle sue azioni. La leggerezza che ho cercato mi è servita per rendere il disagio di Antonio rispetto al suo sentirsi fuori posto in certi contesti.
Vicari rappresenta la diversità di Antonio anche attraverso gli elementi di scena come lo è fargli guidare un’utilitaria invece che le motociclette utilizzate dal fratello e dall’amico per sottolinearne la volontà di tenere i piedi a terra rispetto alla spavalderia tipica dei ragazzi della sua età. Tutto ciò in coerenza con il fatto che il suo personaggio è un po’ la coscienza critica del film e della storia, colui che prima degli altri si rende conto del percorso autodistruttivo intrapreso dalla sua famiglia. Volevo chiederti se nella tua recitazione tieni conto delle valenze assunte da cose e accessori presenti sul set.
Ne tengo conto tantissimo. Quello che dici è tutto vero perché Antonio ha una spiccata sensibilità che gli permette di anticipare la deriva in cui stanno precipitando. Macchine e moto rappresentano molto del carattere dei personaggi. Quello interpretato dal bravissimo Andrea Fuoto stava bene sulle due ruote perché la sua vita è sempre in bilico mentre il mio è destinato a restare con i piedi a terra e dunque aveva bisogno di un veicolo capace di tenere la strada con sicurezza.
Richiami e citazioni
Quando ti ho visto in fabbrica con indosso la tuta da operaio non ho potuto non pensare al Gian Maria Volontè de La Classe Operaia non va in Paradiso. Peraltro anche il tuo personaggio rifiuta di partecipare allo sciopero per cui mi chiedevo se anche tu lo avevi in mente mentre giravi quelle scene?
Ma certo, anche io sul set ho pensato a quel film e a Volontè. La Classe operaia non va in paradiso mi ha segnato tantissimo e in quella scena il riferimento a Volontè mi è sembrato chiaro.

Alla pari di alcuni grandi attori, come per esempio Robert De Niro, anche tu ti sottrai alla luce dei riflettori preferendo far parlare di te attraverso i personaggi e non la tua vita privata. Questo ti offre l’opportunità di non legare la tua immagine a un determinato immaginario e dunque di poter passare da un personaggio all’altro rimanendo sempre irriconoscibile. È una cosa che appartiene al tuo metodo o ci sono altri motivi?
Innanzitutto ti ringrazio per avermi avvicinato a un interprete del genere. Per me è necessario che un attore lasci una distanza ai personaggi permettendo a questi ultimi di potersi esprimere senza ulteriori intromissioni. Il fatto di esporre la propria vita rendendola in qualche modo pubblica impedisce che ciò possa accadere. Questo tipo di rapporto tra attore e personaggio penso sia soprattutto una caratteristica televisiva. Lì questa cosa può non essere controproducente mentre per il cinema secondo me lo è.

Ammazzare stanca: Gabriel Montesi e Daniele Vicari
Lavorare con Daniele Vicari per te ha significato ritornare laddove tutto è iniziato ovvero alla Scuola Gian Maria Volontè di cui Vicari è direttore artistico. Immagino che sia stato un momento molto emozionante per entrambi.
Ancora adesso mi emoziono a parlarne perché per me la Volontè significa tutto, vita, amici, lavoro. È partito tutto da lì e di questo non smetterò mai di ringraziare Daniele per avermi insegnato tutto quello che so e poi per avermi dato l’onore di girare con lui.
In Ammazzare Stanca sei dovuto partire da una persona realmente esistita. Quanto hai dovuto tradire la realtà per arrivare alla verità?
Per me il set è una geografia del reale per cui questa cosa mi permette di lavorare anche all’interno di una cornice immaginaria facendola sembrare vera. Dopodiché devo dirti che il libro di Antonio Zagari l’ho letto mentre giravo il film. Questo rapporto tra l’autobiografia di Zagari e la finzione del set mi ha permesso di costruire tutto quello che era il film attraverso la verità delle parole scritte nel libro.
Parliamo del cinema che preferisci.
In cima alle mie preferenze ci sono il cinema e gli attori della Nuova Hollywood. Ultimamente ho rivisto Il Cacciatore apprezzandone ancora una volta la bellezza e la presenza di attori strepitosi come De Niro e la Streep. Assieme a loro ti dico Scorsese, Coppola e Al Pacino. Ogni volta che li rivedo i loro lavori mi trasmettono sempre qualcosa di nuovo.