Ridley Scott è uno dei più grandi narratori visivi del cinema contemporaneo, uno degli ultimi autori moderni capaci di lavorare, ancora oggi, dentro l’industria mainstream senza rinunciare a un’estetica rigorosa e profondamente riconoscibile. La precisione delle sue immagini, unita alla potenza narrativa delle sue storie, si accompagna a una produttività impressionante: Scott porta a termine progetti complessi con rapidità e disciplina, un ritmo creativo ormai rarissimo. Il suo è però anche un cinema poetico, sempre ancorato al presente storico da cui nasce, spesso in grado di riflettere o anticipare mutamenti politici reali.
Questo approfondimento analizza, attraverso alcune delle sue opere, come il cinema di Scott racconti l’evoluzione della politica statunitense dagli anni ’70 a oggi.
Ridley Scott: l’ultimo esteta cinematografico
Ridley Scott nasce a South Shields, nel Regno Unito, il 30 novembre 1937, da Francis Percy Scott ed Elizabeth Williams, ed è fratello del futuro regista Tony Scott. Appassionato di pittura e lettore vorace di fantascienza, in particolare di H. G. Wells, si innamora del cinema a cinque anni dopo aver visto Il cigno nero di Henry King. La sua famiglia aveva inoltre un forte legame con l’esercizio cinematografico: il suo prozio gestiva diverse sale nel Tyneside, una delle quali è ancora attiva.
Dopo essersi laureato alla Royal College of Art di Londra, realizza il suo primo cortometraggio Boy and Bicycle e nel 1963 entra alla BBC come designer, lavorando a serie televisive e spot pubblicitari: un’esperienza decisiva per la nascita del suo futuro stile visivo. Da qui prende forma il percorso che lo porterà al suo primo lungometraggio.

I duellanti
Da I Duellanti a Black Rain: la crisi democratica e il decennio repubblicano
Ridley Scott esordisce, nel 1977, con I duellanti, film in costume con Harvey Keitel e Keith Carradine nei panni di due soldati napoleonici impegnati in una sfida ossessiva che attraversa gli anni. L’opera, raffinata e crepuscolare, richiama il romanticismo di Barry Lyndon e trasforma la rivalità dei protagonisti in una metafora della fine delle grandi utopie politiche europee, ma anche in uno scontro di ideologie che trovano nel duello una forma di ossessione reciproca.
Qui nasce uno dei semi tematici che Scott porterà avanti per tutta la sua filmografia, legato anche alla sua formazione classica inglese.
Tra il 1979 e il 1982 firma due tra i più grandi capolavori della storia del cinema: Alien e Blade Runner.
Alien è un horror claustrofobico, influenzato dal Terrore nello spazio (1966) di Mario Bava, che riflette le paure primordiali dell’uomo come l’ignoto e la morte, mentre critica velatamente il potere delle corporazioni e il pericolo dell’intelligenza artificiale. È anche l’inizio di una nuova stagione del cinema di genere al femminile attraverso la figura di Ripley.
Blade Runner è invece il film cyberpunk per eccellenza: fonde estetica noir e distopia tecnologica in una meditazione sull’identità, sulla memoria e sull’umanità. Gli androidi di Scott sono “nomadi politici”, figli traditi dai loro creatori e alla ricerca di una propria indipendenza.
Nel 1985 realizza Legend, un dark fantasy intriso di folklore inglese, romanticismo cavalleresco e sensibilità ambientalista. Il film, liberamente ispirato al mito di Tristano e Isotta, contrappone valori come lealtà e rispetto all’edonismo dell’era Reagan. Oggi merita una piena rivalutazione.
Di poco successivo è Chi protegge il testimone, un thriller quasi dimenticato che omaggia il cinema noir classico e offre uno spaccato della lotta di classe in pieno periodo reaganiano.
Nel 1989 arriva Black Rain, noir urbano ambientato in un Giappone in rapido mutamento. Scott cattura le tensioni economiche e culturali tra Stati Uniti e Giappone a fine decennio, sostenuto dalle prove di Michael Douglas e Ken Takakura.

Soldato Jane, Demi Moore in una scena del film
Gli anni ’90: un decennio di transizione
Gli anni ’90 sono un periodo complesso ma fondamentale.
Il decennio inizia con Thelma & Louise (1991) diventando subito un classico: un road movie simbolo di ribellione femminile che rovescia i codici del genere e racconta la fuga di due donne in cerca di libertà in un panorama dominato da figure maschili aggressive.
Nel 1992 dirige 1492: La conquista del paradiso, epico racconto del viaggio di Colombo. Pur non ottenendo successo, il film riflette sul trauma originario della storia americana — violenza e scontri culturali — in un anno segnato dalle rivolte di Los Angeles.
Dopo quattro anni di pausa torna con L’Albatross – Oltre la tempesta (1996), tratto da una storia vera: un coming-of-age sul senso di squadra e sulla crescita personale, in sintonia con il clima di rinnovata fiducia del primo mandato Clinton.
Il decennio si chiude con Soldato Jane (1997), che prosegue il discorso iniziato con Thelma & Louise: una critica severa al sistema militare statunitense e alle sue gerarchie conservatrici, sostenuta dalla prova fisica e spirituale di Demi Moore.
L’ Albatross e Soldato Jane formano una “moneta a due facce”: da un lato il cameratismo come forza positiva, dall’altro la sua degenerazione. Scott sembra suggerire, alle soglie del nuovo millennio, la necessità di ritrovare una nuova forma di unità collettiva.

Il gladiatore: Russel Crowe in una scena del film
Da Il gladiatore a Nessuna verità: dalla presidenza Bush all’inizio dell’era Obama
Il 2000 si apre con Il gladiatore, peplum moderno di enorme successo. Oltre allo spettacolo e alla cura visiva, il film riflette su una democrazia minacciata da leader autoritari: un tema sorprendentemente vicino al clima politico americano segnato dall’arrivo di George W. Bush.
Nello stesso anno seguono Hannibal e Black Hawk Down.
Il primo è un thriller barocco e sanguigno, sequel de Il silenzio degli innocenti, mentre il secondo racconta la battaglia di Mogadiscio con crudezza quasi documentaristica: un film che sembra portare sullo schermo le ferite di un’America destinata a entrare nelle guerre del nuovo millennio.
Il 2003 vede l’arrivo de Il genio della truffa, una gemma poco nota: una commedia frenetica guidata da un Nicolas Cage in stato di grazia, che parla di ossessioni, traumi, padri inadeguati e delle fragilità paranoiche dell’America degli anni 2000.
Nel 2005 arriva Le Crociate, risposta diretta alle affermazioni di Bush che definì la guerra al terrorismo una “nuova crociata”. Il film mostra lo scontro fra Occidente e Medio Oriente con una sorprendente capacità di sfumare motivazioni e conseguenze.
L’anno successivo firma Un’ottima annata, parentesi intima e romantica che riflette sull’avidità e sulla riscoperta dell’umanità, pur rimanendo un’opera minore, poi con American Gangster (2007) Scott intreccia gangster movie e racconto storico, mentre con Nessuna verità (2008) analizza l’intelligence, le manipolazioni, le strategie e la propaganda della Guerra al Terrorismo, chiudendo idealmente la sua riflessione sulla politica dell’era Bush.

Prometheus: Michael Fassbender in una scena del film
Da Robin Hood a Tutti i soldi del mondo: da Obama alla transizione verso Trump
Nel 2010 arriva Robin Hood, inizialmente accolto con freddezza da pubblico e critica. Oggi, rivalutato, appare come una rilettura politica dell’America post-crisi del 2008: un popolo abbandonato da poteri arroganti e autoreferenziali.
Dopo due anni realizza Prometheus, prequel della saga di Alien, che ancora oggi rimane un blockbuster visivamente grandioso. È un film che riflette sull’origine della vita e sul desiderio umano di trascendere i propri limiti, oltre ad anticipare la figura dei moderni “guru del transumanesimo”, incarnati mediaticamente da personaggi come Elon Musk: veri e propri eredi spirituali di Peter Weyland. Sono giovani “prometei” che vogliono donare all’umanità la scoperta dell’esistenza, il loro “fuoco”, che finirà però per condannarli, proprio come accade ai grandi visionari tragici della storia.
Con The Counselor (2013), scritto da Cormac McCarthy, realizza un neo-noir spietato, una riflessione sul nichilismo umano e sulle logiche criminali in un America sporca e corrotta, perfettamente in linea con le tematiche dello scrittore premio Pulitzer.
Nel 2014 torna al kolossal biblico con Exodus – Dei e Re, dedicato al fratello Tony. Qui affronta temi come totalitarismo, fanatismo religioso e antisemitismo, pur non riuscendo a convincere il grande pubblico. Successivamente firma una delle sue opere più ottimiste: The Martian. Una versione fantascientifica di Robinson Crusoe che celebra la collaborazione scientifica e la resilienza umana, simbolo della ritrovata fiducia dell’America del secondo mandato Obama e dei programmi come lo Space Launch System e il Commercial Crew Program.
Con Alien: Covenant (2017) prosegue il percorso filosofico iniziato con Prometheus. David, interpretato da un magnifico Michael Fassbender, emerge come un moderno Lucifero: una creatura sacrilega che si ribella ai propri creatori e diventa il “padre” dello xenomorfo, seguendo lo stesso cammino tragico di Roy Batty in Blade Runner.
Nello stesso anno arriva Tutti i soldi del mondo, opera imperfetta e con diversi problemi di accuratezza storica, ma comunque una riflessione amara sul potere e sul capitalismo, mostrando quanto il denaro possa diventare la radice del male.

House of Gucci: Lady Gaga e Adam Driver in una scena del film
Il grottesco del mondo odierno: da The Last Duel agli ultimi film
Negli ultimi anni la visione politica di Scott si è fatta più cupa e lucida.
Con The Last Duel (2021), grande film storico e manifesto del post-MeToo, affronta il potere maschile, la violenza strutturale e la manipolazione della verità attraverso una narrazione a tre punti di vista che ricorda Rashomon. Si chiude così un cerchio iniziato con I duellanti: onore e lealtà sono ormai svuotati, mentre la donna diventa oggetto, possesso, strumento politico.
Sempre nel 2021 arriva House of Gucci, ritratto grottesco e ironico dell’ambizione e della decadenza del potere. Una chiave che Scott porta avanti anche in Napoleon (2023) e Il gladiatore II (2024): qui la politica moderna è una tragicommedia popolata da figure prive di dignità, dominate da ego e narcisismo.
Questa nuova visione rispecchia un decennio segnato da crisi istituzionali, caos post-pandemico e da una politica americana allo sbando. Le ultime opere di Ridley Scott non sembrano criticare solo la presidenza Biden o il ritorno di Trump, ma la natura stessa della politica contemporanea, ridotta a spettacolo.
Per Scott, il mondo sembra destinato a precipitare in un nuovo periodo buio, avendo ormai smarrito i valori fondativi che animavano le sue prime opere.
Ritratti di decadenza
Da questa disamina emerge come il cinema di Ridley Scott sia un racconto visivo di mondi e società sopraffatti dal potere, dall’arroganza e dall’edonismo; uomini che si autoproclamano dei, destinati inevitabilmente a cadere.
Allo stesso tempo, Scott racconta cavalieri erranti, figure che cercano di recuperare valori perduti come lealtà, romanticismo e rispetto, nel tentativo di ridare senso a un mondo in disfacimento.
Una filmografia complessa e ricca, capace di restituire una visione chiara del cinema come racconto e riflessione sociale, che consacra Ridley Scott come uno dei registi più memorabili e influenti della storia del cinema.