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Exodus – Dei e Re: Ridley Scott di nuovo a confronto con la storia

I tre sceneggiatori, compreso il premio Oscar Steven Zaillian, insieme al regista, riescono, nonostante la storia biblica, a conferire concretezza e sostanza umana ai personaggi non incorrendo nella poco originale trasposizione dei dieci comandamenti, ma focalizzandosi, con “nolaniano” approccio, sulle sfumature caratteriali calate nel contesto storico

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Ridley Scott torna con Exodus – Dei e Re.

Anno: 2015

Durata: 150′

Distribuzione: 20th Century Fox

Genere: Azione

Nazionalità: Gran Bretagna, USA, Spagna

Regia: Ridley Scott

Data di uscita: 15-January-2015

Il ritorno sullo schermo con Exodus – Dei e Re

Ridley Scott è famoso per averci deliziato negli anni con grandi film rimasti impressi nell’immaginario comune. Adesso torna sul grande schermo per raccontarci la sua visione del racconto biblico di Mosè e Ramses, il Dio dell’Egitto.

La trama di Exodus – Dei e Re

La storia di Mosè è nota ai più, anche per chi da bambino si fosse distratto nelle lunghe ore di religione a scuola, o abbia “marinato” il catechismo pre-sacrementi, sa di cosa si sta parlando. Un bambino, destinato alla morte certa, viene posto in una cesta di vimini e consegnato alle acque del Nilo, nella speranza che possa trovare salvezza. E il Nilo, profetico e leggendario protagonista di innumerevoli storie, mantiene la sua promessa facendolo divenire un figlio d’Egitto. Mosè cresce nel palazzo del Faraone a fianco con Ramses, futuro capo del popolo, sviluppando con esso un rapporto di amore-odio, fin quando la verità non sarà più forte dell’amore verso i propri cari. Da qui in poi tutto è storia, tutto è noto. Mosè è ebreo, cresciuto inconsapevolmente nella casa dei suoi nemici, fino al momento del richiamo alle origini. Sarà lui stesso figlio d’Egitto, a portare il popolo ebraico in salvo verso la terra promessa, facendo le veci del Signore al quale si affida ciecamente, scrivendo per esso i 10 comandamenti.

La recensione del film

I tre sceneggiatori, compreso il premio Oscar Steven Zaillian, insieme al regista, riescono, nonostante la storia biblica, a conferire concretezza e sostanza umana. Lo fanno anche con i personaggi non incorrendo nella poco originale trasposizione dei dieci comandamenti, ma focalizzandosi, con “nolaniano” approccio, sulle sfumature caratteriali calate nel contesto storico. L’operazione non sembra riuscita in toto. Questo perché un avvenimento religioso memorabile come la leggenda di Mosè, così tanto ricca di dettagli, diventa vittima di superficiali ellissi temporali che per descrivere e seguire il personaggio danno per scontato la narrazione cronologica dei fatti. Il Mosè di Scott, impersonificato da Christian Bale, ha tutti i difetti dell’essere umano. Risulta più che l’artefice di divini consigli un braccio destro operativo di un dispettoso Dio del vecchio testamento. Come ne Il Gladiatore, Mosè è prima guerriero e paladino. Poi si tramuta in uomo e guida di popoli contenitore di dilemmi e sentimenti contrastanti. Dall’altro lato l’umanizzazione della figura del faraone, Ramses (Joel Edgerton), funge da perfetto contrappunto per il protagonista della storia. Un film debole che punta alla spettacolarizzazione scenica delle piaghe d’Egitto, del guado del mar rosso, delle battaglie contro gli egizi, e che si preoccupa ben poco del reale coinvolgimento dei personaggi all’interno del plot.

Nota curiosa: Un cast stellare, con Sigourney Weaver, Ben Kingsley e “Jesse” di Breaking Bad Aaron Paul, relegato a contorno e sfondo delle vicende narrate. Sarà la dimostrazione che i nomi non possono fare un buon film?  

Sonia Serafini

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