Nel cuore del villaggio montano di Kök-Tash, in Kirghizistan, dove le norme patriarcali confinano le donne a ruoli domestici e alla marginalità sociale, Kickoff (2025), documentario diretto da Roser Corella e Stefano Obino, costruisce una narrazione potente sull’emancipazione femminile attraverso lo sport. In concorso al PerSo – Perugia Social Film Festival, il film racconta la nascita di un torneo di calcio femminile come gesto di rottura, di affermazione identitaria in un contesto rigidamente patriarcale.
Estetica dell’osservazione: la camera come testimone silenziosa
Girato con un approccio registico essenziale, privo di orpelli e pretese estetizzanti, Kickoff si distingue per un’estetica dell’osservazione. I registi mantengono costantemente la giusta distanza dalle soggettività filmate, facendo della cinepresa uno strumento di testimonianza e non di interferenza. La macchina da presa segue i momenti quotidiani – allenamenti, interazioni familiari– senza mai imporre un punto di vista dominante, lasciando che siano le immagini e le azioni delle protagoniste a costruire il racconto.

Le donne filmate non recitano, ma abitano lo spazio narrativo con autenticità. Il dispositivo filmico si fa trasparente, rendendo possibile una connessione con lo spettatore che evita ogni forma di pietismo. Il risultato è un film che riesce a essere al contempo analitico e coinvolgente, estetico e politico.
Il calcio come dispositivo di emancipazione

Il cuore del documentario è la figura di Gazi, l’attivista che, sfidando apertamente le consuetudini locali, organizza un torneo di calcio femminile. In un’area in cui l’accesso delle donne alla sfera pubblica è drasticamente limitato, lo sport diventa dispositivo di resistenza, uno spazio simbolico e materiale per la costruzione di un’identità altra, collettiva, in grado di sovvertire le norme imposte.
Questo processo non è privo di ambiguità. Agli occhi di uno spettatore occidentale, la messa in scena di un torneo sportivo come gesto radicale in una società in cui le donne dipendono dalle decisioni dei loro mariti, può apparire contraddittoria. Tuttavia, in Kickoff, il calcio assume una funzione simbolica e pragmatica che supera il semplice gioco: è atto politico, rivendicazione corporea, presa di parola. Come sottolineano i registi:
“Questa è una storia di sfida, amore e comunità, un omaggio alle donne che rifiutano di essere confinate nei ruoli sociali. Il film illustra come un semplice gioco possa servire da piattaforma per affermare i propri diritti, sfidare le pressioni sociali e immaginare un futuro più luminoso.”
Dalla marginalità al centro campo
Kickoff si colloca nel solco di altre recenti narrazioni che hanno posto al centro il calcio femminile come forma di lotta contro sistemi limitanti: da film come Sognando Beckham (2002) fino alla sua rilettura contemporanea in Marinette (2023) e documentari come LFG – Let’s Fucking Go (2021), che racconta la lotta della nazionale statunitense per l’uguaglianza salariale. Il film di Corella e Obino si distingue per l’attenzione al contesto locale e per la scelta di un registro osservativo, evitando qualsiasi forma di imposizione dello sguardo.
A conferma della rilevanza del tema, anche il documentario Shane (2025) di Francesco Cannavà – che racconta la storia di una squadra di calcio di ragazze iraniane in Italia – si inserisce nella medesima linea tematica, proponendo lo sport come veicolo di autodeterminazione ed emancipazione.
Una storia inaspettata
Kickoff è un film che stupisce. Non solo per la forza della sua narrazione, ma perché riesce a fare ciò che ogni buon documentario ambisce a fare: mostrare l’invisibile, dare voce a chi non ce l’ha e permettere allo spettatore di conoscere realtà lontane. Nel silenzioso villaggio di Kök-Tash, dove le donne sono chiamate solo a servire, il calcio si fa linguaggio rivoluzionario. E con esso, il cinema.