La stagione che cercò di rivoluzionare la prospettiva di artisti e uomini del proprio tempo, messa in scena attraverso un'originale riproduzione di finzione e di documenti visivi di grande impatto evocativo
C’è stato un periodo in cui un gruppo di artisti italiani, spinti dal roboante scorrere del progresso, abbia pensato che quello fosse il momento giusto per cercare di cambiare tutto. Quegli uomini erano i fondatori di un movimento avanguardistico in grado di abbracciare e influenzare disparati ambiti culturali. Erano quelli del Futurismo. All’inseguimento di una nuova dimensione dell’individuo. Quella in grado di determinare sempre di più la sua esistenza. Di renderla piena connotandola di slanci smisurati e risoluti. Una sottolineatura della ricerca di se stessi attraverso il superamento di ogni limite preconcetto. L’obbligo di compenetrare la realtà disfacendo il quotidiano e annullando la routine. Dilatando il proprio universo in un pensiero sempre fervido nel quale la parola fine fosse bandita. Giordano Bruno Guerrie Massimo Spano ne riproducono lo spirito attraverso un documentario di sintesi dotato di immagini d’epoca e inserti narrativi dalla connotazione spiccatamente teatrale. Caffeina del Mondo, già protagonista di varie anteprime e di una concentrata uscita in sala, è prodotto da Qualityfilm in coproduzione con Luce Cincecittà e Inlusion Creative Hub.
Caffeina del Mondo, la realtà senza confini
Tommaso Marinetti, il capofila di tutto il movimento futurista, impersonato con il giusto piglio da Flavio Albanese, è un po’ la voce narrante incaricata di condurre il racconto in un susseguirsi di personaggi più simili a delle maschere che a una consistente traccia di realtà. I due autori si dimostrano abili nell’individuare una misura ideale d’esposizione dei fatti. Con destrezza amalgamano il rigore del racconto storico con l’incedere dell’aneddotica. Sempre ben attenti a non superare la misura ideale di una disposizione d’animo improntata alla capacità di soppesare la dimensione artistica e quella politica. Il montaggio, di Silvia Di Domenico, è, in questo senso, il supporto scenografico decisivo. Il rivestimento che suggella la formazione, e la cristallizzazione, di un’esistenza privata d’ogni confine, tale da dotare lo stesso documentario di una solida matrice futurista.
L’attesa
Si ripercorrono gli slanci più irruenti del Movimento per giungere fino a qualcosa in grado di forgiare una tempra nuova, pronta alla rivoluzione auspicata. Quella, per esempio, dettata dalla guerra, la sola igiene del Mondo. Salvo poi in parte ricredersi, non solo davanti alla tragedia del fronte, ma, soprattutto, nella scoperta dell’impossibilità di cavalcare l’imponderabile. Sospeso nell’attesa indefinita della morte e della vita. È questo il passo più ostico, uno dei punti di svolta fondamentali della pellicola. Reso abile nel suo significato dall’emergere di un sentimento d’attesa come ridefinizione del proprio quotidiano. L’impronta di uno storico di vaglia come Giordano Bruno Guerri è qui pienamente visibile. L’intreccio della sua narrazione, della finzione e delle immagini di repertorio rende quanto dovuto. Trasmette la consapevolezza di un universo più complesso della sua audacia e del suo modo di voler essere.
Abbiate fiducia nel progresso che ha sempre ragione anche quando ha torto
Filippo Tommaso Emilio Marinetti
Forme uniche della continuità nello spazio
Il rapporto tra oggetto e spazio si trasforma in un ulteriore livello di elaborazione della realtà. Quello che uno degli artisti simbolo del Futurismo, Boccioni, nell’interpretazione di Edoardo Della Bona, gestisce come testimonianza di una propria dimensione artistica. La sua scultura dal titolo Forme uniche della continuità nello spazio è forse la sintesi più calzante dei contenuti del documentario diretto da Guerri e Spano. Tutta la scultura è invasa dalla sensazione di un dinamismo che va oltre il singolo movimento. Frutto dell’espediente della privazione del volto e delle braccia, stilizzati in un corpo unico, e il poggiare che, in sostituzione dei piedi, avviene su di un piccolo doppio basamento. È il trionfo della tensione come sola possibilità di contendere ogni spazio, di rendere la forma creazione continua, mai doma. Ed è in fondo la cifra stilistica di Caffeina del Mondo, capace di non affezionarsi a nessun cliché in particolare e per questo materia unica e irriproducibile.
Non è mai abbastanza
La macchina da presa di Guerri e Spano non rincorre l’aspetto prettamente cinematografico della finzione, né si lascia incastonare nei movimenti classici dello stile documentaristico. Piuttosto pone il suo sguardo più attento sulla smania di cambiamento a tutti i costi che si sprigiona da tutto il Futurismo. Un’insofferenza per qualsiasi cosa che disponga all’inerzia. I primi piani di Marinetti contrastano con i totali dalle geometrie irregolari in cui il narratore principale, lo stesso Giordano Bruno Guerri, sceglie di essere collocato. È l’esternazione di un senso delle cose dettato dalla necessità del fare senza abbandonare l’impeto, la rottura del quotidiano, la negazione del retorico. È il tempo dell’arte totale evocato e contemplato nell’intento di un dinamismo pittorico, plastico, scevro da ogni legame preconcetto. Come quello di Giacomo Balla, Vittorio Nastri, il Futurballa. L’eroe che raccoglie l’eredità di Boccioni e trasforma la sua epica in un consistente dato di fatto, spiegato e descritto dall’epigrafe del non è mai abbastanza. Fino in fondo, fino al ritorno alla normalità della memoria, dei giorni di gloria enunciati solo al passato.