La quarantesima edizione della Settimana Internazionale della Critica approda alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con una selezione di corti in concorso, tra cui Sante, il nuovo cortometraggio distribuito da Premiere Film [Italy] e diretto da Valeria Gaudieri.
La regista indaga da sempre sul femminile e questa volta sceglie di raccontare la storia di Bianca, una dodicenne che viene scelta per interpretare l’angelo nella festa del paese, simbolo di purezza, bontà e candore. Qualche giorno prima del grande “salto” però, Bianca incontra Ginevra. Da quel momento vede le sue certezze crollare e si risvegliano in lei sensazioni che la fanno sentire sporca, impura e non degna di rappresentare l’angelo.
Tra sacro e profano
La narrazione si apre con una scena idilliaca, a cielo aperto: delle bambine giocano, si divertono, raccolgono fiori. Al centro della scena c’è Bianca. È giovane, innocente e curiosa. La vediamo correre e distendersi su un prato, nascosta agli occhi degli altri, accanto a Ginevra, una sua compagna.
Le due giovani ragazze si osservano, si sfiorano e, ad un tratto, l’inquadratura si posa sul vestito candido di Bianca: è macchiato.
La macchia, lo sporco sull’abito chiaro, è il primo indice di trasformazione. È il primo passo verso la pubertà e il desiderio, che viene percepito però dalla protagonista come un qualcosa di peccaminoso e incredibilmente profano. Lo sporco sul bianco non viene via e Bianca inizia a cambiare, a non sentirsi più “santa” e non meritevole di spiccare il volo.
Infatti, c’è ancora una sorta di tabù che ruota attorno al risveglio della pubertà femminile e alle sensazioni che provoca sulle ragazze stesse. Viene spesso insegnato a controllare le proprie pulsioni sessuali, la propria curiosità, e la regista di Sante ne è pienamente consapevole.
Per questo sceglie di mostrare il conflitto interiore di una bambina che sta per diventare ragazza, vittima di un sentimento di sensi di colpa imposto dalla società, e lo fa anche attraverso un contesto clericale, agiografico, nel quale l’elemento del controllo costante è fondamentale.
In Sante, infatti, vediamo che tutto deve essere in ordine, al giusto posto, perfetto. Tutto è misurabile e controllabile, peso e sentimenti compresi.
Quando salti, tieni gli occhi aperti

Attraverso la metafora dell’angelo che deve spiccare il volo, la regista mostra quanto sia difficile e spaventoso lanciarsi verso l’ignoto, verso una nuova sé, e lasciarsi alle spalle l’innocenza e la fanciullezza.
Bianca ha paura di fare il salto, non si sente all’altezza del ruolo, ma le viene spesso ripetuto che, se lei è veramente pura non cadrà. I sensi di colpa della giovane però non vanno via e qui la regista inserisce un’altra metafora: le piume delle sue ali d’angelo cadono a terra, una dopo l’altra.
Infine, emblematica è un’altra scena in cui vediamo la protagonista, ormai adorna di ali, fiori e abito bianco e azzurro, camminare spaventata e rassegnata in un corridoio, verso l’uscita.
Le luci sono rosse, rimandano al peccato, alla macchia sul vestito e alla sua insicurezza. La folla che l’attende la tocca, le da fiori e la adora, quasi fosse veramente un angelo sceso in terra.
Una sola frase, che racchiude alla perfezione ciò che l’attende, la rassicura:
“Quando salti, tieni gli occhi aperti. È la parte più bella.”
Dopotutto, solo dopo che ci si lascia andare e non si presta più attenzione a ciò che la società impone, si è veramente liberi.
E, come ha affermato la stessa autrice in un commento:
“La storia ha scelto i suoi santi e i suoi martiri, ma noi abbiamo il potere di scegliere da che parte stare”.