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[WIP] Jackie Chan, il corpo che ride e combatte: un premio alla carriera a Locarno

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jackie chan

Quando il Locarno Film Festival ha annunciato che il Pardo alla carriera 2025 sarebbe andato a Jackie Chan, la notizia ha assunto subito un sapore speciale. Non soltanto per l’immensa popolarità dell’attore e regista di Hong Kong, ma perché la sua figura racchiude in sé un’idea di cinema che ha saputo unire generazioni e continenti, scardinando confini culturali e linguistici. In Piazza Grande, davanti a migliaia di spettatori, Chan ha ricevuto il riconoscimento tra applausi, risate e commozione, salutando il pubblico con il suo tipico tono affettuoso e scherzoso: un artista che, anche a settantun anni, continua a sentirsi parte viva del grande schermo.

Gli inizi tra disciplina e sacrificio

La storia di Jackie Chan comincia con una disciplina ferrea. Nato nel 1954, entra giovanissimo alla China Drama Academy, la scuola di arti performative guidata dal severo maestro Yu Jim-Yuen. Qui si forma tra acrobazie, arti marziali, canto e recitazione, in un ambiente dove il rigore era l’unica regola possibile. Questa palestra di vita, spesso durissima, segnerà per sempre il suo approccio al lavoro: il corpo come strumento totale, pronto a trasformarsi in veicolo comico, drammatico, eroico. Non a caso, da ragazzo viene notato per la sua abilità fisica e inizia come stuntman nei film di Hong Kong, apparendo persino in piccole parti accanto a Bruce Lee in Fist of Fury e Enter the Dragon. È il primo passo verso una carriera che di lì a poco esploderà.

Jackie Chan_Drunken Master (1978)

La rivoluzione del kung-fu comico

Il vero successo arriva a fine anni Settanta, quando Jackie Chan inventa praticamente un nuovo linguaggio cinematografico. Con titoli come Snake in the Eagle’s Shadow e Drunken Master (1978) porta sullo schermo una combinazione mai vista: arti marziali spettacolari intrecciate con comicità slapstick, ereditata dai maestri del cinema muto come Buster Keaton e Harold Lloyd. L’eroe non è più l’uomo invincibile e serio, ma un giovane pasticcione che inciampa, sbaglia, sanguina, eppure alla fine trionfa grazie a ingegno e resilienza. Il pubblico riconosce subito in lui una ventata d’aria nuova, capace di umanizzare l’action e di renderlo accessibile anche a chi non era appassionato di kung-fu.

La nascita di un mito

Gli anni Ottanta e Novanta consolidano il mito. Jackie non si accontenta di interpretare: vuole dirigere, inventare, spingersi oltre. Film come Project A (1983), Armour of God (1986) e soprattutto Police Story (1985) mostrano una creatività inesauribile, con sequenze d’azione che ancora oggi lasciano senza fiato. Per girarle mette a rischio la propria vita, tanto che più volte finisce in ospedale con ossa rotte, fratture multiple, persino un trauma cranico. Ma quella dedizione assoluta, quel rifiuto di delegare agli stunt più pericolosi, diventano parte della sua leggenda. Jackie è il cinema, e il cinema passa attraverso il suo corpo. La fondazione del Jackie Chan Stunt Team segna un altro passo decisivo: attori e stuntman di fiducia che lo accompagnano in coreografie sempre più ardite, trasformando ogni scena d’azione in una danza collettiva.

Jackie Chan_Karate Kid (2010)

Hollywood e la consacrazione globale

Dopo essere diventato il re del box office in Asia, Chan conquista anche l’Occidente. Il grande pubblico internazionale lo scopre negli anni Novanta con Rumble in the Bronx (1995), ma è con Rush Hour (1998) che diventa una superstar globale. Accanto a Chris Tucker, Jackie porta il suo stile in una commedia d’azione che incassa centinaia di milioni di dollari, generando sequel e rendendolo uno dei volti più amati dal pubblico americano. Seguono titoli come Shanghai Noon, Shanghai Knights e Around the World in 80 Days, che amplificano la sua popolarità. E mentre continua a girare grandi produzioni a Hong Kong, diventa anche una presenza fissa in franchise per famiglie, prestando la voce al maestro Monkey nella saga di Kung Fu Panda o vestendo i panni del mentore in The Karate Kid (2010).

Un artista totale

Jackie Chan non è solo un attore. È regista, produttore, coreografo, cantante, filantropo. Ha pubblicato autobiografie, inciso album e fondato associazioni benefiche. È un uomo che ha fatto della poliedricità la sua cifra. Ma soprattutto, è riuscito a mantenere sempre intatta la sua identità artistica: un cinema fatto di fatica fisica, comicità universale e voglia di intrattenere senza prendersi mai troppo sul serio. Nei suoi film la risata convive con la paura, il pericolo con la goffaggine, l’eroe con l’uomo comune. È questa alchimia che ha conquistato spettatori di ogni età e cultura.

Il tributo di Locarno

Il Pardo alla carriera ricevuto a Locarno non è soltanto un premio a un attore popolare, ma il riconoscimento a un vero innovatore. Come ha sottolineato il direttore artistico Giona A. Nazzaro, “nel cinema esiste un prima e un dopo Jackie Chan”. A Locarno Chan non si è limitato a ritirare il premio: ha incontrato il pubblico, ha presentato alcuni dei suoi film più celebri e ha parlato apertamente del suo percorso, sottolineando come a 71 anni senta ancora l’energia per combattere sullo schermo. In un’epoca in cui l’action è sempre più affidata agli effetti digitali, il suo corpo rimane testimonianza di un cinema fisico, concreto, sudato.