C’è un momento dell’anno in cui tutto, dal cinema alla pubblicità, fino ai supermercati addobbati con un certo anticipo strategico, sembra ricordarci che dobbiamo essere felici. Per forza. La gente per strada entra in una sorta di mondo parallelo, come se attraversasse un portale luminoso da cui si esce sempre col sorriso. È un imperativo avvolto di lucine LED.
Due figure, due modi di affrontare la festa
È proprio dentro questa atmosfera un po’ artificiale che appaiono due figure, solo in apparenza opposte: Babbo Natale e il Grinch. Due poli emotivi che, ognuno a modo suo, rivelano ciò che spesso cerchiamo di nascondere anche a noi stessi.
Da una parte l’anziano signore dalla barba lunga che distribuisce regali come fossero piccoli gesti di cura; dall’altra una creatura burbera che osserva la festa da lontano, rispondendo “no grazie” a un entusiasmo che percepisce come imposto più che condiviso.
Babbo Natale: l’archetipo dell’amore che consola
Babbo Natale è l’archetipo dell’affetto incondizionato: un nonno ideale, forse quello che molti avrebbero voluto. La sua immagine è costruita per rassicurare: barba candida, occhialini tondi, sguardo buono, abito rosso vivace, una morbidezza che promette accoglienza.
È un simbolo radicato, resistente, perché incarna l’idea luminosa di un amore che non chiede nulla in cambio.
L’altra faccia del dono
Eppure, dietro questa superficie zuccherina si intravede qualcosa di più complesso: un sottofondo culturale che ci suggerisce che per ricevere bisogna comunque essere “meritevoli”, che per essere amati bisogna essere buoni, che per appartenere a una comunità è necessario corrisponderne le aspettative.
Non è una logica spietata, ma un meccanismo sottile, interiorizzato, che rende quel dono natalizio un gesto insieme affettuoso e, in qualche modo, normativo.
Il Grinch: l’archetipo del rifiuto necessario
Sul versante opposto, il Grinch, con il suo verde acido e il suo sguardo diffidente, rappresenta l’archetipo del rifiuto necessario. Non si adegua, non vuole partecipare al carnevale collettivo, e soprattutto mette in discussione l’obbligo della felicità che accompagna il periodo natalizio.
Non è il Natale in sé a disturbarlo, ma la sua retorica più rigida: l’ottimismo prefabbricato, la comunità che sembra materializzarsi solo per circostanza, l’idea che l’armonia debba valere per tutti allo stesso modo.
Le emozioni che preferiamo non vedere
Il Grinch incarna tutto ciò che spesso non abbiamo il coraggio di ammettere di provare: la stanchezza, la rabbia, il fastidio, la paura dell’intimità, il desiderio di un po’ di silenzio.
È la parte di noi che non indossa il maglione con la renna solo per adeguarsi, che non ha sempre voglia di sorridere nelle foto, che non riesce — o semplicemente non vuole — seguire il copione sociale.
Forse è per questo che la società lo percepisce come una minaccia, e che il cinema lo “redime” così spesso: l’idea che qualcuno possa sottrarsi alla festa mette a disagio, come se la serenità collettiva potesse incrinarsi per una sola voce fuori dal coro.
Una battaglia interiore più che narrativa
La tensione tra queste due figure non è soltanto narrativa: è una battaglia interiore che molti conoscono bene. Siamo un po’ Babbo Natale quando cerchiamo di apparire generosi e stabili anche quando dentro si aprono piccole crepe; siamo un po’ Grinch quando il mondo ci pesa e ci sentiamo fuori luogo.
Una parte di noi ama la luce, l’altra custodisce l’ombra. Il cinema, spesso, preferisce immaginare che il Grinch possa “guarire”, diventando una versione più solare di sé, come se il dissenso fosse un difetto da correggere. Ma la celebre “conversione” del Grinch rimane ambigua: è davvero un ritorno spontaneo alla comunità, o il segno che la comunità è pronta ad accogliere solo chi rientra nei ranghi?
Forse il Grinch non andava salvato: andava semplicemente ascoltato.
Luce, ombra e l’imperfezione che ci rende umani
In definitiva, il punto non è scegliere da che parte stare, ma riconoscere che viviamo costantemente tra queste due tensioni. Babbo Natale ci racconta chi vorremmo, o forse chi pensiamo di dover essere; il Grinch ci ricorda ciò che non sempre riusciamo a nascondere.
Il primo offre una promessa di amore, il secondo ci invita a non ignorare la nostra vulnerabilità.
Ed è proprio nell’oscillazione tra questi due poli che nasce una domanda profondamente umana: possiamo essere amati anche quando non siamo perfetti? Possiamo esistere senza essere necessariamente presentabili? Possiamo, almeno per un momento, smettere di meritarci tutto e limitarci a essere?
Forse la vera festa inizia quando smettiamo di scegliere tra il rosso e il verde. Quando ci permettiamo di essere qualcosa di più mobile, più sfumato, più autentico. Non dobbiamo essere né Babbo Natale né Grinch: possiamo essere, con tutte le nostre luci e le nostre ombre, semplicemente noi stessi.