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CARBONIA FILM FESTIVAL

‘Le bambine’, gli anni Novanta pop in tasca

Il disincanto scanzonato fa breccia nel candore di tre piccole sopravvissute alle bizze della media borghesia: sullo sfondo, l’estate di cartapesta di un decennio chiaroscurale, con sana nostalgia

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Approda al Carbonia Film Festival Le bambine di Valentina e Nicole Bertani, che dopo il suo percorso al 78esimo Locarno Film Festival — dove ha rappresentato l’Italia in concorso, unico lungometraggio nostrano a contendersi il Pardo d’oro — continua a farsi notare per la sua sorprendente maturità stilistica. L’opera delle sorelle Bertani ha squarciato l’austerità impegnata che tradizionalmente si confà alla kermesse svizzera, portando con sé la grandangolare e sgargiante freschezza infantile delle protagoniste e delle loro fragilità di crescita, ma soprattutto una resa figurativa spesso latitante nel panorama italiano: quella di una personalità di stile, gustosamente strabordante e mai gratuita, pur ancorata a un preciso contesto evocativo.

Alla loro opera prima di finzione, le eclettiche sorelle Bertani, creative nei settori di video pubblicitari e grafica, distillano nel loro estro autobiografico un inno al sodalizio femminile, alla diversità (già al centro del documentario La timidezza delle chiome, firmato da Valentina), alla fluidità personale del vivere e del maturare. Co-prodotto da Emma Film, RSI Radiotelevisione svizzera, Adler Entertainment (con il supporto di Rai Cinema, Emilia Romagna, LazioCinemaInt, Lombardia, Piemonte, Veneto), Le bambine sono i corpi e i volti sulla soglia di Agnese Scazza (Azzurra), Petra Scheggia (Marta) e della dolce e sorprendente Mia Ferricelli (Linda).

1997. Linda, 8 anni, lascia la villa svizzera della ricca nonna con la madre Eva. In Italia fa amicizia con Azzurra e Marta e forma una banda per proteggersi l’un l’altra, la loro giovinezza e la loro libertà. Sono circondate da genitori egoisti con sogni fragili, vicini pettegoli e una babysitter queer alla ricerca del proprio posto in un mondo omofobo. [sinossi ufficiale]

Le ragazze stanno bene

C’era una volta il valzer del moscerino (Mosquitoes è il titolo internazionale). Etere e polvere, Le bambine si bilancia sui contrasti degli adulti, delle loro (ir)responsabilità e paure; si apre con la soggettiva di un moscerino, visivo Leitmotiv di raccordo in un affresco di periferia, e si chiude con gli adesivi di stelle fosforescenti che spalancano lo schermo nella presa finale di amara coscienza, con una soluzione di formato che echeggia Mommy di Xavier Dolan.

Film sul desiderio e sul compromesso che etimologicamente proietta la ricerca interiore dei personaggi sulla volta siderale, intercetta le aspirazioni ondivaghe di una madre infermiera che vorrebbe produrre bambole, una giovanissima e perduta in immatura ribellione verso la famiglia, un’altra che pasticcia nei suoi bislacchi e sedicenti principi educativi: come in un teatro di marionette (e con un occhio a Robert Altman e ad America oggi), si muovono i fili di una borghesia binaria e snaturata.

E nella provincia ferrarese, arena collettiva del Bildungsroman tra bar, festicciole e giochi per strada ma anche decentrata torre d’avorio alienante, sperimentano il cambiamento fisico e testano i primi, insicuri interrogativi Linda, Azzurra e Marta, mai Barbie ma interpreti di sé e dell’ir-reale (“Cosa vuol dire la parola ‘barbine’?”, in un bisticcio eloquente di senso), all’ombra di figure maschili assenti, vitree o stagnanti, in un anticipo più epocale che generazionale del tramonto dei padri, della sindrome di Telemaco.

Un ritratto d’infanzia delle registe, per gentile concessione del @Locarno Film Festival

Come eravamo: la memoria che sorride

Se la noia, che le autrici puntellano in una partitura di vuoti e silenzi, è il collante emotivo della scompigliata bande à part di amiche e la repressione nervosa compatta i loro genitori, la cifra figurativa regnante, intrisa della lente del grottesco e del surreale, è un’estetica dall’essenza smaccatamente vintage senza calligrafismo, che eleva Le bambine (con il suo allegro affondo visivo tra Tamagotchi e stampe dai cromatismi saturi) a spaccato documentaristico di una dolcezza del vivere che può competere con quella più proverbiale degli anni Sessanta, nell’intento di scuotere il giovane pubblico 4.0 dalla passività di sguardo. Come dichiarato da Nicole e Valentina Bertani in un’intervista concessa al festival ticinese:

La memoria legata a quel decennio è ancora viva, ed è stata in parte metabolizzata e reinterpretata dai più giovani. C’è una retromania diffusa oggi – pensiamo al ritorno virale de La ruota della fortuna, o a pezzi d’epoca tornati di moda. I giochi, la musica, le icone culturali sono parte integrante del nostro vissuto, non si tratta di puro citazionismo. Le nuove generazioni potranno confrontare ciò che hanno sentito raccontare e, forse, sentire quel tempo più vicino di quanto pensino.

Un soffio internazionale nel torpore di un’estate emiliana

Girato sul crinale frizzante e malinconico delle increspature delle protagoniste, profonde e in superficie al contempo, che marciando insieme vivono il loro individuale capitolo formativo (nella pubertà fisica e intellettiva) di sensorialità essenzialmente femminile, il film inietta, in una rappresentazione sfumata, scattante e polifonica, le tensioni e i timori degli anni Novanta, nella crisi di fine millennio, i cui spasimi apocalittici sono figurati allegoricamente dagli invadenti moscerini: dipendenza da stupefacenti, omofobia, anaffettività, classismo, nel rumore di fondo di icone frantumate nel sangue, dall’omicidio di Gianni Versace alla scomparsa di Lady Diana, che imbrattano di disinganno e morte il mondo di ieri di grandi e piccini, che le sorelle Bertani tessono con sperimentale leggiadria in una rarefazione fiabesca (fotografia di Marco Bassano e Luca Costantini, costumi di Cristiana Agostinelli).

Una tenue camerata del disgregamento degli affetti, a cui sopperiscono ben pochi adulti, un microcosmo uniformemente tonale di solitudine e soprattutto materica e avventurosa fantasia, con una vena immaginifica, un po’ pop e un po’ funky, che scorre carsica fino al finale in corsa, sulla lezione di Truffaut e in particolare del suo caposaldo del cinema dell’infanzia, Gli anni in tasca. Ma più che al maestro francese, Le bambine guarda alle madri ai margini di Xavier Dolan, ai non luoghi decentrati, luccicanti e vacui di Sean Baker e alla sua arrancante e vulnerabile fauna umana (con più ascendenze da Un sogno chiamato Florida) e, come dichiarato dalle autrici, a Todd Solondz, “con la sua poetica di felicità e infelicità intrecciate”.

Il passo lieve verso un varco possibile

Fantasmagorico e liberatorio cinema italiano di impasto indie americano (fonte ispiratrice soffusamente radicata), talvolta sfocato nella scrittura psicologica, con personaggi distanti nella loro stralunata e algida alterità oppure depotenziati dai loro contributi narrativi (come la nonna svizzera), e in cerca di scene madri in grado di condensare l’eccentricità di visione, ma audace nel tracciare un solco per nuovi itinerari introspettivi, ariosi, ironici, obliqui, soavemente pungenti e maliziosamente divertenti.

Le bambine

  • Anno: 2025
  • Durata: 105'
  • Genere: drammatico, commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Valentina Bertani, Nicole Bertani