‘La battaglia del Dottor Semmelweis’: la luce della coscienza
Una storia dimenticata, un film necessario. Tra coraggio, ostracismo e visione scientifica, Koltai firma un film tagliente che affonda il bisturi nella coscienza di un’epoca, e nella nostra
C’è un momento, nel film, in cui il dottor Semmelweis si ferma. Le mani bagnate, lo sguardo perso oltre la finestra di un ospedale asfissiante. Non sta pensando. Sta ascoltando qualcosa che nessun altro sente: il suono della verità. La battaglia del dottor Semmelweis non è solo un film biografico. È un’accusa. È un atto d’amore verso la conoscenza negata.
Il film, diretto da Lajos Koltai e distribuito da Unicorn, uscirà nelle sale italiane il 14 agosto. Nel cast: Miklós Vecsei H.,Katica Nagy, László Gálffi, Tamás Kovács, Ferenc Lengyel, Nelli Szűcs e Ferenc Elek.
Semmelweis fu dimenticato. Il cinema lo riporta al centro della Storia. E ci ricorda che, spesso, a morire non è chi sbaglia, ma chi è nel giusto.
Vienna, 1847. Nella penombra di corridoi polverosi, Ignác Semmelweis (Miklós Vecsei H.), medico ungherese nella Vienna imperiale, scopre che basta lavarsi le mani per evitare la morte. Sembra semplice. Sembra banale. Ma non lo è. Perché la verità, quando arriva troppo presto, fa paura.
Fotografia cupa e soffocante
Lajos Koltai, ex direttore della fotografia, torna dietro la macchina da presa con una lucidità tagliente e costruisce un film oscuro, asfissiante. Dove ogni fotogramma è una domanda e ogni movimento di macchina è un gesto morale. Un’opera che, con feroce eleganza, sbatte in faccia allo spettatore la storia di un uomo che scoprì che bastava lavarsi le mani per salvare milioni di donne e venne ridicolizzato, ostracizzato, massacrato. La meravigliosa Vienna dei teatri e dei salotti è deliberatamente esclusa. Gli interni dell’ospedale, spogli, bui, claustrofobici, diventano la metafora perfetta dell’ignoranza collettiva. Dentro le corsie c’è solo sudore, sangue, carne e morte. È lì che si combatte la battaglia. Ed è lì che il regista affonda il suo sguardo.
Il costante senso di soffocamento è reso da una precisa scelta stilistica: Koltai comprime le inquadrature e isola i corpi. E non c’è via d’uscita, se non lo scontro. Il lavoro sulla luce è straordinario. Le ombre tagliano i volti, mentre ad illuminare la scena ci pensano lampade, candele, riverberi sulle piastrelle. La fotografia diventa una luce che prende posizione. E anche la macchina da presa partecipa alla battaglia: non si limita a osservare, si schiera accompagnando il disagio del protagonista.
L’uomo dietro il mito di Semmelweis
Miklós Vecsei H., nei panni dell’attore protagonista, è straordinario, regge tutto il peso di un personaggio scomodo, ruvido, difficile da amare. Quello che porta in scena è un Semmelweis febbrile, che mastica la rabbia e la sputa in faccia all’ordine medico. Non cerca il consenso. Cerca giustizia. Non incarna l’eroe ma ne restituisce l’anima tormentata. La sua freddezza apparente cela il dolore per ogni vita spezzata. Vecsei dosa energia e vulnerabilità: la postura rigida, quasi militare, convive con improvvisi cedimenti. I suoi occhi azzurri riflettono tutto il dolore e la solitudine che vede. La battaglia del dottor Semmelweis è un film che vuole disturbare. Non a caso il regista sceglie la struttura per blocchi emotivi eliminando tutto quello che non è necessario. Niente orpelli, niente didascalie storiche. Il film non vuole spiegare: vuole far sentire. É un cinema ostile, e per questo autenticamente reale.
La vera storia di Ignác Semmelweis
Nella storia vera, Ignác Semmelweis è un giovane medico ungherese che, a metà dell’Ottocento, lavora presso l’ospedale generale di Vienna. Qui, nota un dettaglio agghiacciante: nelle cliniche dove gli studenti di medicina passano direttamente dalle autopsie al parto senza lavarsi le mani, la febbre puerperale uccide molte più donne. Introduce allora una misura rivoluzionaria: il lavaggio delle mani con una soluzione di cloruro di calcio. I decessi crollano. Eppure, la comunità medica lo rifiuta. Non accetta l’idea che i medici stessi siano la causa delle morti. Lo ridicolizzano e lo licenziano. Il film di Lajos Koltai esaspera questa dinamica e la rende quasi claustrofobica: i corridoi dell’ospedale sembrano trincee, i colleghi figure ombrose, incapaci di empatia. La cinepresa lo segue come fosse intrappolato in un labirinto morale. Ma il dettaglio più potente, e più vero, è la fine di Semmelweis. Non è solo la sua carriera ma anche la sua stessa sanità mentale a spezzarsi. Finisce in manicomio, picchiato a morte dalle guardie appena due settimane dopo il ricovero. Muore a soli 47 anni.
Il trailer del film La battaglia del Dottor Semmelweis