All’interno della selezione Childhood Yearning: Three by Amir Naderi, disponibile su MUBI e composta da Waiting (1974), The Runner (1984) e Harmonica (1974), quest’ultimo rappresenta forse il tassello più tagliente del trittico. Se Waiting introduce con delicatezza le tensioni fra desiderio, silenzio e marginalità, e The Runner le espande verso un’aperta resistenza fisica e sociale, Harmonica affonda lo sguardo nella dinamica collettiva: il gruppo come luogo di attrito, di codici e gerarchie, dove il gioco dell’infanzia si carica presto di meccanismi di potere.
Harmonica La nota stonata di una melodia condivisa
Su una spiaggia remota della costa iraniana, un gruppo di bambini gioca tra sabbia, vento e saline. La loro è un’infanzia senza adulti all’orizzonte, plasmata dalla sopravvivenza, da un ordine implicito fatto di ruoli, silenzi e complicità. L’arrivo di un oggetto estraneo, una semplice armonica, rompe quell’equilibrio precario, come una nota stonata che rimescola la melodia condivisa.
Non c’è morale né redenzione in questo film: l’armonica, oggetto di bellezza e incanto, diventa veicolo di esclusione. Chi la possiede gode di un’attenzione magnetica. Gli altri orbitano intorno a lui, prima con ammirazione, poi con invidia, infine con rabbia. È la dinamica elementare del privilegio che prende forma: qualcosa che si ha e che non si vuole condividere, qualcosa che si desidera ma che sfugge, qualcosa che si trasforma da dono in strumento di dominio.
La grandezza del film sta proprio nella sua essenzialità: nessuna psicologia esplicita, nessun dialogo superfluo, nessuna spiegazione. Tutto accade attraverso i corpi, gli sguardi, le pause. L’armonica non è suonata per sé, ma per essere vista, per attirare e per generare dipendenza. E quando il protagonista, un bambino vestito di bianco, che si presenta quasi come un’apparizione in mezzo alla polvere, comincia a usarla come leva per controllare gli altri, la musica smette di essere gioco e diventa potere.

Una musica che incanta e separa
Lo spazio del racconto è tanto aperto quanto chiuso: il mare sullo sfondo sembra promettere orizzonti infiniti, ma i bambini restano intrappolati nella circolarità del cortile, del gruppo, della regola non scritta che li tiene insieme e li opprime. Naderi filma questa clausura con grande rigore, alternando piani sequenza a movimenti di macchina quasi impercettibili, che seguono il flusso dell’azione senza mai sovraccaricarla. L’infanzia, in questo contesto, non è rifugio, ma campo di prova. I bambini non sono ancora ciò che diventeranno, ma hanno già interiorizzato gerarchie, ritorsioni, meccanismi di obbedienza.
Tuttavia, Harmonica è anche un racconto sul desiderio: desiderio di bellezza, di partecipazione, di essere visti e ascoltati. È l’attrazione per ciò che è superfluo, un oggetto che non serve a sopravvivere ma a sognare, che innesca il conflitto. Eppure proprio questo desiderio, se negato, se posseduto da uno solo, rivela le disuguaglianze che percorrono anche i legami più apparentemente innocenti.
Il mondo degli adulti è già inscritto nei gesti dei bambini, nella rapidità con cui nascono e muoiono le alleanze, nella logica dell’imitazione, della sopraffazione, dell’obbedienza. Naderi non guarda l’infanzia con indulgenza, ma con la consapevolezza che è lì, in quel terreno ancora incolto, che si formano le strutture profonde del vivere insieme.
Sul piano sonoro, l’armonica non è mai solo uno strumento: è voce narrante. Quando suona, tutto si ferma. Gli altri bambini smettono di correre, di parlare, di essere se stessi. Si incantano, si umiliano, si piegano. L’armonica produce una musica ipnotica, ma anche una distanza: chi la suona non è più parte del gruppo, ne è il centro. Fino a che l’equilibrio non si spezza, e il suono non diventa più sopportabile.
In questo piccolo film, girato pochi anni prima della Rivoluzione iraniana, Naderi costruisce un’allegoria asciutta e tagliente di un’intera società. Il villaggio costiero, con le sue architetture povere e i suoi spazi aridi, diventa uno specchio miniaturizzato delle dinamiche collettive: chi possiede, chi desidera, chi serve.
A distanza di cinquant’anni, Harmonica conserva intatta la sua forza. Per la capacità di parlare dell’infanzia senza idealizzarla, e per come riesce a mettere in scena, con economia e precisione, la genesi silenziosa del potere. È un film che mostra come la violenza simbolica possa nascere dal nulla e come, già da bambini, impariamo a riconoscerla, subirla e ripeterla.