All’interno della selezione Childhood Yearning: Three by Amir Naderi, disponibile su MUBI insieme a The Runner e Harmonica, Waiting (1974) emerge come un punto di partenza essenziale per comprendere la cifra stilistica e tematica di uno dei cineasti più intensi e innovativi del cinema iraniano. Questo cortometraggio, pur nella sua apparente semplicità, anticipa molte delle tensioni che Naderi avrebbe esplorato nel corso della sua carriera: la fragilità dell’infanzia, l’incontro fra l’individuo e una società spesso indifferente, la solitudine come condizione esistenziale e una sensibilità profonda verso i paesaggi umani e ambientali dell’Iran, suo paese natale.
Un rituale quotidiano carico di desiderio e assenza
Ambientato nelle periferie polverose di una città industriale al sud dell’Iran, segnata da un presente incerto e da un futuro che si intravede appena, Waiting racconta la routine quasi ipnotica di un ragazzo quattordicenne, impegnato in un compito apparentemente banale: ogni giorno va a prendere un blocco di ghiaccio da una vicina, che glielo passa attraverso una porta. Ma a catturare lo sguardo è soltanto la mano della ragazza, decorata con l’henné, un dettaglio che diventa cifra visiva e simbolica di un desiderio inespresso.
Il ghiaccio, fragile e destinato a scomparire, diviene metafora di una relazione sfuggente, di una vicinanza fatta di distanza e silenzi. L’attesa si trasforma così in una condizione che trascende il tempo narrativo, diventando l’attesa di qualcosa che sfugge, desiderio di uno sguardo, di una presenza che rimane nascosta. Il cortometraggio riesce a restituire questa tensione con una economia di mezzi sorprendente, dove ogni gesto, ogni pausa assume un peso emotivo straordinario.
Cinema della soglia, tra corpo, spazio e silenzio

Naderi sceglie una macchina da presa bassa, che si muove ad altezza del ragazzo, coinvolgendo lo spettatore in un punto di vista intimo ma mai invadente. Questa scelta crea un effetto di prossimità sensoriale: lo sguardo non è mai dall’alto o dall’esterno, ma sempre all’interno di un’esperienza vissuta, percorsa dal corpo piccolo di un ragazzo che fatica a farsi spazio in un mondo troppo grande.
Lo spazio circostante, fatto di fabbriche, lamiere, rumori metallici, si impone come presenza costante, quasi soffocante, che segna il tempo e scandisce la fatica quotidiana. Eppure, nel cuore di questo ambiente ostile, si inserisce una danza silenziosa fatta di gesti ripetuti, di attese e di desideri trattenuti. Waiting si fa così racconto di un passaggio, di una soglia tra ciò che si lascia e ciò che deve ancora venire, tra un’infanzia sospesa e un mondo che sembra non avere tempo per fermarsi ad ascoltare.
Questa condizione liminale, di attesa e passaggio, si colloca idealmente in una tradizione del cinema iraniano che ha saputo raccontare l’infanzia come luogo di resistenza e di sguardo sul mondo. In questo senso, Waiting dialoga con le opere di Abbas Kiarostami, che ha indagato le sfumature dell’esperienza infantile con delicatezza poetica, e con Jafar Panahi e Majid Majidi, che hanno portato l’attenzione sulle vite marginali e sulle sfide quotidiane dei più giovani nella società iraniana.
Il riflesso di un Iran in trasformazione e una poetica in divenire
Realizzato in un momento storico di profonda tensione e cambiamento, poco prima della Rivoluzione Iraniana (1978-1979), Waiting si inserisce nel panorama di un cinema che in quegli anni iniziava a interrogarsi sulle contraddizioni di una nazione divisa tra tradizione e modernità.
Naderi propone uno sguardo radicalmente diverso da quello dei cineasti più legati alle élite culturali di Teheran: la sua attenzione è rivolta ai margini, alle periferie e alle vite invisibili che spesso restano escluse dai grandi racconti nazionali. Il cortometraggio si fa così testimonianza di un mondo che sta cambiando ma che ancora fatica a riconoscere e accogliere le sue nuove generazioni.
In questo senso, l’opera anticipa molti dei temi e delle forme che Naderi svilupperà nei suoi lavori successivi, costruendo un cinema che trova forza nella semplicità e nella profondità di uno sguardo che non vuole spiegare, ma evocare.

Il silenzio che parla della crescita e dell’attesa
Waiting non offre risposte né soluzioni narrative, ma si apre come un’esperienza sospesa, un tempo dilatato in cui ogni gesto è carico di significato e ogni attesa diventa racconto. È un film che parla di crescita, di perdita e di desiderio, ma anche della difficoltà di farsi spazio in un mondo che sembra indifferente al passo lento dei più fragili.
L’attesa diventa così non solo un tempo di passaggio, ma la condizione stessa di un’esistenza segnata dalla solitudine e dal bisogno di essere visti. Con questo cortometraggio, Amir Naderi ci invita a guardare con occhi nuovi, a rallentare lo sguardo per cogliere la poesia nascosta negli spazi silenziosi, nel gesto quotidiano e nella fragile bellezza dell’infanzia.