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Cactus International Children's and Youth Film Festival

Daniele Furlati e le musiche per il cinema

Un dialogo con il compositore bolognese sull’importanza della musica nei film muti e sonori

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Aosta ha accolto nuovamente il Maestro Daniele Furlati, giunto nella cittadina in occasione del Cactus Film Festival. Qui, infatti, sono stati proiettati i film muti The Immigrant (Charlie Chaplin, 1917) e One Week (Buster Keaton, 1920), con accompagnamento musicale dal vivo. L’evento, realizzato in collaborazione con la Cineteca di Bologna, ha regalato al pubblico una serata di pura magia.

Chi è Daniele Furlati

Compositore e pianista, è diplomato in Composizione, in Pianoforte e Strumentazione per banda. Ha inoltre ottenuto due diplomi di merito ai corsi di perfezionamento in musica per film tenuti da Ennio Morricone e Sergio Miceli all’Accademia Musicale Chigiana di Siena.

L’esordio nel cinema avviene componendo la musica per il film Viva San Isidro! (1995) di Alessandro Cappelletti. Ha composto le musiche per le opere prima e seconda di Vito Palmieri See you in Texas (2016) e Il giorno più bello (2018). Collabora da anni con Marco Biscarini con il quale è coautore delle musiche del film Distant Angels (2016) di Gjergj Xhuvani e dei lungometraggi di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro (2005) Premio Migliore Musica Originale al Festival Cinema e Musica di Lagonegro 2007, L’uomo che verrà (2009) Premio Ennio Morricone al Bari Film Festival 2010, nomination David di Donatello 2010 Migliore Musicista, Un giorno devi andare (2013) nomination Ciak d’Oro 2013 Migliore Colonna Sonora, Volevo nascondermi (2020). Ha composto musiche per spot pubblicitari, cortometraggi e documentari.

Da tempo collabora con la Cineteca di Bologna come pianista e compositore per il cinema muto e ha eseguito dal vivo al pianoforte gli accompagnamenti musicali di pellicole del cinema muto all’interno di Festival Internazionali (Strade del Cinema di Aosta, Il Cinema Ritrovato di Bologna, Istanbul Silent Cinema Days di Istanbul).

Nell’ambito teatrale, invece, ha composto Novelle fatte al piano che ha debuttato a Roma presso il Conservatorio di Santa Cecilia nel giugno 2010 e Asteroide Lindgren (ognuno ha la sua stella) che ha debuttato nel novembre 2007 al Teatro Comunale di Modena. Ha infine composto le musiche di scena per La Maria dei dadi da brodo (Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna, 2012), L’amante e Paesaggio (Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna, 2009) entrambi con la regia di Marinella Manicardi; Filippo och Krokodilen (Teater Tre, Stoccolma, 2008) con la regia di Lena Stefenson; Gli occhi gli alberi le foglie (Aranciafilm, Università degli Studi di Bologna, 2010) di Giorgio Diritti; Bestiale… Quel giro d’Italia! (Patàka srl, 2014) di e con Ivano Marescotti.

Daniele Furlati è docente di Composizione per la musica applicata alle immagini presso il Conservatorio di Musica Francesco Venezze di Rovigo.

L’intervista

Al Cactus Film Festival musicherai i film di Chaplin e Keaton. Come hai lavorato alla colonna sonora di queste due opere e cosa ti ha colpito in particolare dei due film?

Allora, lavorerò d’improvvisazione, come quasi sempre mi accade, soprattutto quando lavoro come piano solo. Ho maturato nel tempo la convinzione che la libertà totale offre un valore aggiunto al film, in quanto ogni volta la mia percezione è differente. Ogni volta io posso essere libero di cambiare, ovviamente cambiare dentro una drammaturgia già raccontata dal film. C’è, quindi, una libertà dal punto di vista musicale, ma non una libertà dal punto di vista dei contenuti musicali: anche se cambi i modelli, i mondi dell’improvvisazione, poi alla fine sono sempre vicini e devono sempre essere rigorosamente vicini alla drammaturgia del film.

Cosa mi ha colpito di questi film? Intanto li ho scelti perché, come spesso è accaduto anche alla Cineteca di Bologna, che ha restaurato i film, si mettono insieme Keaton e Chaplin. Loro sono due geni assoluti, ma con caratteristiche assolutamente differenti. Chaplin è molto più poetico. Penso anche al lavoro che ha fatto per i suoi lungometraggi, che non possono essere eseguiti con l’improvvisazione né con altre musiche, se non con quelle composte da lui stesso. I suoi cortometraggi, invece, offrono una certa libertà, ed è molto bello perché permettono di lavorare sui contrasti, proprio come cercava di fare Chaplin. Magari c’è qualcosa che ti fa ridere, ma con la musica puoi dare uno spessore, un’altra dimensione, che è quella dello struggimento. C’è sempre questo struggimento. Secondo me, quindi, è molto bello il lavoro che si può fare di contrasto di volta in volta.
Keaton è molto più pirotecnico e tecnico, è atletico; quindi, sono molto difficili i titoli da musicare, soprattutto i corti, perché devi sostenerli anche da un punto di vista ritmico.
Sono due cose completamente differenti e, secondo me, stanno molto bene insieme.

Parlando del processo creativo che è alla base del tuo lavoro, come nascono le musiche che accompagnano le immagini, quali sono le differenze che riguardano i film muti e sonori e quali sono i più difficili da musicare?

Sono tutti difficili. Magari una volta ti viene l’idea subito, altre volte no. Questo vale sia per il muto che per il cinema sonoro, credo che non siano svincolate le due cose. Anzi, credo sia fondamentale per i compositori, per i musicisti, approcciarsi al cinema muto, perché è nato prima quello ed è molto più difficile da servire anche perché, dato che c’è un’unica colonna sonora, devi sostenerlo. Uso la terminologia colonna sonora per il muto perché è effettivamente l’unica linea sonora che c’è, a meno che non ci siano dei rumoristi o degli imbonitori, figure che comunque all’epoca del muto c’erano. Se il film dura tre ore, cosa che può accadere, è impegnativo. Proprio adesso mi è capitato di accompagnare, per la preapertura del festival del Cinema Ritrovato a Bologna, il film di King Vidor, The Big Parade, che dura quasi tre ore. Lì è solo musica, quindi è impegnativo sia da un punto di vista fisico, soprattutto se uno è da solo, ma anche se qualcuno dirige l’orchestra.

Nel cinema sonoro c’è sempre meno bisogno della musica. Se uno guarda, eccetto rari casi, magari il cinema hollywoodiano, il cinema ha sempre meno bisogno dell’apporto musicale, tanto che oggi si è creata una confusione tra musica e sound design. Qual è il confine? Non perché ci debba essere per forza un confine, anzi; ci sono grandi colonne musicali che comunque sono al confine, non capisci qual è la musica e qual è il sound design. Sostanzialmente, però, se si fa proprio un percorso dal cinema muto fino ad oggi, la quantità di musica dentro ai film è sempre meno. Ci sono ovviamente dei film di genere che hanno una grammatica ben precisa. Se si pensa ad esempio a Frankenstein, la musica non veniva utilizzata, se non nei titoli di testa e pochissimo nella chiusura. All’interno non c’era. Nel mainstream, o anche nel cinema italiano non mainstream, nel cinema d’autore, la musica ha dato un apporto importantissimo per molto tempo. Molti si ricordavano e si ricordano ancora il tema musicale, il mondo musicale o la sonorità musicale del film ancora prima degli attori, o va di pari passo con gli attori. Oggi molto spesso senti che è tutto relegato a un pedale, vedi dieci film che hanno tutti questo drone, non c’è la voglia anche di sperimentare da parte dei registi, affidandosi al lavoro del musicista, che comunque per molto tempo è stata una figura importante.

Nei film muti l’importanza della musica è forse ancora più fondamentale per sottolineare la forza emotiva delle scene. In che modo riesce a esprimere, attraverso la musica, i sentimenti e le sensazioni dei personaggi?

Come si fa? Molte volte se c’è una bella recitazione il film fa già il 90%, per cui più fai e peggio è il risultato. Con l’improvvisazione questo è più difficile, perché il controllo c’è, però è un controllo emotivo. È interessante che comunque anche tu, guardando l’attore o la situazione, con l’improvvisazione trovi nell’immediato una soluzione che comunque offre un valore aggiunto a quegli sguardi, a quel mondo. Però non è sempre così: può anche essere che non accada questa magia. Se c’è una costruzione nella scrittura io mi baso sugli sfondi. Dipende che cosa focalizzi, dove punta il tuo sguardo? Puoi lasciare libera la recitazione e sostenere le scene, facendo un “tappeto” magari. Ad esempio nei diva-film molte volte si vedono delle piume o delle foglie muoversi, scenografie bellissime, quindi si può lavorare di onomatopea pensando a quello sfondo musicale. Altre volte, invece, capita di non concentrarsi sullo sfondo ed è necessario focalizzarsi sulla recitazione. Altre volte ancora, come un prestito dal melodramma, si può lavorare di leitmotiv: ci sono vari personaggi e a cui sono associati dei motivi musicali riconoscibili, molto semplici e che ritornano sempre. Questo lo si può fare anche con l’improvvisazione dove non c’è una regola scritta, perché altrimenti si ingesserebbe un mondo che è bello resti in trasformazione. Faccio un esempio: oggi si vedono delle versioni musicali totalmente contrastanti; partendo dal presupposto che nel cinema muto la musica proviene sempre da un altrove rispetto a ciò che vediamo nelle immagini, può succedere che quell’altrove sia filologico o comunque più vicino al bianco e nero o al colore del muto, ma può anche essere molto più vicino a noi. È chiaro che quell’effetto di volta in volta può essere molto contrastante e molto fastidioso, può allontanare dal film, ma altre volte, invece, avvicina.

C’è un film muto che hai avuto occasione di musicare che ti ha toccato in particolar modo o a cui sei più legato?

In realtà questi due film che suono stasera, The Immigrant di Chaplin e One Week di Keaton, sono due corti che non ho mai inciso. Ho fatto diverse registrazioni per l’home video di altri film muti, però per questi non mi è mai capitato, non è mai stato chiesto di comporre o di eseguire delle musiche specifiche. Sono tanti anni, però, che quando vado a suonare nelle piazze o comunque in contesti molto popolari li propongo e li ripropongo nel tempo, perché credo che siano due gioielli. Amo molto suonarli, perché credo che, nelle loro rispettive forme — entrambe opere compatte, poco oltre i 25 e 21 minuti — siano pienamente compiuti e assolutamente perfetti. Comunque ho accompagnato centinaia di opere di vario genere: Entr’acte, per esempio, è un film che amo e mi è capitato di musicare, però le musiche sono di Satie e se lo accompagno lo faccio con le sue musiche sincronizzate a modo mio.