In un’epoca in cui il cinema ambientale tende a privilegiare il registro dell’allarme e della denuncia, L’uccello imbroglione di Davide Salucci sceglie una via laterale, più sottile ma non meno incisiva: quella della suggestione. Presentato alla 26° edizione del ShorTS International Film Festival Maremetraggio, il corto adotta la forma del mockumentary – falso documentario – per costruire un racconto sospeso tra realtà e immaginazione, in cui si intrecciano memoria, territorio e magia.
Un racconto laterale della crisi ambientale
Natura e racconto: un doppio legame
Girato nelle valli del Carso triestino, paesaggio pietroso e avvolto da silenzi, il film segue una nonna e la sua giovane nipote alla ricerca di un uccello misterioso, capace di imitare qualsiasi suono, persino la voce dei defunti. Salucci trasforma così il territorio in una mappa affettiva e simbolica, dove ogni suono diventa traccia, ogni eco un possibile ritorno. Il legame intergenerazionale tra le due protagoniste si specchia nella relazione profonda tra esseri umani e natura, entrambe custodi di memorie sommerse.
L’ambiguità del mockumentary come chiave poetica
Dal punto di vista formale, la scelta del mockumentary consente a Salucci di giocare con i codici del documentario pur restando all’interno della finzione. Interviste, immagini d’archivio manipolate, riprese in stile etnografico: tutto contribuisce a costruire un mondo che appare credibile e al tempo stesso fantastico. Non è un trucco, ma un modo per interrogare la realtà con lo sguardo del dubbio, per suggerire che anche ciò che non si vede (o non si sente) può essere vero.
L’uccello imbroglione: un suono che guida lo sguardo
Uno degli elementi più affascinanti del corto è la cura del suono. Il sound design non accompagna soltanto le immagini: le guida, le decostruisce, le mette in crisi. I richiami dell’uccello – ora simili a versi animali, ora inquietanti imitazioni di voce umana – interrompono il silenzio della natura, creando un’atmosfera che sfuma nel perturbante. Il suono diventa così strumento narrativo e, insieme, segnale di un mondo in cui il confine tra naturale e soprannaturale è sempre più sottile.
Paesaggio e tempo: una regia misurata
Anche dal punto di vista visivo, L’uccello imbroglione è un’opera di grande sobrietà e coerenza stilistica. La fotografia sfrutta la luce naturale per esaltare la bellezza rude del Carso, mentre la regia indugia su dettagli carichi di significato: volti, rocce, vento. Il ritmo lento e contemplativo riflette il tempo della natura e quello della memoria, opponendosi alla frenesia dell’informazione e all’urgenza delle soluzioni facili.
Un invito all’ascolto
In un invito alla riflessione e all’azione, L’uccello imbroglione si distingue come un’opera discreta ma potente. Suggerisce un altro modo di stare nel mondo: in ascolto. Del paesaggio, della storia, delle voci che ci abitano anche quando sembrano perdute. Un film che parla soprattutto alle nuove generazioni, non per insegnare, ma per ricordare che ogni memoria, se accolta, può diventare progetto.
L’uccello imbroglione
Titolo: L’uccello imbroglione
Regia: Davide Salucci
Anno: 2024
Paese: Italia
Genere: Mockumentary, cortometraggio
Durata: 16 minuti
Formato: HD, colore
Lingua: Italiano
Location: Valli del Carso triestino