È possibile realizzare un cortometraggio avendo a disposizione soltanto 100 ore? Questa è la sfida che ha lanciato The Party 100 ore – Short Film Contest, il concorso cinematografico che ha concluso le diverse tappe del progetto “The party – Il cinema come non te l’hanno mai raccontato”. Quest’ultimo si è rivelato un percorso per i giovani dedicato al mondo dell’audiovisivo, con l’obiettivo di sperimentare e connettere diverse forme d’arte. Il progetto è organizzato da Long Neck Doc ETS con il contributo della Regione autonoma Valle d’Aosta e realizzato in collaborazione con Plus Aosta, abnormal APS, Camera Corner e Dite Communication.
Dal 27 giugno al 1° luglio 2025, quindi, Aosta si è trasformata in un set cinematografico a cielo aperto, dando la possibilità ai giovani di esplorare, raccontare e reinventare la città e gli spazi in cui vivono. I cortometraggi realizzati dai ragazzi sono stati poi proiettati la sera del 1° luglio 2025 in piazza Chanoux.
Ne abbiamo parlato con Giulia Di Francescantonio.
L’intervista
Come nasce l’idea del progetto ‘The Party – Il cinema come non te l’hanno mai raccontato’ e, in particolare, il contest ‘The Party 100 ore’?
L’idea nasce perché come associazione Long Neck Doc ETS, che è un’associazione culturale, abbiamo sempre cercato di creare e sviluppare dei progetti che fossero formativi in ambito audiovisivo. Abbiamo fatto corsi, però l’urgenza era quella di creare qualcosa di diverso, di nuovo, un po’ più snello, magari coinvolgendo un po’ di più i giovani, che sono abituati alle cose un po’ più veloci forse, no? E allora abbiamo detto: pensiamo a un format diverso, nuovo.
Quindi, abbiamo immaginato questo percorso che si è composto essenzialmente di tre appuntamenti diversi. Quando abbiamo iniziato a febbraio, abbiamo deciso di creare prima degli appuntamenti mensili con degli esperti dell’audiovisivo e dal carattere più informale, meno formativo in senso classico, all’interno di Plus Aosta, una struttura del comune di cui siamo in coprogettazione, all’interno della zona caffè. Quindi, facevamo questi incontri di un’ora in cui offriamo l’aperitivo ai partecipanti e, nel frattempo, chi partecipava aveva l’occasione non solo di sentire parlare il filmmaker sulle tecniche di regia, ma anche e soprattutto di sentire le curiosità, gli aneddoti legati al proprio mestiere, capire qual è stato il percorso formativo che ha portato quella persona a fare quel mestiere. Abbiamo cercato di creare un confronto un po’ più informale anche con i presenti e la gente faceva domande, soprattutto legate al percorso formativo. Insieme a questi incontri abbiamo creato dei reel su Instagram e TikTok, con l’obiettivo di fare delle piccole pillole di audiovisivo in pochi secondi, cercando un linguaggio un po’ più accattivante. Grazie alla collaborazione con il podcast Camera Corner, quindi, abbiamo creato questi reel. Al termine di questo percorso abbiamo detto: facciamo qualcosa che possa mettere in pratica chiunque, quindi non solo ragazzi, anche se il progetto si rivolgeva particolarmente alla fascia 14-35. Abbiamo, quindi, deciso di creare questo contest. Non è il primo contest di questo tipo che esiste in Italia, ma ci sembrava una cosa carina per far mettere in pratica un po’ le abilità di ciascuno. Questa è un po’ l’idea con cui nasce l’esigenza di concludere questo percorso, con qualcosa che portasse veramente i ragazzi e i partecipanti ad essere protagonisti e restituire anche a un pubblico, in questo caso la città, il loro risultato. Questo perché il progetto The Party è stato finanziato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, con un bando che richiedeva appunto che i destinatari fossero la fascia 14-35, mettendo un po’ in risalto anche la città di Aosta e cercando di coinvolgere i ragazzi della città.
Cosa vi aspettavate dai giovani partecipanti del contest? Si può dire che queste aspettative siano state soddisfatte?
Ci aspettavamo dai partecipanti quello che noi, se avessimo partecipato, ci saremmo aspettati, cioè: la voglia di mettersi in gioco, la voglia di divertirsi, la voglia di creare relazioni, la voglia di conoscere anche luoghi della città in cui i ragazzi abitano, magari un po’ meno conosciuti, andando a riscoprire anche diversi posti, vedere con un occhio diverso luoghi della città che loro abitano. E, visti i risultati dei lavori e dai feedback che abbiamo avuto dai vari partecipanti, credo che in questa cosa ci siamo abbastanza riusciti, perché comunque hanno scoperto zone di Aosta che magari non conoscevano, hanno dovuto cercare quel particolare posto, quella particolare zona per poter realizzare il loro cortometraggio. Sicuramente, poi, la sfida con sé stessi, la sfida oraria che poi è stata il punto centrale del contest, ha fatto sì che si siano divertiti. Ognuno ha introdotto tutte le competenze che poteva avere o che in quel momento erano necessarie per portare a termine il progetto.
I corti del contest sono stati realizzati nella città di Aosta. In che modo il cinema è in grado di valorizzare i territori in cui viene girato un film?
Bella domanda. Secondo me il cinema è uno strumento utilissimo per valorizzare i territori, qualunque essi siano; un po’ come dicevo prima, è un modo per andare a riscoprire, in questo caso alcune zone, quartieri della città di Aosta e valorizzare magari quegli aspetti che non tutti conoscono o che magari passano inosservati dalla quotidianità, non solo a livello architettonico, monumentale, di conformazione della città, ma anche delle persone che vi abitano. Oltre al quartiere era associata anche una persona di riferimento che conosceva molto bene il quartiere, che ha potuto aiutare i ragazzi a metterli in contatto anche con le realtà presenti in quel posto, le associazioni che lavorano in quel quartiere. Ciò ha permesso loro di conoscere realtà e associazioni che non sapevano essere presenti in quella zona di Aosta. E il risultato, visto su grande schermo, credo che abbia fatto notare come alcune zone effettivamente siano più ricche di quello che magari, all’aspetto esteriore, non sembra.
Secondo te l’esperienza svolta dalle giovani troupe cinematografiche ha permesso loro di recuperare la dimensione del gioco e la capacità di sorprendersi, che è legata maggiormente al mondo dell’infanzia e che spesso, crescendo, ci lasciamo alle spalle?
Sicuramente. Già nel momento in cui le squadre si sono iscritte credo che tutti avessero ben in testa l’idea che questa era veramente una competizione, non tanto per fare il cortometraggio più bello o con la fotografia più bella, ma, piuttosto, un’occasione per fare gruppo, con tutto quello che questo vuol dire: condividere qualcosa, mettersi in gioco e divertirsi. Da parte nostra, il fatto di aver scelto di fare utilizzare come oggetto obbligatorio in tutti i corti, quindi con una rilevanza attiva, il classico gommone da piscina ha voluto dare un ulteriore input di giocosità, di leggerezza. Vedendo come si sono comportate le squadre credo che questo sia riuscito. Sono comunque sicura che tutti coloro che hanno partecipato lo hanno fatto già con questo spirito “goliardico” e l’idea era farli divertire. Noi ci siamo divertiti tantissimo a guardare i loro cortometraggi e anche loro, da quello che ci hanno detto, si sono divertiti a realizzarli. Penso sia stata una bella esperienza.