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Tulipani di seta nera

Tulipani di seta nera 2025 e le urgenze sociali del nostro tempo

In occasione della nuova edizone di “Tulipani di Seta Nera”, Festival Internazionale della Cinematografia Sociale, abbiamo intervistato il suo presidente Diego Righini

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Sta tornando nella splendida cornice romana di Piazza della Repubblica il Festival Tulipani di Seta Nera.

Rassegna internazionale della cinematografia sociale, la manifestazione premia e promuove il lavoro di giovani autori che danno significato e visibilità nelle loro opere a importanti tematiche sociali.

Disuguaglianze, stereotipi di genere, omofobia e bullismo. Disabilità fisica e mentale, solitudine e vulnerabilità negli anziani, società e tecnologia sono solo alcuni dei fuochi a cui il festival vuole dare attenzione e riflessione collettiva attraverso il mezzo del cinema. Un cinema che va oltre lo spazio della sala e la formula del lungometraggio di finzione, ibridandosi e rinnovandosi nelle quattro categorie del concorso: Cortometraggi, Documentari, Videoclip e Digital Serie.

In vista di questa nuova edizione abbiamo avuto il piacere di dialogare con il presidente Diego Righini sul valore del cinema sociale ai giorni d’oggi, i suoi temi più urgenti e le sue modalità di diffusione.

Un festival dedicato agli ultimi, desideroso di parlare a tutti.

Come vi sentite per questa edizione maggiorenne (diciottesima) del festival?

Quest’anno, secondo me, il festival porta con se argomenti bellissimi. Una ricchezza culturale importante che vogliamo diventi, come un po’ tutti gli anni, dibattito vero. Perché, se noi parliamo di un tema sociale forte e poi, finito il festival, le cose restano come sono, ci sentiamo insoddisfatti. Vogliamo che il cinema, come strumento potente, che crea legami emotivi e sentimentali nel pubblico, poi trasformi anche il pubblico stesso. Lo trasformi in persone più consapevoli. Questo un po’ è stato sempre il nostro oggetto e ci crediamo tanto che avvenga. O almeno ci speriamo.

Abbiamo fatto la scelta quest’anno, dettata dagli eventi delle ultime settimane, di creare un collegamento tra la missione del festival, che si è sempre occupata delle persone fragili, a un po’ quello che è ed è stato il testamento di Papa Francesco: occuparsi degli ultimi.

In tutte le altre edizioni non lo abbiamo mai teso a sovrapporre, perché sembrava prendere le parti di un contesto religioso, mentre noi alla fine dentro Tulipani diamo visibilità a chiunque, non creiamo mai dei confini rispetto a questo. Ebreo, mussulmano, cattolico, protestante, induista, non abbiamo fatto mai distinzione. Però ritenevamo opportuno fare questa citazione, un modo nostro per salutare il Papa.

Focus sulle fragilità che nascono dalla solitudine

Qual’ è la tematica che hai sentito più urgente quest’anno o che magari è tornata più spesso nei discorsi, anche di selezione, o che  è comparsa di più nei film che sono stati presentati?

Devo dire che, se confronto la rassegna di dieci anni fa, quindi prendo uno spaccato molto diverso, e prendo quella di quest’anno, mi accorgo che adesso stanno entrando molto nel concetto di sociale tutte quelle fragilità che nascono con una solitudine. A un certo punto l’opinione pubblica, così come gli autori e i registi, si sono accorti che c’era una solitudine del quale parlare, di cui non si era mai parlato.

La modernità di questa vita, tutti con i cellulari in mano e tutti che vogliamo farci apprezzare e farci conoscere per quello che scriviamo sui social network, in realtà determina solitudine. Perché da una parte è vero che tu puoi far conoscere a un pubblico indiscriminato quello che pensi, ma siccome scriviamo contemporaneamente in 3-4 miliardi di persone, è una falsa messa in comunicazione, è una falsa condivisione. In realtà è un isolamento. Scriviamo tanto, condividiamo tanto, ma in realtà siamo soli.

Se guardi le quattro sezioni del nostro festival escono molto queste fragilità nate dalla solitudine. Poi, considerando lo spettro dell’intelligenza artificiale, non vorrei che si passasse dalla solitudine a una sorta di inutilità di coinvolgimento, che sarebbe ancora peggio.

Il cinema, secondo me, deve creare questa attenzione nell’opinione pubblica e nelle persone per far capire che alla fine un rapporto che ti resta, che è vero e sul quale puoi contare è quello della persona che hai vicino a te. Forse ci deve essere un ritorno a questo. Adesso narriamo la solitudine, vorrei poi che il passo successivo sia narrare la bellezza dei rapporti veri, dei rapporti tangibili.

Un festival on demand

Il festival mi sembra che abbia un elemento sociale anche a livello di fruizione. Il programma è tutto visibile online, aprendo la visione a un pubblico anche più ampio di chi  ha la possibilità materiale di essere a Roma.

Sì e poi è bellissimo perché per assegnare il punto durante il concorso per il premio Rai Cinema Channel  “Sorriso Diverso” devi vederti tutta l’opera. Se tu non guardi tutta l’opera, dal primo all’ultimo secondo, non scatta il punto. Quindi vuol dire che comunque l’opera è fruita.

Avviene questo fatto per due semplici elementi. Il primo perché a noi interessa la contaminazione culturale, e quindi di conseguenza andiamo sulla rete perché la rete ha una capacità di contaminazione culturale. In più ti imponiamo la visione totale quindi il classico sistema da “mordi e fuggi” con noi non funziona. Così partecipi veramente, ti chiediamo di concentrarti nel vedere l’opera.

La nostra idea è che ciò che ci bombarda sulla rete, e quindi che ci contamina attraverso il cellulare, diventi veicolo di messaggi importanti. Che il dialogo sulle tematiche sociali passi proprio da lì.

Cinema, rete e nuove possibilità espressive

Qual è il pubblico che invece vi aspettate nei prossimi giorni in sala?

Diciamo che quest’anno ci aspettiamo dalle 350-400 persone al giorno e poi 600 persone per il Gran Galà, più tutti quelli che sono collegati online, numeri che ci sono dettati anche dagli spazi.

Prima del Covid, nel 2019, per il Gran Galà ci furono ad assistere 1200 persone al teatro Brancaccio. Ma devo dire che prima c’era uno spirito diverso. Se provassimo a farlo oggi non so se ci riusciremmo.

Fino al 2019 le persone venivano e volevano vivere emozioni dirette, un po’ come i concerti concerti. In questo la musica ha un grande vantaggio, ci sono alcuni cantanti che ancora riempiono gli stadi. La gente non si accontenta di sentire la musica ma vuole vivere quell’emozione in presenza. Il cinema ha un potere diverso perché tu non incontri nessuno in carne ed ossa. Vedi le persone sullo schermo e ritieni che lo schermo del cinema ti dia solo poco di più rispetto allo schermo della televisione a casa.

Social Clip, la categoria dedicata al videoclip, nasce anche da questa riflessione?

In realtà Social Clip nasce  quando abbiamo visto le prime canzoni di Rovazzi. Ci impressionava il fatto che lui aveva creato una narrazione cinematografica sulla sua canzone. In quel periodo i professionisti cominciavano ad essere chiamati per la musica e per i videoclip. Una volta che il mondo del cinema si è messo a servizio della musica abbiamo voluto dare riconoscimento anche agli operatori del settore che andavano a fare questa attività.

Abbiamo seguito gli operatori del settore una volta che si sono posizionati lì, come un po’ adesso il mondo si sta posizionando molto più sulla serie e sulla fiction e un po’ meno sul cinema. Anche noi Tulipani di Seta Nera in parte vorremo prima o poi coinvolgere un po’ di più il mondo della serialità perché il mondo del lavoro si muove in quella direzione e ci sembra importante dare ascolto a questo movimento.

 

Tulipani di Seta Nera si svolge al The Space Moderno di Roma, dall’8 all’11 maggio 2025.

Segui il festival Tulipani di Seta Nera su Taxi Drivers!